Testo di Irene Sofia Comi
“Questa mostra è stata un po’ un freestyle, sapevo cosa volevo (più o meno): è sempre importante avere una relazione con il luogo; ho chiesto esplicitamente di avere più tempo per l’allestimento, le cose partono tutte da un’idea”. Fino al 9 novembre Andrea De Stefani presenta il progetto Capriccio 2000 negli spazi di Marsèlleria a Milano, una mostra site-specific che vuole attualizzare una sorta di futuro nel passato. L’installazione principale di Capriccio 2000 è un pop-up in cui tre oggetti si trasformano in porzioni di paesaggio portate su una dimensione tridimensionale. De Stefani sceglie una veduta prospettica frontale e mostra uno spazio delimitato, creando così un’ambientazione totale, immersiva.
Davanti a noi una sedia di plastica, un cartone della pizza, un cerchione della Toyota e un cartello stradale. Sono elementi accartocciati, consumati e abbandonati, disposti geometricamente all’interno di tre aree che scandiscono lo spazio come le aiuole di un giardino pubblico. A questi si aggiunge una forma organica, una sorta di prototipo decostruito, e alcuni elementi vegetali denaturati.
Nella sua pratica artistica, la passeggiata è un elemento fondamentale e una modalità costante. Durante le sue camminate, infatti, De Stefani vive il reale e immagazzina immagini, portando con sé tracce da ricostruire. Il contesto urbano contemporaneo è un leitmotiv nella ricerca dell’artista. Nessuna sorpresa, ma è la prima volta che De Stefani presenta elementi che sono ritratti fedeli degli oggetti che incontra durante le sue peregrinazioni. Rispetto ai progetti proposti finora, in Capriccio 2000 propone infatti una visione antropocentrica degli oggetti.
Nonostante una ricostruzione geometrica del paesaggio, lo sguardo dell’artista sugli oggetti è puro e senza connotazioni. De Stefani vuole agire in presa diretta e riproporre elementi il più possibile vicini a una visione non mediata della realtà. Si comporta come un archeologo del presente; riporta alla luce frammenti dimenticati: nella sua pratica artistica, decostruisce l’oggetto e la sua idea nella società. Alla base di Capriccio 2000 c’è il suo interesse per il non-considerato, per ciò che non è più utile e ha esaurito la sua funzione. Sono oggetti che hanno perso la loro forma, residui e scarti intellegibili che ci parlano di noi. Trasformati in opere d’arte, essi riacquisiscono valore e diventano sculture che sublimano qualcosa che è destinato a scomparire.
Superando quest’installazione, il percorso si apre ad un momento più intimo e misterioso. La seconda sala, al contrario della prima, si nasconde nel buio e si lascia scoprire. Sulla parete di fondo una teca illuminata presenta la proiezione di un’incisione che raffigura due panchine, nel mezzo un vuoto.
“Voglio riportare la mia visione dei fatti com’è, senza ricamarci sopra. Non fuggire davanti alla banalità, non scappare, forse anche lei ha da raccontarci qualcosa e anzi, è quel che mi interessa di più”.
La percezione dell’intero progetto è quella di un giardino zen urbano, di uno spazio meditativo. Anche la musica di sottofondo che avvolge l’ambiente contribuisce a restituire questo atteggiamento di raccoglimento. Il suono, prodotto per l’occasione in collaborazione con il bit-maker Floriano Campi, è come un mantra che si ripete.
L’inserimento dell’elemento musicale è una scelta che riflette – letteralmente – la visione dell’artista: restituire la realtà che ha vissuto durante le passeggiate. É un suono forse in contrasto con quello che si vive in uno spazio d’arte, ma vicino alla matrice del lavoro: un pezzo che riecheggia il rap e il funk, ossia generi che si basano su tagli e ripetizioni che sono aderenti alla pratica dell’artista di passeggiare.
La radice di questi ritmi nasce dalle periferie: “È un passo avanti, un passo necessario nella mia ricerca, è una visione più cruda. Forse sono un po’ più nudo del solito, ma oggi forse non ritengo necessario costruire delle sovrastrutture per venire incontro alle aspettative del mondo dell’arte. In questo momento non voglio farlo e non ne ho bisogno: mi voglio presentare più nudo del solito”.
Il panorama davanti al quale ci si trova negli spazi di Marselleria è decadente, è una sintesi artificiale che attinge dalla realtà quotidiana: “Ci parla di noi ed è un peccato dimenticarsene”. Il concetto trova un riscontro anche nel materiale utilizzato: tutti gli elementi sono realizzati in gesso. Partendo dal gesso, e quindi dalla polvere, De Stefani dà forma agli oggetti, dà consistenza a ciò che si sta decostruendo.
Anche il titolo della mostra ha un ruolo importante: si riferisce precisamente allo stile pittorico del Capriccio, che si è sviluppato alla fine del Seicento in parallelo alla corrente vedutista e si è affermato in Italia soprattutto tra gli interpreti veneti della pittura paesaggistica. Queste vedute risultavano essere autentiche architetture fantastiche estrapolate dalla realtà. Allo stesso modo, De Stefani ci propone bozzetti 3D contemporanei, collage emozionali di rovine e prospettive remixate.
In un’attualizzazione di una sorta di “futuro nel passato”, Capriccio 2000 è una restituzione poetica del paesaggio urbano di periferia, un passaggio archeologico sul presente.