Anna Conway e il suono nei quadri

Sarebbe troppo facile avvicinare la pittura di Anna Conway – ingannevole è il suo stile pittorico, lenticolare, perfetto, lucido, calibrato come i quadri di Dalì o, per diversi aspetti, Magritte – al Surrealismo.
9 Giugno 2016
Anna Conway Perseverance 2015 olio su lino   76,  2 x 121,  9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway Perseverance 2015 olio su lino 76, 2 x 121, 9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

“Sembrerà strano, ma spesso, per scegliere l’atmosfera o il colore da cui cominciare, immagino il suono nel quadro.” Questa e molte altre sono le osservazioni che mi hanno colpito della lunga e approfondita conversazione avvenuta tra l’artista Anna Conway e Bob Nickasnel, pubblicata nel catalogo della mostra Purpose alla Collezione Maramotti (fino al 31 luglio 2016).

Il suono, racconta l’artista, influisce nella gestazione dei suoi quadri, ma anche un particolare momento della giornata, il tempo che fa, la temperatura. Colori e tono seguono allora certamente i fattori ambientali esterni allo studio dell’artista, ma anche il suo passato entra, in modo a volte preponderante, nelle sue tele. L’infanzia, gli incontri, le suggestioni dei luoghi, la memoria che, a volte, si confonde con l’immaginato o il vissuto trasfigurato.

Parca e lentissima nelle sue produzioni – due aspetti assolutamente lodevoli -, la Conway presenta in Collezione cinque grandi tele: altrettanti racconti o, come spiega l’artista “momenti molto privati e personali in cui gli adulti quando parlano tra sé e sé o cercano la forza di superare un momento di difficoltà o di noia, o quando sono spaventati. Pensavo ai momenti in cui una persona è paralizzata nell’intimità del momento, o si sveglia nel cuore della notte e si sente disorientata come quando era un bambino. Questo è Determination. (2015)”. Buio, ombre e la fioca luce di una lampada nell’interno, puntiformi lumini arancio all’esterno. Il grande quadro Determination – maniacale nei suoi dettagli, inquietante nella sua composizione così rigorosa, severo nelle sue studiate geometrie -, è un quadro paradossale: c’è uno iato tra la scena rumorosa, concitata, affollata dell’esterno – tipico delle grandi metropoli – e il silenzio irreale di questo interno arredato come un’elegante sala d’aspetto. Unico elemento discrepante, una piccola statuetta bifronte, illuminata da eccessivi bagliori. Linee di fuga decisamente ‘forzate’ legano gli elementi interni quanto quelli esterni. I nostri occhi rincorrono queste fughe, non c’è un centro, un momento di ‘riposto’, ma solo traiettorie continue che ci portano da una parte all’altra della superficie pittorica. Alla velocità indotta di questa tela, la stasi del quadro Devotion. La tela è per lo più bianca, una vasta campitura eterogenea e piatta, come fosse uno sfondo teatrale, un elemento scenico. Lievi voli di uccelli ne interrompono la continuità, in modo quasi impercettibile. A delimitare lo spazio una balaustra, una parte di soffitto, un ventilatore, un’alta parete di cemento. L’ambiente non è accogliente, anzi, i toni quasi monocromi e l’ampiezza dello spazio vuoto e rarefatto rendono l’atmosfera di questo quadro decisamente conturbante. In un angolo, piccola e dettagliata una cucina componibile, un poster, due sedie, un distributore d’acqua. Steso, assorto o dormiente un uomo sopra un lettino da campeggio. E’ come se l’artista volesse rivedere (e riaggiornare) la soluzione adottata dai pittori romantici nel mettere in relazione l’uomo con i grandi spazi. Allora vinceva la natura, misteriosa e inquietante, a discapito dell’uomo. Ora, l’abitante del mondo contemporaneo è sovrastato dal vuoto dei grandi spazi, penso agli aeroporti, alle hall dei grandi palazzi, alle nuove piazze metropolitane (spesso luoghi disumani e anonimi…).

L’uomo è assente, invece nel quadro Perseverance (2015): una grande tela dai colori chiari che mostra un interno. Un anonimo ufficio caratterizzato, come Devotion, da una forte prospettiva che rende tutto fuggente. Contribuisce a questa sensazione di costante ‘via di fuga’ anche la luce: potente, distruttiva quasi, tanto da smaterializzare la materia o renderla aria, evanescente. L’ambiente astratto cozza con un elemento ‘straniante’: una fotografia dell’Isola di Pasqua. Senza un nesso apparente, i due piani di realtà creano uno iato incolmabile e irrisolvibile. Ritorna, a mio parere, un ‘romaticismo’ rivisto e attualizzato: domina il mistero, si moltiplicano gli interrogativi, l’uomo scompare o, se appare, è piccolo e insignificante.

Sarebbe troppo facile avvicinare la pittura di Anna Conway – ingannevole è il suo stile pittorico, lenticolare, perfetto, lucido, calibrato come i quadri di Dalì o, per diversi aspetti, Magritte – al Surrealismo. Anche se il quadro It’s going to happen like that (2013) indurrebbe a farlo. Utilizzando un illusorio trompe-l’œil, l’artista ci porta in un dedalo di piani prospettici, non senza ironia: un post-it, l’interruttore, dei rubinetti.

Sempre nell’ambito pittorico navighiamo (a vista), siamo sempre ‘dentro’ al mondo affascinante dove domina l’abilità pittorica, la maestria visiva, la nota stilistica, la citazione colta. In altre parole, il suono – tanto immaginato dall’artista per concepire i suoi quadri – è quell’aspetto che, se udito, rende le sue opere dei magistrali marchingegni pittorici di rara bellezza.

Anna Conway It's not going to happen like that 2013 oil on linen 76,  2 x 101,  6 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway It’s not going to happen like that 2013 oil on linen 76, 2 x 101, 6 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway Determination 2015 olio su lino  71,  1 x 121,  9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway Determination 2015 olio su lino 71, 1 x 121, 9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway Devotion 2015 olio su lino  111,  8 x 182,  9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

Anna Conway Devotion 2015 olio su lino 111, 8 x 182, 9 cm Courtesy Collezione Maramotti © Anna Conway

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