Arca family 2018 | Quattro artisti in residenza in famiglia

"Il nucleo tematico attorno al quale si sviluppa l’edizione 2018 di Arca Family è l’accoglienza. Un concetto chiave che ricorre in maniera costante nel nostro presente e una specificità per una residenza che basa le proprie fondamenta su dinamiche inclusive." Intervista con il curatore
27 Novembre 2018
Calori&Maillard in residenza, Arca Family 2018.Courtesy Art.ur.

Calori&Maillard in residenza, Arca Family 2018.Courtesy Art.ur.

Calori&Maillard, WE ARE FOU, acrilico su tela, 95x430 cm, courtesy le artiste

Calori&Maillard, WE ARE FOU, acrilico su tela, 95×430 cm, courtesy le artiste

Calori&Maillard, Paolo Gonzato, Irene Fenara e Ryts Monet sono i quattro artisti selezionati per l’edizione 2018 di Arca family, progetto di residenza in famiglia promossa dall’associazione Art.ur. Nelle due giornate di venerdì 30 novembre (dalle 18 alle 23) e sabato 1 dicembre (dalle 16 alle 22), potremo visitare gli esiti del periodo di residenza compiuto dagli artisti all’interno di quattro abitazioni del centro storico di Cuneo.
Selezionati da Andrea Lerda, curatore che a cui abbiamo posto una serie di domande per entrare nel merito del progetto, i quattro artisti hanno vissuto a stretto contatto con le famiglie ospitanti, osservando e assorbendo, spesso, le abitudini quotidiane.
Il focus attorno a cui si è sviluppato il tema della residenza è l’accoglienza. Spiega il curatore: “In un presente in cui la situazione geopolitica internazionale mette al centro del dibattito politico il massiccio spostamento dei popoli, l’esperienza di residenza in famiglia diventa infatti l’occasione perfetta per riflettere su un fenomeno di stretta attualità. Partendo da questo riferimento gli artisti sono stati invitati a compiere una riflessione personale sul concetto di accoglienza.”

Intervista con il curatore Andrea Lerda —

ATP: Quattro artisti (cinque in realtà, visto che Calori&Maillard è un duo artistico) e quattro abitazioni: l’edizione 2018 di Arca family ha portato Calori&Maillard, Paolo Gonzato, Irene Fenara e Ryts Monet a contatto diretto con gli spazi abitativi – e dunque intimi – di quattro famiglie. Mi racconti, dal tuo punto di vista di curatore, come hanno vissuto questa esperienza gli artisti?

Andrea Lerda: Per un artista il momento della residenza è in un certo senso l’occasione di evadere dalla propria routine. Uno strumento per trovare nuovi stimoli visivi, vivere esperienze sensoriali e relazionali in grado di stimolare la propria ricerca. Effettuare una residenza all’interno di uno spazio più convenzionale come un centro d’arte, un museo, o comunque un luogo che gravita all’interno dell’universo artistico è particolarmente differente dall’esperienza di Arca family. In questo caso gli artisti sono chiamati ad abbandonare il palinsesto di riferimenti tradizionali per entrare in uno spazio inedito, fatto di codici che molto spesso sono molto distanti da qualsiasi tipo di relazione con il mondo dell’arte. Credo di poter dire che la prima impressione rispetto all’idea di una residenza in famiglia non corrisponda all’intensità di ciò che essa riesce a generare.
Entrare in un contesto così intimo e privato è certamente un’esperienza particolare. Se analizziamo la cosa in maniera più ampia e la rapportiamo al momento storico in cui ci troviamo, possiamo comprendere che accogliere un estraneo nella propria abitazione e nella propria intimità non costituisce solo uno sforzo in termini logistici, bensì, e in modo particolare, un esercizio di tipo culturale. In un presente fatto di distanze, barriere e virtualità, l’idea di immergersi in maniera diretta e così ravvicinata con “le vite degli altri” (per citare il film di Florian Henckel von Donnersmarck), ha sicuramente affascinato gli artisti fin dal primo momento. L’invito ad Arca family 2018 è stata per qualcuno l’occasione dichiarata di abbandonare i ritmi frenetici della grande città, consci dell’opportunità di sperimentare un tipo di residenza che in una città di provincia ha il sapore della lentezza.

Irene Fenara, The outsider, 2018, 2'', still da video. Courtesy l'artista e UNA, Piacenza-Milano

Irene Fenara, The outsider, 2018, 2”, still da video. Courtesy l’artista e UNA, Piacenza-Milano

Irene Fenara, The outsider, 2018, fotografie, Courtesy l'artista e UNA, Piacenza-Milano.

Irene Fenara, The outsider, 2018, fotografie, Courtesy l’artista e UNA, Piacenza-Milano.

ATP: Come sei riuscito a coinvolgere i quattro proprietari delle dimore? Come hanno vissuto questa esperienza ‘sperimentale’ ?

AL: Arca family nasce dalla precedente esperienza del progetto Albume. L’evento rientra nel contenitore ZOOART A.R.C.A. Arte Ricerca Comunità Abitare, a cura dell’associzione Art.ur, all’interno del quale una serie di attività coinvolgono artisti, designer e studenti di architettura a compiere una riflessione sul concetto di abitare. L’obiettivo, mediante progetti di ricerca, interventi contest specific è quello di compiere azioni che riescano a mettere in dialogo gli attori della comunità con gli artisti all’interno dello spazio privato, quello pubblico e nelle periferie urbane.
La relazione tra arte e dimensione privata ha quindi messo radici già qualche anno fa. Dopo le precedenti edizioni, la città di Cuneo sta dunque iniziando a riconoscere questo tipo di esperienza. Le famiglie sono state individuate tenendo conto di differenti fattori: dal profilo culturale e lavorativo alle caratteristiche dell’abitazione fino ai requisiti minimi di predisposizione e interesse al tipo di situazione. Ciò che va detto, e che risulta significativo, è il fatto che anno dopo anno sono le famiglie stesse a proporre il loro nucleo famigliare per ospitare la residenza. Questo è sufficiente per far capire quanto questo connubio tra arte e vita sia vissuto in maniera positiva ed entusiasta. Nulla di troppo sperimentale, Arca family mette in relazione l’intimità di un artista, il suo modo di vivere, di pensare e di creare con quella della famiglia. Il tutto con il sapore della normalità e dell’autenticità.

ATP: Quattro artisti molto diversi tra loro: penso alle incursioni nel design di Paolo Gonzato, alla particolare ricerca video di Irene Fenara ecc. Seguendo quale criterio e per quali ragioni li hai scelti?

AL: Si, sono quattro artisti italiani con modi di lavorare molto differenti. La scelta è stata intenzionale. Mi interessava proprio questo. Sono partito dalle loro ricerche e solo in un secondo momento ho pensato al come collocarli in un contesto così particolare. Volevo avere la possibilità di mettere in campo un pò tutti i medium, dal video all’installazione, dalla fotografia alla perforamance.
Scegliendo artisti che lavorano in queste direzioni ero incuriosito dalla possibilità di sperimentare le possibilità formali e semantiche offerte dal dialogo tra questi strumenti e i contesti domestici fortemente connotati. Il lavoro di Paolo Gonzato dialoga con il mondo del design, quello dell’architettura e della moda. È un condensato di energia esplosiva che molto spesso si espande nello spazio e in relazione ad esso. Quello di Calori&Maillard mi affascinava molto per la predisposizione fisica e performativa e, nell’ottica del risultato finale, per la capacità di interagire in maniera intelligiente con la dimensione interna, dunque privata, e quella esterna, quindi pubblica. La ricerca attuale di Irene Fenara mi sembrava invece racchiudere una predisposizione naturale al concetto della residenza. Apertura, inclusione, accoglienza e, per contro, chiusura, esclusione e respingimento. Infine Ryts Monet, artista che apprezzo per la grande capacità di spaziare da un punto di vista tematico e di sperimentare nelle modalità di restituzione formale dei lavori.

ATP: Immagino – visto che l’esito dell’esperienza si vedrà solo tra pochi giorni – che tu abbia assegnato le varie realtà famigliari alla peculiarità che contraddistingue la ricerca dei quattro artisti? Mi racconti cosa propongono i quattro progetti degli artisti?

AL: Si, la scelta e la collocazione di ogni artista all’interno dei quattro nuclei famigliari ha tenuto conto di diversi aspetti. Ho cercato di individuare possibili punti di contatto che fossero in grado di accentuare ed esaltare le potenzialità artistiche di ognuno. Allo stesso tempo, ciò che desideravo era generare un’esperienza forte, coinvolgente ed emozionante per le famiglie, che andasse al di là del risultato finale. Dunque, non solo immaginare la residenza come un percorso in grado di produrre un progetto espositivo finale, ma come una sorta di dispositivo attivatore in grado di generare un’apertura e dunque un cambiamento.

Paolo Gonzato ha vissuto a casa di Nicoletta Giuliano e Fabio Capponcelli. Qui l’esperienza artistica si è mescolata non solo con le dinamiche di vita quotidiana ma anche con quelle lavorative proprie della padrona di casa, sarta di professione. L’intervento di Paolo è formalmente l’essenza di Arca family. Il grande arazzo, l’opera su carta e la fotografia, partono dal pattern iconico che rende la sua ricerca riconoscibile e interagiscono con il modus operandi di Nicoletta, dando forma a una dinamica di accoglienza a più livelli. Conosciamo tutti la figura di Arlecchino. Parte dell’universo visivo dell’opera di Paolo Gonzato fa riferimento proprio a questa maschera. Tradizione vuole che fosse di origine poverissima e che il festoso costume realizzato con scampoli di vari colori gli sia stato confezionato dalla madre. Nell’ambito di Arca family 2018, l’azione del cucire è stato il filo conduttore che ha prodotto un intervento site specific frutto di un dialogo alchemico tra tutte le parti coinvolte.

Paolo Gonzato, Out of stock, 2018, tecnica mista su carta,150x250 cm. Courtesy l'artista e Apalazzo Gallery, Brescia

Paolo Gonzato, Out of stock, 2018, tecnica mista su carta,150×250 cm. Courtesy l’artista e Apalazzo Gallery, Brescia

Paolo Gonzato, Out of stock, 2018, stampa fotografica intagliata, 23,7x26,5 cm. Courtesy l'artista e Apalazzo Gallery, Brescia

Paolo Gonzato, Out of stock, 2018, stampa fotografica intagliata, 23,7×26,5 cm. Courtesy l’artista e Apalazzo Gallery, Brescia

Calori&Maillard hanno vissuto in casa di Mario Frusi ed Eliana Brizio, entrambi legati professionalmente al concetto di cura tanto del corpo quanto della mente e fondatori del progetto Noosoma. Dalla relazione con la coppia e grazie alle suggestioni offerte dal contesto urbano in cui si trova l’abitazione, le due artiste hanno deciso di compiere una riflessione sull’oggetto fontana. Una figura simbolica oltre che un elemento di arredo urbano. Un dispositivo architettonico che regala, in maniera gratuita e accessibile a chiunque, l’elemento vitale più prezioso per l’essere umano. L’acqua è infatti il soggetto individuato da Calori&Maillard per il loro intervento, pensato come spazio immersivo composto da un’installazione sonora, un’azione performativa realizzata grazie alla collaborazione dei padroni di casa, oltre a una serie di sculture e un banner esterno all’abitazione. La presenza di una fontana proprio sotto la camera da letto è stato l’evento attivatore di questo tipo di riflessione.
Irene Fenara ha invece vissuto a casa di Grazia Gallo (docente e artista) e dei suoi tre figli. La sua pratica recente si concentra sull’indagine del potere estetico e concettuale offerto dalle immagini prodotte da dispositivi come le telecamere di sorveglianza. L’oggetto di partenza, estremamente connotato rispetto a temi come la sicurezza e il controllo, sono il nodo centrale del progetto che ha deciso di ideare per Arca Family 2018. Partendo dalla passione della famiglia per il genere filmico horror, ha dato forma a una serie di opere che indagano il concetto di paura. Sentimento che diventa la causa principale di una pratica di respingimento, opposta a quella di accoglienza. Un’installazione video, frutto di registrazioni fatte dall’artista durante il periodo di residenza, oltre a una serie di fotografie compongono il suo racconto in stile dark-horror.

Infine Ryts Monet che ha vissuto a casa dell’architetto Luca Massimo e della compagna Michela Provenzano. Monet ha deciso di sviluppare il tema della residenza, l’accoglienza, mediante una riflessione sul concetto di soglia. Stimolato da un argomento estremamente attuale, quello che ha visto protagonista il confine tra Italia e Francia come luogo catartico del recente dibattito sull’immigrazione clandestina, l’artista presenta un’installazione site specific e una serie di grandi cianotipie. L’intervento principale di Monet è costituito dalla grande scritta fosforescente JUSQU’ICI TOUT VA BIEN allestita in una stanza totalmente buia. Grazie a un’esperienza visiva che chiama in causa lo spettatore per poter essere attivata (è il visitatore che “accende” l’opera mediante una gettoniera), Ryts Monet mette in evidenza il concetto di partecipazione e di responsabilità. L’arte diventa l’espediente per una riflessione sul potere generativo che le nostre scelte, le nostre azioni e il nostro modo di vedere può avere sullo spazio sociale e sulle dinamiche che lo regolano. Allo stesso modo, in quella che Amitav Ghosh ha definito come l’era della “Grande Cecità”, la riflessione che Ryts compie sulla luce (elemento centrale in tutti i lavori pensati per questo progetto) è l’invito a uno sguardo maggiormente consapevole.

ATP: Mi chiarisci le motivazioni attorno a cui si è scelto, come nucleo tematico dell’edizione di Arca family, l’ “accoglienza”? Come è stata coniugata negli interventi degli artisti?

AL: Il nucleo tematico attorno al quale si sviluppa l’edizione 2018 di Arca family è l’accoglienza. Un concetto chiave che ricorre in maniera costante nel nostro presente e una specificità per una residenza che basa le proprie fondamenta su dinamiche inclusive.
In un presente in cui la situazione geopolitica internazionale mette al centro del dibattito politico il massiccio spostamento dei popoli, l’esperienza di residenza in famiglia diventa infatti l’occasione perfetta per riflettere su un fenomeno di stretta attualità.
Partendo da questo riferimento gli artisti sono stati invitati a compiere una riflessione personale sul concetto di accoglienza. Non ho spinto gli artisti verso una direzione particolare, piuttosto li ho lasciati liberi di riflettere su questo tema nel modo in cui ritenevano più opportuno. Sono molto felice di come questo argomento sia stato declinato nei quattro interventi. Sono tutti estremamente raffinati e al tempo stesso occasioni per compiere riflessioni molto serie che vanno oltre il concetto stesso di accoglienza. Nei quattro interventi, il significato di questa parola è stato rimodulato in base alle dinamiche esperienziali e alla relazione diretta con lo spazio privato e quello pubblico, ma soprattutto, attraverso l’esperienza di confronto e di dialogo con le famiglie che, in quanto coprotagoniste di Arca family, sono coideatrici delle opere e del loro palinsesto semantico.

ATP: Il punto di forza del progetto Arca family – ma a mio avviso anche il suo punto debole – è la sua brevità. Si potranno visitare gli interventi degli artisti solamente da venerdì 30 novembre a sabato 1 dicembre. Quanto questo breve lasso di tempo ha condizionato l’intero iter progettuale? Non si potrebbe ipotizzare una visita anche oltre le due giornate?

AL: Arca family è pensato per essere una sorta di happening collettivo. Questo colloca immediatamente l’evento in una dimensione temporare più ristretta. La brevità, l’intensità, l’aspetto interattivo e partecipativo è parte del DNA di questo progetto.

È naturale che tutto questo generi una riflessione come quella da te sottolineata. Nel rispetto dell’identità di Arca family penso però che al posto di allungare il periodo di mostra, sarebbe forse più interessante incrementare il numero di case, di partecipanti e dunque di artisti. L’immagine di una grande ragnatela di abitazioni che si uniscono in una parata di eventi espositivi all’interno della città di Cuneo è certamente uno scenario affascinante e al tempo stesso inedito.

Ryts Monet, Blue holes, 2018, impressioni dirette su carta fotosensibile, 150x100 cm ognuna, dettaglio. Courtesy l'artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Ryts Monet, Blue holes, 2018, impressioni dirette su carta fotosensibile, 150×100 cm ognuna, dettaglio. Courtesy l’artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Ryts Monet, Blue holes, 2018, impressioni dirette su carta fotosensibile, 150x100 cm ognuna. Courtesy l'artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Ryts Monet, Blue holes, 2018, impressioni dirette su carta fotosensibile, 150×100 cm ognuna. Courtesy l’artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

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