Testo di Chiara Bucolo —
Antefatto
Urbanizzazione, inquinamento, trasmissione non sono solo due temi peculiari dell’ultimo decennio, ma anche del progetto nomade “Sposare la Notte” dell’artista e autore g.olmo stuppia: un attraversamento psicogeografico concepito come quattro derive ai margini di contesti provinciali italiani tra Venezia e Palermo, e restituite al pubblico in video poetici ed evocativi, in occasione del Padiglione Italia della 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Le due Isole in cui l’artista vive (Venezia) e da cui proviene (Palermo), sono esemplari di contesti urbani fragili, resi sempre più precari dal turismo di massa e dalla crisi generata da uno sfruttamento energivoro di idee e corpi – uno sfruttamento mentale, un consumismo sfrenato, asservito a pure leggi mercantiliste, apparentemente svincolate dall’etica. Sposare la notte Ep. III, ad esempio, ha attraversato Brancaccio per oltre 15 km a piedi, riaprendo una antica chiesa abbandonata ai piedi di Monte Grifone, e poi scoprendo nicchie, porzioni di territorio, luoghi sacri e luoghi mafiosi, completando a tarda notte la salita con la vista surreale dal San Paolo Palace Hotel, dove i Fratelli Graviano progettavano l’assalto al capitale lombardo, manus “Forzista”. Arti visuali come archivio delle fantasmagorie incoscienti di un Paese che perde la dignità demografica, che viene salvato solo dalla sua Storia e dalla sua geografia.
Fatto
Le memorie, per essere ricordate, si trasmettono. E da un racconto paterno l’artista elvetico-boemo Martin Chramosta, nella sua personale Anténa, sviluppa il suo discorso sulla trasmissione e sull’urbanizzazione: l’antenna-scultura cigno, di 350cm in altezza, troneggia nel salone geometrico di Cassata Drone, in via Malta 21, a partire da un ricordo intimo del passato (il centro commerciale sovietico Bílá Labuť di Praga di cui il cigno è il simbolo) e invitando a una trasmissione pacifica, in contrasto con le antenne che dominano la nostra era e che pretendono di connetterci spasmodicamente ad uno stile di vita insano e frenetico, dal Muos a Sigonella fino al 5G. Il connubio del lavoro artistico e di ricerca di Chramosta e g.olmo stuppia, concentrandosi su una delle strumentazioni principali dei nostri tempi, l’antenna, introduce e amplia la riflessione sulla contemporaneità: dalla scelta di richiamare un edificio simbolo dell’architettura d’avanguardia a cavallo tra le due guerre, sino alla decostruzione del concetto stesso di trasmissione attraverso la scultura in ferro. L’antenna-cigno, sfidando la verticalità, attua una strategia di resistenza, in cui non si presenta come veicolo di fredde trasmissioni dati per le basi militari o per internet, ma come un’antenna positiva, capace di distruggere l’illusione distopica in cui viviamo e proponendo uno scambio autentico tra gli individui. Chramosta trasforma il sogno di una promenade praghese in linguaggio plastico, “densificando” terracotte raffinate e antenne appollaiate alle balconate, in un “impasto” dal potente portato fantastico e artistico. Un’antenna, una tecnologia che trasmette in fm il verso di un poema, “Bohemia a desert country near the Sea”: un trasmettere, storicamente peculiare della guerra segreta, che l’artista impiega per ritorcergli contro i suoi segni, usando i suoi stessi elementi contro la violenza della visione dominante e massificata. Una trasmissione non solo di ricordi ma che diviene un “oltrepassare” fisico da Basilea a Palermo, nel viaggio intrapreso da g.olmo stuppia e Chramosta – uno spostamento materiale ma anche di reminescenze evocate, dal Nord Europa al centro del Mediterraneo, come a chiudere il cerchio dell’opera errante inaugurata da Sposare La Notte.
A circondare l’antenna monumentale che dà il titolo alla mostra, dei medaglioni in terracotta in cui sono raffigurati diversi animali, tra cui una rondine, un coccodrillo, un tritone, un serpente, un’arpia e un gufo. Animali che nella storia hanno anche un ruolo nei racconti mitologici (il gufo simbolo della dea Atena, l’arpia mostro metà uccello e metà donna nei miti greci): un templum, come afferma l’artista, di cui cerchiamo di leggere i segnali e in cui l’antenna ha il ruolo non solo di trasmettitrice, ma anche di ascoltatrice. I medaglioni contribuiscono a creare un’atmosfera quasi eterea e a concepire la Boemia come una terra sovrannaturale, il cui gufo è anche il simbolo.
Nella fiaba ceca “Tre Colombe” il figlio diciannovenne di un mercante, alla morte del padre, va per il mondo in cerca di fortuna: dopo diverse peripezie, entra a servizio di uno stregone, il quale possiede uno stagno in cui tre colombe dalle piume d’oro, capaci di realizzare ogni desiderio, vanno a bagnarsi. A causa dell’incuria del ragazzo le colombe andranno perdute, e il fratello dello stregone richiamerà in aiuto intorno a loro animali di ogni genere: scoiattoli, lupi, rapaci, civette e ogni specie selvatica, come li troviamo radunati intorno all’antenna di Chramosta, qui sottoforma di attivatori totemici che divengono un varco per una terra allegorica di magie e incantesimi, di storie notturne la cui ambientazione tipica è la foresta boema, cupa e enigmatica, animata da creature singolari e fantastiche (il drago raffigurato in uno dei medaglioni che è anche protagonista di diverse fiabe, oltre che dell’architettura di molte città dell’Europa dell’Est nel Medioevo).
Lo smalto verde ungherese con cui sono adornati, simile alla maniera medievale, contribuisce a riportare lo spettatore a un tempo passato, ma di cui al contempo non si possono individuare le coordinate storiche: è il passato, ma è anche il presente, un limbo fatato e evanescente in cui come nelle fiabe si esorcizzano i fenomeni inspiegabili e minacciosi, concretizzati dalle antenne che incombono incessantemente nel paesaggio intorno a noi. La civetta esplica l’ambiguità dell’ambiente fiabesco: è colei che funge da guida nella selva oscura, con la sua abilità di percepire e di muoversi nel buio (gli attacchi dei droni avvengono di notte), ma è anche colei che “vede”, e la sensazione della nostra epoca è quella di essere costantemente guardati, osservati, controllati. Ci muoviamo alienati e sempre più distanti l’uno dall’altro nell’illusione di essere sempre connessi: nell’esorbitante profluvio di informazioni in cui siamo imbrigliati quotidianamente, nella costante sorveglianza a cui siamo sottoposti, abbiamo perso l’abilità di comunicare.
Così l’antenna-cigno, circondata e protetta dagli amuleti come in un rituale arcaico, acquista una valenza quasi divina, che si contrappone all’antenna-scape degli insediamenti urbani odierni, e alla sua funzione prettamente utilitaristica e terrena di neon issato sopra l’edificio avanguardista praghese. L’imponente scultura, come la civetta, riflette anch’essa l’ambiguità dei racconti folkloristici e della nostra epoca: impassibile e benevola insieme, non sappiamo se ci potrà tirare fuori veramente dai meccanismi in cui siamo imbrigliati o se è solo un elemento consolatorio, e non importa saperlo, nel momento in cui grazie a lei continuiamo a sperare. Anche se con l’antenna-cigno le antenne militari continuano indisturbate, lei resiste saldamente, compiendo un atto di resistenza silenzioso, prezioso, dolce ma potente, rendendo la condizione in cui versiamo meno amara. L’Anténa è uno statement che asserisce che la memoria è tra le armi più potenti che ognuno di noi possiede, capace di creare connessioni autentiche e profondamente intime. La percezione tattile dell’antenna viene coniugata dall’artista alla percezione del proprio sentire, e del percepire l’altrui non come un nemico o un alleato in senso bellicista, ma come una presenza a noi interconnessa in maniere invisibili eppure presenti, reali.
La Boemia diviene quindi non solo una terra fisica ma anche uno stato mentale, un luogo ideale. “Bohemia, a desert country near the sea” dichiara il verso shakesperiano trasmesso in diverse lingue dall’antenna-cigno, e capiamo subito che quel paese deserto vicino al mare non è solo la Boemia, ma anche la Sicilia, luogo della mostra e di un’ “antennificazione” selvaggia, luogo del militarismo feroce e della cassata, un dolce sontuoso e opulento che dà il nome allo spazio espositivo, che così Chramosta riconnette alla propria eredità e al proprio bagaglio culturale. La cassata è un dolce “eccessivo”, i cui sapori e colori sono portati all’estremo, simbolo della stratificazione di culture, modi di vivere, usanze, culti, lingue che caratterizza la Trinacria, in cui le infrastrutture militari costituiscono l’ultimo strato: dai bracci aridi delle antenne del Muos di Niscemi, emblema della sudditanza politico-militare dell’Italia verso l’America e di una Sicilia concepita come un’unica portaerei, alle antenne del wifi e della televisione, viene così decostruito lo sguardo militare gerarchico, lo stesso dei droni che controllano i civili inermi dall’alto. La Sicilia è anche una “desert land” che continua a spopolarsi sempre di più, con l’annuale migrazione di massa dei siciliani verso il Nord Italia e l’estero. In Winter’s Tale Shakespeare colloca la Boemia al centro del Mediterraneo: il collegamento semantico con la Sicilia attuato dall’artista la trasforma così da luogo ideale a luogo materico.
Il discorso poetico diviene concreto e fisico attraverso l’uso di materiali cari all’artista, quali il ferro e la terracotta, a comporre i medaglioni degli animali-totem che circondano l’antenna in una nuova cosmogonia dal sapore magico, come a proteggerla. Tutti i medaglioni (27x27cm) sono realizzati in ceramica e decorati da smalto ungherese antico, mentre entrambe le antenne, Antèna (350x180x60cm) e Malà Antèna (62x28cm), sono rispettivamente realizzate in ferro e rottami di ferro.
Come scrive g.olmo stuppia, “la trasmissione avviene tramite il tatto, ‘l’odore sanguigno del ferro’. La mano di efesto che batte nel cuore dell’Etna”. Non più una semplice trasmissione fm, ma una trasmissione verso il cielo, in una riconversione dell’antica esigenza di riconnettersi al divino. Gli animali totem vengono contestualizzati nel territorio trovando un riferimento nelle figure dei bassorilievi della banca di fronte, visibili dalla visuale mozzafiato che si presenta dal balcone del palazzo; mentre l’antenna cigno, che si riconnette a un’altra antenna scultura all’esterno, trova un fil rouge con le antenne sopra la collina che sovrasta il quartiere Khalsa, il quartiere dello spazio Cassata Drone Expanded Archive in cui si svolge la mostra, rilanciando e valorizzando visioni profonde del Meridione italiano e del Mediterraneo. Uno spazio espositivo palermitano aperto gratuitamente alla città, reso accessibile con enormi sacrifici in via Malta 21 con l’intento di contrastare la militarizzazione del Mediterraneo e propone un gradualismo progressista per la Sicilia, una visione rivoluzionaria, stanti i tempi. In un edificio razionale, bombardato dalla RAF nel 1943, un edificio scrigno del ‘900. Citando g.olmo stuppia, “una mostra che prova a ricucire le lacerazioni tra sud e nord, est e ovest, accogliendo gli ingredienti migliori come un pregiato dolce di ricotta, un nutrimento visivo”.
Mentre il pianeta è consumato dai conflitti, l’antenna cigno svetta delicata e insieme rigida, dura: come lo è la Panormus che la ospita, tra rosa e nero.
La mostra è visitabile su appuntamento fino al 18 Maggio ed è accompagnata da un workshop Venerdì 3 Maggio in collaborazione con l’Università di Palermo, di cui esito finale sará la valorizzazione del catalogo postumo su Palermo e Antena, curato da g.olmo stuppia, Arianna Marcolin assieme a PostMedia Book, Milano.
Antèna – Martin Chramosta
dal 4 aprile al 30 maggio 2024
curata da g. olmo stuppia
Cassata Drone Expanded Archive
via Malta 21, 90133 Palermo
cassatadrone.org
associazione Marcovaldo, Paris
Associazione R, Venezia
Con il sostegno di Kanton Kultur Basel Stadt – Darch Unipa