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Anna Perach – Liminal Being | ADA, Roma – Conversazione con l’artista

Intervista di Gaia Grassi — Nella sua ricerca, Anna Perach si è sempre dedicata allo studio della femminilità e della sua percezione nella società indagando una varietà di ambiti, dal folklore alla stregoneria, dall’anatomia alla psichiatria. Le opere esposte presso la galleria ADA, create durante un progetto di residenza al Castello San Basilio (MT) nell’estate […]

Anna Perach, Liminal Being, 2023 Installation view at ADA, Rome Courtesy of ADA, Rome Photo by Roberto Apa

Intervista di Gaia Grassi

Nella sua ricerca, Anna Perach si è sempre dedicata allo studio della femminilità e della sua percezione nella società indagando una varietà di ambiti, dal folklore alla stregoneria, dall’anatomia alla psichiatria. Le opere esposte presso la galleria ADA, create durante un progetto di residenza al Castello San Basilio (MT) nell’estate del 2023, portano avanti questo tema caro all’artista, sperimentando con nuovi supporti, formati e materiali. 

Segue l’intervista con l’artista —

Gaia Grassi: Questa tua seconda mostra da ADA mi sembra possa segnare un nuovo momento della tua sperimentazione artistica. Per la prima volta, dopo una grande produzione di sculture e acquerelli, ti sei cimentata in un formato nuovo, una sorta di quadro, incorniciato dal telaio su cui cuci. Mi potresti raccontare da dove è nata quest’idea?

Anna Perach: Nel mio studio ho un grande telaio, molto più grande di questo. Ci stendo sopra della stoffa e poi ci lavoro con il tufting (una tecnica manuale di tessitura dei tappeti). Intesso solo da un lato, tanto che si può facilmente osservare qual è il lato su cui ho lavorato. Quando lavoro alle sculture, mi trovo costantemente a guardare la cornice del telaio, e a un certo punto ho iniziato a comprenderne il potenziale. Quindi questa è una sorta di nuova direzione che sto sperimentando per la mia pratica. Il primo telaio che ho fatto era per un progetto diverso ed era un telaio con motivi, perché solitamente è ciò che vedo quando faccio il tufting. Ciò che si è creato sono due immagini, una sorta di doppia immagine in trasformazione che si può guardare da entrambi i lati. Quindi, indipendentemente da come la guardi, cambia la forma e massimizza le possibilità del cucito.

GG: Quindi hai messo in mostra il processo di costruzione e di studio dell’immagine, prima che diventi scultura.

AP: Esatto, lo stesso succede per gli acquerelli, che sono i miei materiali di studio. Anche questi nuovi lavori sono nati come acquerelli, come la maggior parte delle mie opere, ma poi mi sono chiesta: perché non provare a trasferire l’immagine stessa direttamente sul telaio? Gli acquerelli tendono a sfuggire dai confini, io spesso provo a ridefinirli con i pennarelli, ma loro prendono forma da soli. Con queste nuove opere è un po’ la stessa cosa, anche loro perdono un po’ i confini. La stoffa è un po’ trasparente e si vedono i contorni di entrambi i lati contemporaneamente. In The Hysteric (2023) ho eseguito un processo di destrutturazione. Ci sono oggetti, come questa sorta di serpente che invade il corpo della donna, c’è una creatura. Sta succedendo qualcosa lì. La bocca è aperta e sta uscendo qualcosa da essa, il seno sembra come se la pelle fosse stata rimossa, come un disegno anatomico, in un certo senso. Nell’immagine, il corpo è completamente dissolto in diverse immagini. Si vede il midollo spinale e ci sono delle cose che crescono da esso, come della vegetazione. E poi ciò che è davvero grande è l’utero.

Anna Perach, Liminal Being, 2023 Installation view at ADA, Rome Courtesy of ADA, Rome Photo by Roberto Apa

GG: Il nome della mostra Liminal Being, sembra proprio rimandare a questa mancanza di confini di cui parli. Il tuo modo di lavorare con il corpo sembra raccontare un qualcosa di mitico, di classico, ma allo stesso tempo di molto personale. Quali sono stati i tuoi riferimenti nel realizzare questa nuova produzione?

AP: La ricerca per questa mostra ha a che fare con tre tematiche principali: l’osservazione delle Veneri Anatomiche, la storia delle donne con isteria ricoverate a Pitié-Salpêtrière, un famoso ospedale psichiatrico di Parigi, e la storia della stregoneria. Ho notato una sorta di modello ricorrente in tutte e tre le tematiche nel corso degli anni. Per storia della stregoneria, intendo le immagini della stregoneria e il modo in cui queste venivano sviluppate. Nel XVII secolo, esistevano molti canoni riguardo alla bellezza classica. Per ribellarsi a ciò, alcuni artisti si inventano una sorta di “scusante”, come la rappresentazione di una strega, un essere mostruoso che sfida le regole della natura. La bellezza infatti non si applicava a questa figura. L’opera che vedi qui davanti (The Hysteric) si basa su un’immagine chiamata La donna che defeca, che essenzialmente raffigura una donna seduta in una posizione molto simile, con una piccola pozza d’acqua sotto di lei. Un altro elemento comune nella stregoneria è la presenza di un animale o una creatura da compagnia attraverso il quale la donna si relazionava al diavolo. Nell’opera, c’è una creatura che forse sta nutrendo, oppure potrebbe essere una capra che cavalca fino al Sabba, dove tutte le streghe si riuniscono per compiere i loro rituali. Per individuare una strega, le donne venivano spogliate o punte con aghi o oggetti appuntiti. Se sanguinavano, o se venivano trovati sul corpo segni che sembrassero capezzoli, ma non sul seno, si diceva che fosse un segno che stavano allattando i figli del diavolo. Questo è il tipo di pensiero che sta alla base di tutto ciò. In generale, mi interessa questa figura passiva di donna investita di un dolore indicibile e considerata quasi come estranea alla natura, appunto come una strega, una creatura senza confini e che poteva essere penetrata per scoprirne la mostruosità. Passando all’isteria, a Salpêtrière c’era una cosa chiamata le “lezioni del martedì”, in cui il neurologo Jean-Martin Charcot, invitava una delle pazienti e la ipnotizzava di fronte a un pubblico di soli medici maschi. Secondo alcuni resoconti che ho letto, le donne si comportavano in maniera esagerata per compiacerli. Le foto sono impressionanti, ci sono queste donne molto erotizzate, con il seno scoperto, trasportate da convulsioni isteriche. Spesso poi cadevano o si buttavano per terra. Molto teatrale. Quindi anche qui c’è una donna passiva, il cui corpo viene sfruttato in modi diversi. E poi il terzo riferimento riguarda le Veneri Anatomiche.

GG: Eccoci alle Veneri Anatomiche, mi hanno colpito subito quando ho saputo del tuo progetto. Quindi anche loro sono delle raffigurazioni passive di donne?

AP: Sì, è esattamente la stessa cosa. L’aspetto interessante è quanto le Veneri siano erotizzate. Queste sculture erano realizzate per scopi didattici, ma sono rappresentate con collane di perle, capelli veri e un’espressione orgasmica. Anche il fatto che si possano costantemente ruotare e smontare e rimontare. C’è qualcosa di veramente… Non so, sento come se ci fosse una penetrazione fisica, ma anche mentale, in un corpo davvero passivo o posto in una posizione passiva. Questo è il fulcro della mostra. In un libro ho visto un’immagine di una Venere Anatomica che mi ha colpito. Mostravano, credo, una procedura ginecologica o qualcosa del genere e si vedeva il busto di una donna e all’interno del suo corpo c’era una grossa mano. Mi ha inquietato molto guardarla. Ho avuto l’impressione che il mio corpo si stringesse. Infatti, l’idea della mano/serpente in The Hysteric è nata da lì. A tutto ciò, ho aggiunto una teoria della psicoanalista Julia Kristeva. Nei primi anni ’80 ha scritto un testo molto importante chiamato Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione. Fondamentalmente, studia un momento precedente a quello analizzato da Freud. Freud sostiene che per uno sviluppo naturale e normale deve esistere la connessione tra madre e figlio, che prosegue in maniera incondizionata fino a quando il padre non entra in gioco e fa comprendere al bambino di essere un ente separato dalla madre. Quello che Kristeva dice è che, prima che il bambino possa separarsi dalla madre, deve rifiutarla. Questo succede quando il bambino esce dall’utero. Ciò che rifiuta non è necessariamente la madre stessa, ma l’idea di essere fluido, di essere una creatura in piena continuità con la madre. Se portiamo questa idea più in là come metafora sociale, quello che la società patriarcale fa è rifiutare questa idea della donna come madre, ma ancora di più quella della donna come una creatura senza confini, così come una strega. Fondamentalmente, secondo Kristeva, tutto ciò che ci ricorda lo stato di mancanza di confini è spaventoso per noi a un livello molto primitivo, come un istinto primordiale. Quindi il tutto gioca su questa sensazione di in betweeness, di mancanza di confini. Come in Dismembered Venus (2023), dove anche il corpo è rappresentato con diversi punti di vista. 

GG: È vero, l’immagine ha diversi punti di vista, soprattutto, e non solo, perché si può leggere su entrambi i lati. Puoi dirmi di più su questo modo di vedere l’opera?
AP: Questa è un passo ulteriore nella mia ricerca artistica. Qui il corpo è completamente dissolto. In un certo senso, la gamba scorre, la mano si trova dove dovrebbe essere il bacino. Si può vedere all’interno del corpo. Anche il fatto che la stoffa sia trasparente, sembra quasi che stia volando, scorrendo, almeno è questa l’intenzione, come se stesse scorrendo nello spazio. 

GG: Il feto in quest’opera invece rappresenta questa relazione senza confini tra madre e figlio?
AP: Sì, e sta per emergere dall’utero. In tutta onestà proviene anche dalle Veneri Anatomiche, perché un altro aspetto interessante è che questi manichini non mostrano mai segni visivi di gravidanza, ma c’è quasi sempre un feto. Alla fine questo che faccio è osservare e unire tutti i miei riferimenti che poi si collegano a un’altra immagine ancora.

Anna Perach, The Hysteric, 2023 tufted Axminster yarn & pine wood 140 x 190 x 6 cm Courtesy of ADA, Rome Photo by Roberto Apa

GG: Parliamo delle sculture. Fino ad ora abbiamo discusso sul tuo studio del corpo della donna e anche della storia, dell’idea di strega come quella di madre. Le sculture sembrano discostarsi leggermente da questo tema femminile, anche se hanno ancora forti componenti anatomiche.

AP: In Untitled (2023), il disegno è ispirato all’anatomia umana e il supporto di legno non è un semplice supporto. Spesso le mie sculture, quelle performative e autoportanti, hanno delle strutture in legno che le sostengono. Quindi qui la struttura in legno diventa in qualche modo il suo scheletro. Mentre l’utilizzo della ceramica per le braccia è una novità pe me. 

GG: Sì, volevo chiederti della ceramica, proprio perché non l’avevo mai vista nei tuoi lavori.

AP: Sono sempre stata interessata al vetro, che non è necessariamente più semplice, ma è un materiale molto emozionante perché, mi è stato detto, il vetro non smette mai di muoversi. Anche quando raggiunge la sua forma finale, c’è sempre un piccolo movimento, anche se invisibile. Mi piace molto questa idea, ma è tanto attraente quanto fragile. Comunque, quando ho iniziato a pensare alle sculture, ho parlato con Carla (Carla Chiarchiaro, proprietaria della galleria d’arte ADA) della mia idea di usare il vetro, lei sa che sono anni che ci penso. Ma quando abbiamo saputo che avrei realizzato i miei lavori in residenza in una zona con una lunga tradizione di ceramica, abbiamo detto, perché no, proviamo. Quindi in un certo senso l’utilizzo della ceramica è stata una decisione dettata della residenza.

GG: Quindi la ceramica è una testimonianza della residenza che hai fatto a San Basilio. So che conosci l’Italia e che sei stata qui spesso, ma in che modo quest’esperienza ha influenzato la tua produzione per la mostra da ADA?

AP: Sì, lavorare con la ceramica è stata sicuramente un’influenza diretta della residenza. Anche The Rack (2023) doveva essere completamente diverso inizialmente. Doveva essere simile a Untitled in un certo senso, tipo una scultura che emerge dal muro. In realtà, non so quanto sia chiaro, ma sono due lati sono dello stesso soggetto, quasi come un profilo. Ma l’ho aperto. Inizialmente il profilo era chiuso avrei dovuto montarlo su un supporto di legno. Ma poi durante la mia residenza, stavo sperimentando alcune cose e, non ricordo se c’era un nesso diretto, ma abbiamo deciso di aprirlo. Ricordo il momento in cui l’ho aperto e poi è diventato così. Ah, sì, ora ricordo da cosa derivava. Ho sempre avuto in mente di farlo. L’ho aperto, ma non ero sicura di come avrei voluto mostrarlo. Poi, ho notato che lo spazio in cui stavo lavorando al Castello San Basilio ricordava una chiesa. E allora ho pensato, perché non esporlo lì, in alto?

GG: Un po’ come un’icona.
AP: Esatto. Sugli altari delle chiese ci sono le icone di personaggi religiosi, spesso sottoposti a tortura, come Gesù. L’opera rappresenta un corpo sottoposto allo “stiramento”, l’allungamento degli arti tramite strumenti di tortura. Anche questa quindi è stata un’influenza diretta della residenza, è stato lo spazio a richiedermelo.

GG: E come ti sei trovata in residenza, passando da una metropoli caotica come Londra a una piccola cittadina come San Basilio?
AP: È stato interessante perché è un cambiamento così diverso…Rispetto a Londra lì non c’è niente. La residenza stessa è stupenda e mi sono sentita davvero accolta, molto supportata e nutrita. Era davvero bellissimo, così come il posto stesso e anche la spiaggia. È stata un po’ complicata per quanto riguarda la produzione. Non è stato così facile come sarebbe stato in una grande città come Roma o Londra trovare professionisti con molta esperienza. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Penso che sia davvero uno spazio meraviglioso per andare a pensare e a fare ricerche. Puoi concentrarti sul tuo lavoro fondamentalmente, non hai molte distrazioni intorno.

Anna Perach, Liminal Being, 2023 Installation view at ADA, Rome Courtesy of ADA, Rome Photo by Roberto Apa