Testo di Valentina Negri —
A poche settimane dall’inaugurazione di Fiori nei Chiostri di Sant’Eustorgio a Milano (a cura di Angela Vettese), Stefano Arienti torna a stupirci con la sua prima mostra alla Galleria Christian Stein – curata da Chiara Bertola – con una serie di lavori inediti, concepiti appositamente per lo spazio e in un dialogo speculare con il verde del giardino che abbraccia su un lato lo spazio espositivo.
Arienti ci propone qui il frutto di nuove ricerche di supporti, materiali e tecniche applicate al suo mondo di immagini tratte dal quotidiano, scatti poetici e particolari ravvicinati, dove le trasformazioni a livello molecolare dei soggetti naturalistici rappresentati vengono espressi attraverso nuovi processi creativi e nuove superfici.
L’arte di Arienti, come già sappiamo, sta nei gesti misurati, leggeri e manuali che modificano la realtà senza stravolgerla, portando il pensiero di chi guarda al di là della mera immagine, svuotata della retorica e trasformata in percezione palpabile. Lo sguardo sul quotidiano si eleva a un livello astratto, del bello e nostalgico che rivitalizza il ricordo o lo cristallizza risaltandone un particolare.
Questa volta non si tratta però della manipolazione di immagini altrui o di una rivisitazione di un omaggio ad artisti del passato (come nella produzione delle turbine di carta, dei poster traforati o dei lavori con il pongo) ma, come per i libri Fuori Registro (Corraini, 2017) e Non Dove (Studio Guenzani, 2018), le immagini utilizzate sono state scattate da Arienti stesso.
‘Pioppo‘ campeggia solitario al centro di una parete, a prima vista ci ricorda una delle tante immagini che da sempre caratterizzano i soggetti e le tematiche “arientiane”, tratte dalla sfera naturalistica che lui ama e conosce bene. In questo caso però la carta stampata è stata accartocciata e da vicino svela le pieghe, le rughe, conseguenze della modificazione. L’atto ci restituisce un’immagine movimentata dai rilievi, malinconica, una qualcosa che è accaduto poi rinnegato e poi nuovamente riemerso. Non è un errore, ma sembra la volontà di esporre un ripensamento.
Sulla parete accanto, ‘Macchia verde‘, l’artista si concentra sul particolare di un tronco stampato su micro ciniglia, i colori sono ovattati ma profondi e ricordano un pomeriggio estivo ormai passato che ci vien voglia di sfiorare con mano.
In ‘Cestino‘, invece, l’utilizzo della foglia d’oro maschera il corpo blu di plastica del cestino all’interno di un bosco, astraendolo dal contesto e deturpandolo del suo significante, regalandoci un nuovo immaginario. E ancora seguono le opere eseguite con la tecnica dell’abrasione, l’invasione dei puzzle nelle immagini e l’utilizzo dell’acrilico che fanno di Arienti un pittore nel suo modo di pensare ed agire sulla materia, benché non dipinga in senso stretto.
“Utilizzando delle tecniche si possono ottenere dei risultati sempre differenti”, racconta Arienti a Chiara Bertola, “…ho cercato in questi anni di dimostrare che si può fare arte, poeticamente, con un gesto minimo”.
Il risultato finale è un nuovo esercizio estetico attraverso il quale Arienti ci ricorda e ci insegna, ogni volta, a guardare le cose da un altro punto di vista, da un’altra emozione, senza creare ex novo ma trasformando e riscoprendo il già esistente in un gioco di delicati equilibri, è come se ci rivelasse che dietro a un semplice gesto c’è sempre una nuova opportunità.