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Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts | Triennale Milano

Testo di Davide Militano — “…un’entrata in scena, sempre uguale a se stessa, senza fine e senza uno scopo, se non quello di muoversi e muoversi ancora, per poi fermarsi.” Diceva così Anna Franceschini in riferimento a una sua installazione video realizzata nel 2012, dal titolo: The Stuffed Shirt. Nel film vediamo un utilizzo della […]

Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, Installazione presso Triennale Milano, 2023. Foto Andrea Rossetti
Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, Installazione presso Triennale Milano, 2023. Foto Andrea Rossetti

Testo di Davide Militano

“…unentrata in scena, sempre uguale a se stessa, senza fine e senza uno scopo, se non quello di muoversi e muoversi ancora, per poi fermarsi.” Diceva così Anna Franceschini in riferimento a una sua installazione video realizzata nel 2012, dal titolo: The Stuffed Shirt. Nel film vediamo un utilizzo della cinepresa – 16 mm – come rianimatrice di macchine stiratrici industriali chiamate dressmen, mentre eseguono le loro funzioni nel luogo di produzione, sottolineando il valore scultoreo insito in esse.
In occasione della sua personale alla Triennale di Milano – in corso fino al 2 luglio, a cura di Damiano Gullì – l’artista libera le dressmen dall’inquadratura dislocandole nello spazio.
Non appena entrati nella sala espositiva veniamo travolti da una danza infinita, composta da movimenti continui e ripetuti, alternati da piccole pause. L’installazione della Franceschini riflette sulla dimensione del corpo e sul suo rapporto con il mondo artificiale che lo ospita.
Il titolo, All Those Stuffed Shirts, fa riferimento a un modo di dire anglosassone che indica qualcuno pieno di sé, presuntuoso, colui che comunemente definiamo “pallone gonfiato”; la Franceschini pone inoltre un accento sull’abito riferendosi a chi lo indossa, come mero riempimento.
L’impianto espositivo è composto da sette di questi dispostivi per la stiratura automatica, modificati nella loro meccanica e rieducati a favore della volontà scenica e sonora della performance. Tramite un algoritmo studiato appositamente, assieme all’artista Matteo Nasini (Roma, 1976), le dressmen compiono vari movimenti, attraverso un’unica e sostanziale materia: l’aria.  

Il rumore dei soffi in sottofondo, rimanda all’atto di sopravvivenza dell’essere umano per eccellenza: il respirare, che accompagna lo spettatore verso questa dimensione esistenziale in cui corpi vuoti ed effimeri reclamano la loro presenza, sollevando domande sulla libertà e la soggettività.
Le dressman riempiono di vita questi corpi, facendoli quasi esplodere, li spinge al limite, fino a una sorta di arresto cardiaco che li fa crollare per poi ripartire. La seduzione scaturita dall’eterna ripetizione ricorda inevitabilmente i video reel di social come TikTok o Instagram, che scandiscono le nostre giornate; queste creature incarnano quindi una società ormai dedita all’automatismo all’interno di questa “Gif” infinita.

Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, Installazione presso Triennale Milano, 2023. Foto Andrea Rossetti

Le macchine riempiono e svuotano questi corpi a loro piacimento ponendo l’attenzione sul come dobbiamo essere noi umani a decidere l’andamento della storia e delle nostre vite; abbiamo lasciato alle macchine la facoltà di decidere per noi stessi, di farci apparire e sparire all’interno di contesti digitali a seconda degli stessi algoritmi dai noi creati, che oramai funzionano in maniera totalmente indipendente.

Citando la Megamacchina di Günther Anders: queste macchine, funzionano come un “dispositivo autonomo” in cui noi individui viviamo come ingranaggi, inconsapevoli di far parte di questo grande apparato. Anders descrive come si è passati da un’universalizzazione della categoria del “mezzo” ad un mondo ridotto ad essere un “universo di mezzi”. Secondo il filosofo, nel tempo si è creata una disparità che si fa sempre più grande tra ciò che l’uomo è in grado di produrre e l’incapacità di prevedere le conseguenze delle cose da lui prodotte. Le macchine, a differenza dell’uomo, sono pressoché perfette, godono di un’efficienza e di una funzionalità che superano di gran lunga i limiti imposti all’uomo: ecco perché per Anders l’uomo è diventato “antiquato” ed ecco perché una mostra come quella della Franceschini in Triennale diventa importante: ci fa riflettere sulla drammatica prospettiva che l’uomo è – metaforicamente – sostituibile con della semplicissima aria. 

La pratica dell’artista, caratterizzata da un’accurata ricerca intorno ai dispositivi di ricezione e le loro qualità tecnico/materiche, affronta inoltre la tematica del cinema come macchina che rivitalizza ciò che è inanimato, riconsiderando la “macchina come cinema”, ovvero una screenless animation, termine con il quale la Franceschini ama definire le sue creature meccaniche. La scelta dei supporti, dei colori, e delle luci donano alla sala un aspetto fortemente asettico, un’estetica simile a quella degli interni di un’ospedale.
Tra le sette creature portate in mostra ne vediamo distinguersi una: l’unica posta in obliquo, legata ad una catena e con un arto in meno, l’unica che sembra aver tentato una fuga ma senza riuscirci. Inoltre, come possiamo notare, la forza generata dall’aria che spinge verso fuori, fa si che i manichini generino movimenti di tipo liberatorio, quasi come se ciò che si trova al loro interno abbia una voglia irrefrenabile di uscire fuori. 

Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, Installazione presso Triennale Milano, 2023. Foto Andrea Rossetti
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