Ultimi giorni per visitare la mostra collettiva “Alter Eva. Natura Potere Corpo” (fino al 12 Dicembre 2021) nei locali della Strozzina in Palazzo Strozzi, che tornano ad aprirsi all’arte contemporanea. Il progetto è parte di “Palazzo Strozzi Future Art” della Fondazione Palazzo Strozzi, nato dalla collaborazione con Andy Bianchedi e inauguratosi con l’installazione La Ferita, ad opera di JR. La volontà è quella di supportare l’arte del presente con un forte coinvolgimento del pubblico. Questa esposizione riesce nell’obiettivo grazie alla sua natura progettuale: la Fondazione ha sviluppato l’idea di mostra e le sue fasi di compimento e promozione assieme alla classe del Master in Curatorial Practice 2020/2021 dello IED Firenze.
Il concetto di Alter-Ego suggerisce un affascinante collegamento alla teoria scientifica secondo la quale gli esseri viventi sarebbero collegati da una linea di discendenza comune, esclusivamente matrilineare, perché tramandata nel DNA mitocondriale. Il totale e rivoluzionario spostamento di paradigma proposto è encomiabile: ciò che per secoli è stato considerato come marginale, parte di una minoranza, soggetto a abuso e sopraffazione, diviene protagonista della contemporanea missione di democratizzazione, interconnessione e fluidità.
La Natura, in un’ottica patriarcale, viene dominata, colonizzata e sfruttata da sempre; osservandola da un nuovo punto di vista, non più antropocentrico, ma che la inglobi all’interno di un insieme multi- specie, sarà possibile ritrovare un equilibrio nel rapporto Uomo – Pianeta, così come parallelamente nel legame Maschile – Femminile.
Il Potere, complesso di relazioni e ruoli che divengono costitutivi di una società, necessita anch’esso di una revisione che vada a considerare il mondo attuale, i suoi problemi e le sue esigenze. Le visioni limitanti e restrittive degli stessi fondamenti di Stato e Nazione, legati a un’appartenenza puramente territoriale, non riescono più a identificare le persone: sono infatti proprio loro a definire lo spazio, vivendo in comunità.
Il Corpo è l’elemento sul quale ricadono tutte le forme di dominio e le dicotomie delle nostre società, quindi lo strumento che può consentire di riformare gli atteggiamenti annosamente reiterati.
Le sei artiste protagoniste cercano di fornire il proprio contributo al percorso di cambiamento necessario, attraverso opere d’arte che presentano soluzioni alternative, mediante approcci di sperimentali.
Camilla Alberti (1994, Milano), nella serie Unbinding Creatures (2020-2021), presenta al pubblico degli organismi in piena metamorfosi. Queste sculture, o meglio esseri viventi e mutanti, nati dall’assemblaggio di elementi ritrovati in differenti contesti che li hanno restituiti, danno forma allo spazio espositivo, creando essi stessi un ambiente, in un curioso gioco di ruoli fra abitanti ed abitati. L’allestimento, ottimamente riuscito, ne esalta la dinamicità, l’evoluzione e genera ulteriori esiti, un’immagine doppia di queste creature tramite la proiezione delle loro ombre sulle pareti. L’artista mette in evidenza una natura capace di riprendersi il proprio spazio, come nell’altra serie di pitture C’è un respiro che muove verso sé stesso, facendo luce su un paradigma vegetale capace di scardinare le logiche di potere dell’uomo. I “mostri” dell’Alberti, nei quali i frammenti che li compongono sono stati privati di qualunque gerarchia di valore, sono contemporaneamente “spaventosi” e affascinanti prototipi per una realtà ibrida, in cui si annullino i confini finora costruiti.
Le operedi Irene Coppola (1991, Palermo) forniscono una particolare interpretazione della fisicità della natura, che ingloba il visitatore a livello corporale accogliendolo come parte di un universo inter-specie. L’artista e l’ambiente naturale si fanno coautori di lavori che mettono i sensi in allerta sollecitandoli ad interagire come in Perhaps as sensual molecular curiosity, nella quale una concrezione con una colatura di cera pigmentata su cenere vulcanica, è posta a livello del suolo e richiama il visitatore. Intimacy between Strangers raggruppa due cicli di opere: l’installazione tentacolare con calchi in gesso di piante di agave su cui sono sparsi pigmenti di colore, e una serie fotografica di stampe negative con in primo piano parti delle stesse piante. L’essenza vegetale di queste foglie assume connotazioni corporee femminili, sfumando la linea fra piante e donne ed enfatizzando la violenza a cui entrambe vanno soggette. Un disegno a parete site specific realizzato con un tronco carbonizzato, fa da filo conduttore alla sala assieme all’audio Chiudi gli occhi di Martina Melilli (1987), dialogo a due voci fra l’artista e la tanatoesteta Simona Pedicini, in cui si riflette sul tema della morte riletta come conseguenza naturale della vita. Il corpo è il principale oggetto d’indagine dell’opera della Melilli qui presentata, ben inserita nella sua pratica influenzata dalla memoria, l’archivio sia individuale che collettivo, la documentazione. Il progetto CORPO A CORPO | Bodily Conversations nasce dalla collaborazione con la rivista Playboy Italia, per la quale l’artista realizza una rubrica mensile di interviste a persone che hanno fatto dell’aspetto corporeo in vari modi un mestiere, il tutto tramite una raccolta di materiale a-corporeo. Il display espositivo totalmente immersivo, invita il fruitore a prendersi del tempo e prestare attenzione ai contributi registrati. L’opera permette un egregio momento di riflessione su cosa il corpo sia stato e cosa, d’ora in poi, possa essere.
Margherita Moscardini (1981, Donoratico) analizza la condizione dell’esule e dell’apolide, di quelle minoranze i cui diritti, specialmente in particolari periodi di agitazione politica, tendano ad essere sacrificati. La scritta al neon, che avvolge lo spazio in cui è collocato in una luce rossa, recita la frase “The Decline of the Nation State and the End of the Rights of Man”, monito e invito ad una meditazione sul fallimento degli stati nazionali nella tutela dei propri cittadini. L’artista mette in discussione il concetto di identità territoriale, rivendicando un senso di cittadinanza universale come nuovo paradigma fondamentale e completamente contemporaneo. Le sue folle, raffiguranti l’esodo del popolo siriano nel 2015 verso l’Europa, danno un esempio concreto di presenza spaziale della “gente”, dell’abitare senza appartenere che dovrebbe divenire una condizione globalmente riconosciuta.
Marta Roberti (1977, Brescia) ci conduce in mondi esotici e altri, tramite disegni espandibili all’infinito, da leggere nel loro insieme immersivo e coinvolgente. Pavoni, mangrovie, tronchi, fronde incisi nella nera carta carbone, appesi appena scostati dal muro e retroilluminati, vogliono indicare il legame a doppio filo uomo – natura, esseri di un’unica specie che si trasforma da secoli. La pratica del disegno diviene lo strumento fondamentale nella sua produzione, per esplorare le possibilità di totale flusso di unione fra vite, classificate normalmente in categorie, e qui presentate in un processo di generazione incessante, come la stessa artista fa con i fogli di carta.
Infine, Silvia Rosi (1992, Scandiano) con un contributo profondamente biografico che attinge agli album di famiglia, propone un pensiero in merito all’identità individuale e collettiva, scavando nel passato per proiettarsi verso il futuro. La serie di fotografie, immagini in movimento e frammenti testuali Encounter vede come protagonista l’artista stessa ripresa nelle pose con fondale e oggetti tipiche dei “ritratti in studio” dell’Africa occidentale. La storia personale costituisce il primo passo nella definizione del sé, rapportandosi poi con il resto del mondo, confrontando la propria eredità di migrante in un percorso di mediazione incessante.
La mostra è accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo in doppia lingua, edito da Marsilio Editore.