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Archive Anthology | Fondazione Bonotto

Inaugura con l’intervista a Patrizio Peterlini, Direttore della Fondazione Bonotto, Archive Anthology, una nuova collaborazione tra ATP e REPLICA, che attraverso una serie di interviste esploreranno gli archivi di libri d’artista italiani e internazionali. La Fondazione Bonotto nasce per promuovere...

Fondazione Bonotto, Libreria piano superiore. Courtesy of Fondazione Bonotto

Inaugura con l’intervista a Patrizio Peterlini, Direttore della Fondazione Bonotto, Archive Anthology, una nuova collaborazione tra ATP e REPLICA, che attraverso una serie di interviste esploreranno gli archivi di libri d’artista italiani e internazionali.

La Fondazione Bonotto nasce per promuovere la collezione Luigi Bonotto che dai primi anni Settanta ad oggi ha raccolto numerosissime testimonianze tra opere, documentazioni audio, video, manifesti, libri, riviste ed edizioni di artisti Fluxus e delle ricerche verbo-visuali internazionali sviluppatesi dalla fine degli anni Cinquanta.
La Fondazione Bonotto mira a promuovere e sviluppare a livello internazionale un nuovo ragionamento tra arte, impresa e cultura contemporanea, i tre assi portanti su cui si è sviluppata la vita, l’attività e il successo di Luigi Bonotto, suo artefice e sostenitore.

REPLICA: Nel 1971 Germano Celant pubblica sul primo numero di Data un lungo articolo intitolato Book as artwork, in cui si riflette per la prima volta sul libro come lavoro d’arte, che viene indicato come medium autosignificante tale da coincide con “il massimo punto d’entropia dell’arte”, leggiamo: «Il lavoro “tramite” e “sul” libro […] non deve evidentemente essere considerato come operazione visuale, ma come argomento riguardo alla natura e alle possibilità funzionali dell’arte o dalla ricerca comunicazionale. […] Il libro, insieme con gli altri media comunicazionali, è un’estensione dell’occhio e della mente, e contribuisce negli anni Sessanta a quel distacco e raffreddamento nei confronti della carica esistenziale, interiore al lavoro, e ad una maggiore significazione dell’umano e del tecnologico, poiché richiede un procedimento analitico discorsivo e non sintetico-ideografico proprio dell’informale caldo. Il libro è infatti un medium autosignificante, non richiede altra dimostrazione che la lettura e la partecipazione attivo-mentale del lettore, […] è il prodotto dell’attività del pensiero e dell’immaginazione: è il risultato di un’attività concreta, serve a documentare e fornire mezzi e materiale infomazionali, […] non appare come uno spazio privilegiato o extrareale, si colloca nel sistema comunicazionale quotidiano senza alcuna specificità estetica o artistica: è insomma solo un altro spazio, che naturalmente coincide, insieme con la parola orala, con il massimo punto d’entropia dell’arte, e si può dunque considerare come lavoro d’arte.». La lettura di Celant è tutt’ora attuale? Volete commentarla?

Patrizio Peterlini: Non c’è dubbio che nel corso del XX secolo il libro sia divenuto un medium di prim’ordine per il lavoro dell’artista. In particolare dei poeti che, già alla fine del XIX e poi in modo più massiccio all’inizio del XX sec. con le avanguardie, avevano iniziato a metterlo in discussione sia nella sua struttura formale (in primis l’impaginazione) e sia nella sua funzione.
Non voglio qui ripercorrere la storia dell’evoluzione del libro e la sua trasformazione in opera d’arte nel corso del XX secolo, ma va sicuramente evidenziato come, tutto questo processo, abbia a che fare con la necessità di trovare delle nuove forme di riproduzione e diffusione per dei linguaggi che si facevano sempre più estremi e che incontravano resistenze sempre più evidenti da parte del sistema dell’arte e dell’editoria. Se questo è evidente nelle prime avanguardie, che non hanno tuttavia avuto modo di portare alle estreme conseguenze le loro posizioni a causa delle due guerre mondiali che in qualche modo ne hanno alterato od ostacolato lo sviluppo, questa semplice constatazione non deve essere dimenticata nemmeno negli sviluppi della seconda parte del secolo scorso.
Non è un caso che quelli che vengono solitamente indicati come i primi quattro libri d’artista della storia, quelli che in qualche modo cambiano l’approccio al media libro: Twentysix Gasoline Stations di Ed Ruscha, Topographie anecdotée* du hasard di Daniel Spoerri, Dagblegt Bull di Dieter Roth e Moi Ben, je signe (noto anche com Ben Dieu Art Total Sa revue”) di Ben Vautier; non solo vengano realizzati nello stesso anno, il 1962, ma siano anche tutti e quattro auto prodotti e auto pubblicati (fatta eccezione del libro di Spoerri editato dalla Galerie Lawrence su espressa richiesta dell’artista). Il libro ha permesso e permette agli artisti, specialmente se ne possono gestire direttamente e autonomamente la produzione e la pubblicazione, una grande libertà di ricerca e di espressione, sia formale che strutturale. Non esistono limiti, soprattutto dopo le radicali sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso che hanno portato ad una espansione del concetto stesso di libro, decostruendo e abbandonando ogni riferimento formale all’oggetto libro per trasformarlo in puro simulacro.
A questo proposito trovo la citazione di Celant riduttiva, perché il riferimento è ancora troppo legato all’idea di “libro da leggere” mentre il libro d’artista, o il “book as artwork” come lo definisce Celant, aveva già assunto alla metà degli anni Sessanta forme altre, spesso illeggibili se riferita all’accezione utilizzata nel suo articolo dal critico recentemente scomparso, lavorando quindi sul concetto stesso di libro. Pensiamo al già citato Dagblegt Bull di Roth o al suo famosissimo Daily Mirror Book in cui, pur rimanendo salvo il riferimento alla forma libro, se ne alterano talmente le dimensioni da divenire una pura citazione, o la trasformazione del libro in “tools box” da parte del gruppo Fluxus, o ancora The Boat Book libro/scultura/installazione di Alison Knowles.
Credo in ogni caso che il rinnovato interesse odierno al libro d’artista, sia da parte degli artisti e sia da parte dei collezionisti, si debba innanzitutto alle caratteristiche qui evidenziate che gli permettono ancora di essere uno spazio di assoluta libertà espressiva e di ricerca.

George Maciunas, Fluxyearbox 1 (box version), 1964, Luigi Bonotto Collection
George Brecht, Water Yam – First edition, 1963 Luigi Bonotto Collection
Takako Saito, Music Book, 1980 – open, card box with cubes Luigi Bonotto Collection

REPLICA: La Fondazione Bonotto nasce nel 2013 e accoglie una collezione di opere, documentazioni audio, video, manifesti, libri, riviste ed edizioni di artisti Fluxus e delle ricerche verbo-visuali costituita da Luigi Bonotto nei primi anni Settanta. Cosa vi ha spinto ad istituire una Fondazione, quali sono i vostri obiettivi e le vostre strategie culturali?

PP: Fondazione Bonotto nasce per promuovere e valorizzare la Collezione di Luigi Bonotto. Si tratta di una collezione che conserva oltre 16000 documenti tra opere, edizioni, libri d’artista, vinili, video, ephemera, di oltre 200 artisti internazionali, tra i più rivoluzionari del XX secolo. Artisti che hanno condiviso un’attitudine comune, un sogno: rendere l’arte accessibile a tutti. Molti di loro hanno lavorato apertamente contro il sistema dell’arte, contro le gallerie, i musei, portando l’arte in luoghi non usuali o nelle strade. Le. nostre strategie culturali derivano da questa impostazione e l’utilizzo della tecnologia che ci caratterizza ne è la conseguenza. La collezione è infatti completamente disponibile on line. Migliaia e migliaia di documenti, audio, video, a disposizione dei curatori, dei direttore di museo, degli studiosi o dei semplici curiosi. Questo approccio ha ora aperto nuove possibilità. Lo sviluppo della visita virtuale degli spazi di Casa Bonotto e la creazione del catalogo APP de La Voix Libérée. Poesie Sonore, la mostra organizzata da Fondazione Bonotto in collaborazione con il Palais de Tokyo nel 2019, ne sono un esempio.
L’altro grande obiettivo di Fondazione Bonotto è diffondere un dialogo tra arte e industria che sia fondamentalmente non utilitaristico, non strumentale. Slegato dalle dinamiche d’investimento che caratterizzano il mondo dell’arte contemporaneo. Un approccio che metta al centro l’arte come gioioso incontro con il nuovo e l’imprevisto, smodato, non necessario, festoso, sociale.

REPLICA: L’archivio di libri d’artista custoditi in Fondazione, per quanto riguarda la raccolta di opere Fluxus, della Poesia Concreta e Visiva è forse la più completa e importante d’ Italia. Quali sono i volumi più iconici e significativi della vostra collezione, soprattutto perché li ritenete tali?

PP: Per i movimenti collezionati da Luigi Bonotto il libro ha giocato un ruolo centrale, sia come luogo di sperimentazione artistica (libri d’artista, liberi oggetto, libri opera, etc.) e sia come mezzo di diffusione delle poetiche sviluppate dagli autori, sia nella forma del libro teorico e sia nella forma di rivista. Ogni libro in sé è unico e significativo ed è molto difficile fare una selezione. Gli esempi che propongo qui di seguito non sono quindi da intendersi come “the best of” ma come semplici indicazioni di alcuni filoni di ricerca presenti in collezione Bonotto.
In questa prospettiva non si può che partire da Fluxus 1 (noto anche come Fluxyear box 1) l’antologia Fluxus curata da George Maciunas nel 1964. Il libro, nella sua forma, fa un chiaro riferimento al famosissimo “Libro imbullonato” di Depero, ed è costituito da una serie di buste color Manila alternate ad alcuni fogli stampati. Ogni busta contiene un contributo di uno degli artisti dell’antologia: dallo specchietto di Yoko Ono, al nastro magnetico di Joe Jones, dal tovagliolo stampato di Shigeko Kubota, alla serie di cartoncini stampati di Jackson Mac Low. Il libro esiste in due versioni: quella qui descritta, costituita da buste imbullonate, e una versione in scatola, molto più leggera e ideale per la spedizione postale. Le due versioni differiscono anche per i contributi contenuti. In Fondazione Bonotto sono presenti entrambe le versioni. La versione costituita da buste è la copia personale di Maciunas, con alcune annotazioni.
Water Yam di George Brecht (1963) è invece uno dei libri fondamentali per la trasformazione del libro nella sua struttura formale. Si tratta infatti di una scatola di cartone contenente una serie di cartoncini stampati. Su ogni cartoncino sono riprodotte delle indicazioni di performance. Il libro, da oggetto con determinate caratteristiche: pagine stampate di uguale formato, rilegatura, etc., diviene un contenitore di oggetti. La forma scatola avrà un grandissimo successo e verrà adottata da Maciunas per la versione scatola di Fluxyearbox 1, ma anche dal gruppo ZAJ e da molti artisti della poesia Concreta e Visiva. Una forma agile che permette di raccogliere contributi di diverse forme e materiali. Water Yam è inoltre considerato l’inizi dell’arte concettuale.
Music Book di Takako Saito (1980) è invece un libro/scatola che non contiene nulla da leggere. Il suo interno è infatti costituito da una serie di cubi di cartone di diverse dimensioni da utilizzare come strumenti musicali. Lasciandoli cadere casualmente su una superficie, proprio grazie alle loro diverse dimensioni, producono suoni diversi ed è quindi possibile produrre musica sempre nuova. In questo caso il libro si trasforma in uno strumento, un utensile, e invita in “lettore” a vivere una esperienza. Il lettore non è più un passivo fruitore di un testo fissato dall’autore ma si trasforma in co-autore grazie alla sua azione. La lezione di John Cage è evidente. Un nonnulla, realizzato da Arrigo Lora Totino nel 1969, è invece un cartoncino stampato e fustellato che il “lettore” può piegare a suo piacimento costruendo varie forme geometriche. Ogni costruzione farà apparire una serie di parole diverse. Il libro è quindi un opera di poesia concreta, che dona forma tridimensionale alla parola, ma anche una pratica presentazione di una poesia permutativa, sebbene limitata alle poche variazioni concesse dalla forma del cartoncino.
Tutti questi libri, sebbene siano stati prodotti in tirature limitate, spesso non dichiarate, erano stati concepiti per essere distribuiti ad un vasto pubblico. Ma il libro d’artista, può presentarsi anche in copia unica, come libro opera o libro oggetto. Un esempio straordinario conservato in Fondazione Bonotto è Il margine luminoso. Omaggio a Paul Klee di Luciano Caruso (1989). Il libro, completamente costruito a mano dall’artista, rispecchia una pratica cara all’autore.
La poetica della citazione, della scrittura-cancellazione-sovrascrittura, centrale in tutta la sua opera, trova infatti in questi libri-opera una sua evidenza plastica e formale. Il libro, costituito da fogli di carta di diverso tipo e e di diversi formati, in fatti, si riscrive e si re-impagina ogni volta che si gira pagina.
Oltre ai libri d’artista, vorrei ricordare anche le riviste d’artista che hanno giocato un ruolo fondamentale per la diffusione delle idee e la creazione di reti di collaborazione tra gli artisti e i poeti in tutto il mondo.
Citerò qui solo Geiger, la rivista ideata da Adriano Spatola e diretta assieme a i fratelli Maurizio e Tiziano dal 1967 al 1982. Una rivista-antologia che raccoglieva i contributi originali che i vari artisti in contatto con i fratelli Spatola inviavano per posta. Si tratta di una rivista costituita quindi da originali ed ogni numero, pur presentando gli stessi autori, è un numero unico. Geiger è stata uno strumento straordinario nella storia della poesia d’avanguardia internazionale: Concreta, Visiva, Sonora, Elementare, Oggettiva, Lettrista, Signalista etc. che ha permesso uno scambio continuo tra i vari protagonisti internazionali della poesia sperimentale del XX secolo.
Ma in Fondazione Bonotto non ci sono solo libri storici. Ci sono anche libri d’artista di autori contemporanei, in particolare poeti. Come Zaroum di Cia Rinne, vincitrice del Prix Littéraire Bernard Heidseick – Centre Pompidou nel 2019 o tutte le copie di BAU Contenitore di Cultura Contemporanea.

Geiger no. 1, 1967 Luigi Bonotto Collection
Luciano Caruso, Il margine luminoso. Omaggio a Paul Klee Cover 1989-1990 Luigi Bonotto Collection

REPLICA: REPLICA è un giovanissimo archivio del libro d’artista e tra i suoi obiettivi di ricerca vi è quello di riflettere sulle modalità espositive e di fruizione della sua collezione, per aprire il dibattito sulle possibile forme a cui un archivio può adattarsi.
Quali sono le vostre modalità espositive e di display che formulate quando dovete esporre i libri d’artista ? Cambiano da materiale a materiale o seguite formule più standard? Pesate siano efficaci?

PP: Organizzare delle mostre di libri d’artista è sempre una sfida. Purtroppo speso la si perde. Perché i libri d’artista sono da vivere, da sfogliare e leggere (dove è possibile) o comunque da utilizzare.
Ma questo in una mostra non è possibile. Perché sono oggetti spesso delicati (soprattutto la maggior parte di quelli conservati in Fondazione che oramai iniziano ad avere 60 o 70 anni) ed è impensabile lasciarli in balia del pubblico di una mostra. Si è costretti quindi a rinchiuderli in teche ed ucciderli. Le mostre di libri d’artista sono, da questo punto di vista, dei veri e propri massacri.
Degli stermini: di idee, di concetti, di emozioni.
Cerchiamo ogni volta di inventare dei nuovi metodi di esposizione, utilizzando le tecnologie ma è inutile. Tutti questi sforzi non fanno che costruire una barriera tra il libro d’artista e il fruitore. Sacralizzano un oggetto che nella sua intenzioni iniziali era destinato una diffusione ed utilizzo immediati.
La soluzione più adatta sarebbe quella di costruire delle copie, fruibili dal pubblico. Ma questa soluzione ha dei costi decisamente insostenibili.


Patrizio Peterlini è Direttore della Fondazione Bonotto. Laureato in Lettere Moderne e Psicologia clinica, ha conseguito un D.E.A. in Psychanalyse Concept et Clinique alla Universite’ Paris-8. Per Fondazione Bonotto ha curato le mostre “Fluxbooks. From the Sixties to the Future” (Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, 2015), “Sense Sound / Sound Sense. Fluxus Music scores and records” (Auditorium Parco della Musica di Roma, 2016  e Whitechapel Gallery di Londra, 2019), “La Voix Libérée. Poésie sonore” (Palais de Tokyo, Parigi, 2019) Suoi contributi sono pubblicati in numerosi cataloghi d’arte e in riviste di psicoanalisi. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: “Riviste d’arte d’avanguardia.
L’esoeditoria in Italia negli anni 60 e 70” (2005 ); “Sarenco: le riviste, la lotta. Storia di un esploratore d’avanguardia” (2006); “Poesia visiva in Italia” (2014); “Arrigo Lora Totino. La parola come poesia segno suono gesto. 1962-1982″ ( 2015) e il recente “Rivoluzione a parole. Poesia sperimentale internazionale dal 1946 a oggi. Manifesti e testi teorici”. In collaborazione con Piero Matarrese ha realizzato i film “La Perf En Fin. La recherche de Julien Blaine” (2008) e “Around Poetry #1” (2015).

Fondazione Bonotto, Libreria. Courtesy of Fondazione Bonotto
Arrigo Lora Totino, Un nonnulla , 1969, Cardboard folder containing a silkscreen on a cut and folded cardboard Luigi Bonotto Collection,