Testo di Floriana Savino —
Sul finire di ottobre, assieme a una euforica attesa, la nuova versione del seguitissimo videogioco Pokémon Legeds Z-A ha traghettato con sé un serie di dubbi e interrogativi vertenti sul sottile inserimento di elementi di design urbano ben vicini alla cosiddetta architettura ostile, che tende ad abitare sempre più spesso gli spazi di aggregazione e le città. Ragionando con luminescente dissacrazione, l’artista Andrea Ferrero (Lima, Perù, 1991) sembra far sua la possibilità di restituire, per mezzo dell’arte, una puntuale riflessione intorno a quell’architettura, che mentre finge di accogliere, nel suo più profondo limita, veicola e gestisce le libertà. Nello spazio tracciato di un atipico parco giochi, tra una discesa a piè libero dallo scivolo e l’andirivieni ritmato di una altalena, la performance partecipata, offerta al pubblico da Ferrero, riflette la portata di un mondo così tronfio, nella sua illusione di libertà, da non rendersi conto delle oscure e enigmatiche prove a ostacoli dal retrogusto subdolamente losco e interessato.
Come ha scritto la curatrice d’arte Paulina Ascencio Fuentes: “Lo scivolo [metaforicamente] è caduta mirata. Prima lo sforzo di salire, poi la completa consegna alla gravità. Nessuna deviazione possibile: il corpo segue un percorso tracciato. L’emozione del rischio, l’illusione del coraggio, sono in realtà obbedienza a una traiettoria fissa”.
Per mezzo della forgiatura a stampo di strutture e inserti in alluminio, Andrea Ferrero restituisce un orizzonte d’allestimento, caratteristicamente scanzonato e destrutturante, in cui a far da guida sopraggiungono figure spaventose e grottesche, «scese all’altezza degli occhi» per illuminare una quotidianità, che fa del disimpegno disinvolto la sua chiave di volta. Permettendo, difatti, l’accesso alle strutture ludiche ricreate, la personale A volte dormo ad occhi aperti (2025) evoca un presente in assidua frequentazione dei suoi vizi, dei suoi demoni e delle criticità troppo spesso abbandonate in sordina.




L’artista peruviana, residente da anni a Città del Messico, non è nuova all’impiego ispirativo di frammenti di storia provenienti dallo studio e osservazione di fortezze e cattedrali, che per l’America Latina sanno parlare anche del dominio e della sopraffazione. Discorrendo assai spesso la portata dello sfruttamento e della colonizzazione, le opere celebrate da Ferrero fanno ricorso a fonti materiali e archetipiche, che sanno ancora intonare la complessità di una Storia imposta al pari della conquista.
Eventi espositivi come Mostro, brinda alla mia salute (2023), sanno potentemente rimembrare la propaganda distopica e coloniale, mirando a sovvertirla per mezzo di una originale provocazione. Se, difatti, una narrazione truffaldina e criminale (incentivata persino da illustri studiosi e antropologi) ha permesso per tempo di giustificare lo sfruttamento del “violento selvaggio”, da domare e soggiogare con il lavoro e schiavitù, Andrea Ferrero torna sull’argomento condensando ieratiche figure leonine, simbolo del potere coloniale, per restituirle sottoforma di composizioni interamente fatte di zucchero. Sulla scorta di quanto già attestato, anche per l’esposizione brasiliana presso gli spazi di Galleria Pivô, l’artista ha ben proposto al pubblico di entrare in contatto con l’artefatto offrendo, nello specifico dei leoni zuccherini, la possibilità di leccarne, goderne e consumarne la presenza. Una regione, per tempo ferita dallo sfruttamento degli schiavi e del suolo con il ricorso a una monocultura fonte di monopolio estero, è così narrata e restituita mediante la potenza dissacrante di un’arte, che sa creare connessioni e incentivare, a suo proprio modo, la riflessione.
Frequentando “uno spazio liminare tra ornamento, corpo e confine”, Andrea Ferrero fa approdo all’essenza primigenia del mito per destrutturare e sovvertire le istanze di una contemporaneità tornata ad essere largamente superficiale e machista. Appellandosi, non di rado e sin dal titolo, ai sentimenti e istinti più animaleschi, Ferrero innalza apparenti flagelli e vivisezioni chirurgiche della presenza e del corpo, per farne la materia privilegiata di una riflessione, che sappia interrogare l’umanità e il quotidiano. Serie espositive come Non lasciarla darmi in pasto al mostro (2025) o Sono un fanatico della vendetta (2025) si confanno a figure mitologiche, come il satiro e la Sfinge, per evocare tanto la vulnerabilità e il disprezzo, quanto il dominio e, parimenti, la possibilità di una rivoluzione.




Facendo, ancora una volta, riferimento agli inserti architettonici in materia di contenzione, esclusione e dominio, la PALMA Galería di Guadalajara ha presentato l’erigersi, entro i suoi spazi, di un imponente ringhiera acuminata presentante la punizione del satiro, colpito a morte e infilzato ad uno dei molteplici puntali. Indagando la più macabra teatralità e riportando in auge l’idea di una pubblica vendetta, che passa mediante l’esecuzione, lo scempio e la derisione di un corpo condannato a morte, Ferrero pone lo spettatore dinanzi alla precarietà del percorso umano.
Se Friedrich Nietzsche ne La nascita della tragedia (1872) lascia che sia Sileno, precettore di Dioniso e padre di ogni satiro, a ricordare che la cosa migliore per l’uomo sarebbe stata non essere mai nato, è nell’operato di Andrea Ferrero che sa potentemente tornare l’anelito e la spinta di un’arte pronta a sbalordir sé stessa.
Come il grande padre del contemporaneo Marcel Duchamp ha saputo per tempo ammirare l’estetica della macchina del cioccolato, sino a renderla protagonista di una porzione significativa dell’opera somma Il grande vetro. La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (1915-23), Andrea Ferrero ricorre in corso d’opera alla significanza del cioccolato, per farne mezzo di ispirazione e inaspettata sovversione. Larga parte dell’operato d’artista, contando sulle potenzialità dello straniamento, si condensa in impeccabili sculture realizzate a stampo per mezzo di una quantità infinita di cioccolato, mirabilmente lavorato. Donando a quest’ultimo l’essenza e la parvenza della carne, Andrea Ferrero si appella alla tecnica artigiana e ad una “tradizione di dolcezza” per innalzare, ancora una volta, il grido delle voci, delle mani e delle vite, che nella produzione schiavizzata di un bene di lusso hanno trovato una morte, da non poter definire parimenti goduriosa.
Come per la Sfinge, oltre l’arte, una realtà, un enigma, un presente da decifrare.
Finanche, assaporare.
Cover: Andrea Ferrero, A volte dormo ad occhi aperti , 2025, PALMA Galería, Guadalajara, Messico. Coutesy of the artist and PALMA Galería.




