Dopo l’intervista a Patrizio Peterlini, Direttore della Fondazione Bonotto, gli approfondimenti della rubrica Archive Anthology – dei focus sugli archivi di libri d’artista italiani e internazionali a cura di REPLICA – con un’intervista alla neo direttrice del MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli. Le domande ruotano attorno al progetto da lei assieme a Dallas nel 2016, RIVIERA all’Istituto Svizzero a Milano.
REPLICA: Nel 2016 l’ Istituto Svizzero di Milano ha ospitato RIVIERA, un progetto curato da te e Dallas che ha visto la realizzazione di una sorta di palcoscenico/platea, che nella sua versatilità di display, ha ospitato diverse iniziative e performance come The Art Market, Body Oh Boy Nobody di Jacopo Milani e Antenne Books, Francesco Pedraglio con 2 battaglie e 1 guerra. Cosa vi ha spinto a realizzare questo progetto?
CR: Il palcoscenico/platea è un progetto realizzato appositamente per RIVIERA ( “che si riempie e si svuota come una marea” come abbiamo scritto nel comunicato stampa) da Matilde Cassani. A lungo ci (Francesco Valtolina e Kevin Pedron di Dallas, Salvatore Lacagnina che era a capo dell’Istituto Svizzero ed io) siamo interrogati su come costruire un display che si prestasse a spazio espositivo, libreria temporanea ma anche contenitore d’eventi di varia natura: mostre, dj set, performance, che si accavallavano tra loro. RIVIERA è durata 4 mesi, il numero dei libri cresceva con il passare del tempo, anche grazie a dei focus legati a diversi editori, come Sternberg Press ad esempio. RIVIERA emergeva nella Milano del 2015/16 e dalla sensazione di un’assenza di un luogo fisico in cui trovare una selezione varia di pubblicazioni legate all’arte contemporanea, monografie e teoria, ma anche dalla volontà di provare a mettere insieme diverse anime e pubblici della città, con design, moda, fotografia e musica, oltre ad un’offerta curata d’editoria di arte contemporanea.
REPLICA: Nel 2019 MIT Press ha pubblicato Publishing Manifestos, una reader di manifesti a cura di Michalis Pichler, co-founder della fiera berlinese Miss Read. Nel testo sono raccolte visioni di artisti, curatori, editori e designer sulla pubblicazione come pratica artistica. Nell’introduzione del volume, Pichler afferma: “ We have reached a privileged historical moment when running a publishing house – or a book fair – can be art work. At the same time, it is a social work, a mode of production analogous not to the creation of material goods but to the production of social contexts”. Cosa pensi di questa riflessione? Ti trovi d’accordo con la posizione espressa da Pichler?
CR: Sì mi sembra un buon proseguo alla mia risposta alla domanda precedente, guidati dal desiderio di un luogo di scambio, d’incontro, una biretta e due chiacchiere dopo una giornata di lavoro della classe creativa milanese ma anche di un po’ di sperimentazione ibrida. Con RIVIERA abbiamo portato a Milano dei libri di editori internazionali, titoli e tematiche varie, ma anche dato spazio ad interventi di artisti che non sarebbero potuti esistere con la stessa libertà in contesti museali o galleristici più formali o commerciali. Sulla gradinata, oltre a libri, hanno preso posto artisti come Jacopo Milani che ha a sua volta coinvolto il danzatore Jacopo Jenna e ha presentato il suo progetto editoriale Self Pleasure Publishing, o Francesco Pedraglio che ha recitato un estratto di quello che e’ poi diventato il libro 99 battaglie e 1 guerra, ed ha anche portato i libri pubblicati in Messico in edizione spagnola/inglese con la collana Juan de la Cosa/John of the Thing.
REPLICA: Uno degli elementi centrali nella ricerca di REPLICA è il display e le sue modalità espositive e di fruizione. Qual’è la vostra prospettiva da questo punto di vista?
CR: Ripensando a distanza di tempo al progetto, penso che fare uno–e a volte due–eventi a settimana sia stato un po’ folle, soprattuto perche’ eravamo tutti impegnati contemporaneamente da altri lavori. Gestire RIVIERA era un po’ come occuparsi di un negozio con arrivi, ordini, bolle e varie, oltre alla parte di produzione e logistica legata agli eventi e alle presentazioni, il display si modificava ogni settimana a ridosso dei nuovi eventi, come in un teatro. Mentre pensavamo al calendario, e a chi invitare, abbiamo cercato di instaurare una sinergia tra la parte arte e la parte editoria, alimentata dallo scambio tra Dallas (graphic design studio), me (curatrice d’arte) e l’Istituto Svizzero (committente). Purtroppo non e’ piu’ accessibile online, ma Dallas aveva realizzato un sito dedicato per RIVIERA Bookshop in cui si trovavano gli orari di apertura, i titoli presenti, l’archivio e il calendario degli eventi, per ogni evento c’era una newsletter e un video teaser, che ora sembra una cosa scontata ma che decisamente non lo era nel 2016 (nella pagina facebook, che resiste, si trova ancora qualcosa).
REPLICA: Nel 1971 Germano Celant pubblica sul primo numero di Data un lungo articolo intitolato Book as artwork, in cui si riflette per la prima volta sul libro come lavoro d’arte, che viene indicato come medium autosignificante tale da coincide con “il massimo punto d’entropia dell’arte”, leggiamo: «Il lavoro “tramite” e “sul” libro […] non deve evidentemente essere considerato come operazione visuale, ma come argomento riguardo alla natura e alle possibilità funzionali dell’arte o dalla ricerca comunicazionale. […] Il libro, insieme con gli altri media comunicazionali, è un’estensione dell’occhio e della mente, e contribuisce negli anni Sessanta a quel distacco e raffreddamento nei confronti della carica esistenziale, interiore al lavoro, e ad una maggiore significazione dell’umano e del tecnologico, poiché richiede un procedimento analitico discorsivo e non sintetico-ideografico proprio dell’informale caldo. Il libro è infatti un medium autosignificante, non richiede altra dimostrazione che la lettura e la partecipazione attivo-mentale del lettore, […] è il prodotto dell’attività del pensiero e dell’immaginazione: è il risultato di un’attività concreta, serve a documentare e fornire mezzi e materiale infomazionali, […] non appare come uno spazio privilegiato o extrareale, si colloca nel sistema comunicazionale quotidiano senza alcuna specificità estetica o artistica: è insomma solo un altro spazio, che naturalmente coincide, insieme con la parola orale, con il massimo punto d’entropia dell’arte, e si può dunque considerare come lavoro d’arte.». La lettura di Celant è tutt’ora attuale? Vuoi commentarla?
CR: Celant scriveva nel 1971, in un epoca d’oro per mostre-idea che esistevano nella mente, in pubblicazioni e nel ricordo di chi aveva preso parte agli happening. Nel 2020 ci confrontiamo con una memoria smaterializzata e annacquata dal digitale e ad un’offerta bulimica. RIVIERA era un progetto ibrido-utopico forse un po’ romantico, condito dal nostro feticismo per l’oggetto-libro e l’innamoramento per la variazione semantica dello stesso. Nel comunicato abbiamo scritto: “RIVIERA è un progetto in cui il libro si fa protagonista: come oggetto, contenuto, forma, pretesto, fissazione, collezione o curiosità, specchio, ostacolo, miraggio.” La proposta nelle nostre intenzioni era varia come la tipologia degli eventi e il pubblico, e funzionavamo sia come agenzia di comunicazione milanese che come agenzia universale per artisti squattrinati.