La forza dell’infinito, il potere dell’immaginazione, il caos. Le opere di Alice Visentin sono il risultato di un fluire di visioni. Le sue tele sono popolate da forme spesso indistinte che si accavallano, si intrecciano le uno con le altre, in un fluido divenire.
In occasione della sua mostra Everyday Mystery, alla galleria Gió Marconi (visitabile fino al 20 dicembre 2024) abbiamo posto alcune domande all’artista, per attraversare la sua ultima produzione fatta di pittura e luce, ma anche di suggestioni cinematografiche, calore estivo e sperimentazioni imprevedibili. “Se dovessi dire d’aver utilizzato una tecnica particolare sarebbe quella di disimparare: in una condizione bambina, senza giudizio. Senza pre-editing.”
“Visentin evoca un mondo onirico da un’infinità di generi che partono dalla storia della lanterna magica ai cartoni animati per giungere fino al segno distratto degli scarabocchi. La politica visiva che sta dietro a questa estetica è ben lontana dall’idea del pittore dal tratto concettuale, chiaramente riferibile e collocabile entro un certo canone. Ricorda piuttosto l’interesse surrealista di sfidare ogni logica nella rappresentazione. Tuttavia, a differenza del surrealismo, Visentin non si chiede il “perché”, il come mappare la psiche, ma è più interessata all’esperienza del sensuale e forse, più che sbloccare l’inconscio dell’autrice, i dipinti rappresentano l’allegoria di un sé che si trasforma in un altro sé. Sono guidati da un senso di trasformazione più profondo e corporeo, in cui il sé si sposta, si evolve e si dissolve costantemente nel mondo che lo circonda: un io in divenire. Chi non conosce l’artista, potrebbe pensare che le opere siano frutto di un lavoro collettivo: realizzate non da due ma da più mani, non con un ritmo costante ma con diversi ritmi.” Brano tratto dal testo in mostra di Geraldine Tedder
Intervista con Alice Visentin —
Elena Bordignon: Parole e realtà nella tua mostra sembrano fondersi in modo liquido e sfuggente. Caso, mistero, atmosfere oniriche. Ho sempre pensato che i pittori osservano e vedono del reale aspetti che, ai più, sfugge. Che atmosfera hai voluto creare nella tua mostra Everyday Mystery?
Alice Visentin: Non penso ad una mostra di pittura, ma più ad una mostra di diari che il tessuto ha amalgamato e assorbito. Nell’asciugatura del tessuto sono emerse le cose rimaste: frammenti di simboli, parole ed immagini. Volevo che si creasse una dimensione di storie sovrapposte e accavallate, dove i riferimenti provenissero dal passato, dal presente e dal futuro. Il fatto che non ci sia nulla di nascosto, che si possa vedere il retro come il davanti e che le due facce non abbiano alcun tipo di continuità ne combaciano, ma comunque coesistono, mi fa pensare alla realtà che viviamo. Illuminare a neon mi ha permesso di portare questa idea oltre: spingere immagini e collegare e riferimenti distanti.
EB: Nelle opere hai compiuto degli accostamenti disparati, mele e lingue, angeli, volti perplessi.. una dimensione onirica e al tempo stesso molto quotidiana. Da quali spunti visivi sei partita per i dipinti in mostra?
AV: Non parlerei di spunti visivi ma piuttosto di fantasia. Sono sempre più interessata ad utilizzare questo tipo di energia per trovare dei linguaggi nuovi per dire delle cose che ancora non so. Credo che le regole del mondo attuale portino ad utilizzare spesso dei termini che rinvigoriscono sofferenza, disparità e guerre. Con la mia vita, la mia ricerca e la mia creazione, vorrei utilizzare riferimenti più positivi possibili, utilizzarli con devozione, accostarli tra loro per vedere se ne esce qualcosa di nuovo. Intendo la fantasia come una forza dell’infinito e del caos da cui posso attingere senza limiti.
EB: Nell’approfondito e suggestivo testo scritto da Geraldine Tedder per introdurre la tua mostra, parla delle tele come fossero “a metà strada tra pittura, gioco d’ombre e disegno di scena.” Questo intreccio di diversi spunti, sposta in modo circolare la possibilità di afferrare un senso univoco di lettura. L’interpretazione come la stratificazione pittorica, diventa complessa e polisemica. Per la ‘costruzione’ dei tuoi dipinti parti da un’idea o da un’immagine? Come la elabori?
AV: Una grande reference del mio lavoro attualmente sono le strumentazioni a cavallo tra l’analogico e il digitale e specialmente la lanterna magica. Mi affascina e ho voluto studiarla perchè è un oggetto che in passato diffondeva la magia e la meraviglia nei villaggi. Durante la residenza presso Gasworks, a Londra, ho trovato un’immagine ad acquaforte di una donna con una lanterna magica con delle bretelle, che portava sulle spalle nelle fiere di paese. Queste cantastorie facevano animare delle brevissime scene comiche e paurose mentre i racconti orali e gli effetti sonori che accompagnavano la storia potevano essere lunghissimi. Questo spazio che si crea tra immagine e racconto è per me uno spazio magico, è lo spazio della creazione e della fantasia. E’ come se la nostra mente, data un immagine, potesse continuare a farla muovere e procedere nel racconto. Quell’immaginazione è per me lo spazio da cui nascono le mie immagini.
EB: In merito all’allestimento delle opere. Come hai deciso la collocazione delle opere e la relazione tra loro? C’è un percorso ben preciso?
AV: L’allestimento è stato un momento molto divertente e stimolante dove ho giocato a mescolare i riferimenti. Retro illuminare le tele è come se avesse attivato ulteriormente un senso di confusione, di caos e quel pizzico di magia che sento essere la realtà. La mostra inizia con una sala e dei quaderni di stoffa che ho colorato e cucito in studio. Inizialmente erano delle tele che ho deciso di togliere dal telaio, ritagliare e ricostruire con forme diverse così che una parte di una frase è a pagina 9 e l’altra in copertina, ad esempio.
EB: “Sensualità e carnalità. Un io in divenire.” Nel descrivere le tue opere Tedder ribadisce più volte la relazione molto fisica che hai con il tuo lavoro. Come racconteresti la tua esperienza con la materia pittorica?
AV: Ho deciso di non avere più uno studio in cui confluisce tutta la mia produzione, ma piuttosto luoghi scelti volta per volta che possono apportare la loro presenza al lavoro. Per questa mostra ho lavorato in una serra di bonsai, su di un terrazzo con un grande l’impianto di irrigazione e pompe da giardinaggio. In maniera disfunzionale e rocambolesca ho dipinto sotto il sole di luglio e agosto, bagnavo me e i dipinti. Di notte provavo ad illuminarli con luci di fortuna, oppure ci proiettavo film interi. Se dovessi dire d’aver utilizzato una tecnica particolare sarebbe quella di disimparare: in una condizione bambina, senza giudizio. Senza pre-editing.
In contemporanea con la mostra di Alice Visentin, gli spazi della galleria ospitano, fino al 20 dicemebre 2024, la mostra di Tai Shani, Lavish Phantoms of the House of Dust.