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Aldo Giannotti ha presentato al ar/ge kunst il progetto Spatial Dispositions: a partire dall’osservazione della planimetria e dell’architettura dello spazio espositivo, l’artista estende la ricerca verso quell’ampio campo di relazioni che definiscono il luogo-istituzione e costantemente lo modellano. La storia, i flussi delle economie, la mission e le ambizioni di ar/ge kunst, le responsabilità verso i soci-membri ed il pubblico, i rapporti con il contesto culturale e politico in cui essa opera, sono tradotte in progetti installativi e performativi potenzialmente attivabili.
Prima del termine della sua mostra, il 30 aprile, ar/ge kunst ospita il lancio del libro Spatial Dispositions di Aldo Giannotti, pubblicato da Verlag für Moderne Kunst.
Seguono alcune domande all’artista per capire come ha sviluppato il suo progetto per questo importante anniversario.
ATP: Sei stato invitato a relazionarti con una tappa importante di ar/ge kunst Galerie Museum: i trent’anni della sua fondazione. Da dove sei partito per strutturare il tuo progetto espositivo? Quali dinamiche – sia formali, penso all’architettura dello spazio, che sociali – hai messo in atto per articolare la tua ricerca?
Aldo Giannotti: Il progetto Spatial Dispositions è un’idea su cui lavoravo (almeno concettualmente) da diverso tempo. La volontà di confrontarmi con diversi spazi istituzionali e di attuare un’indagine che toccasse molti degli aspetti in cui un’istituzione artistica è iscritta; dal contesto culturale e urbano, alla sua storia e missione, da come è variata la sua condizione economica nel tempo, fino alla sua complessa identità giuridica (consorzio, associazione, galleria, museo ecc.). I trent´anni dalla fondazione di ar/ge kunst hanno inserito questa volontà in un frame perfetto per poter inizaire questa riflessione, fare un bilancio e immaginare il futuro dell´istituzione stessa. Credo che Emanuele Guidi stesse cercando (e continuerà con il programma di quest’anno) di fare il punto sull´identità del Kunstverein. Da questo punto di vista le nostre ricerche hanno combaciato perfettamente. Il lavoro svolto a Bolzano si è sviluppato in circa otto mesi tra ricerca (incontri con il personale del Kunstverein, ex direttori artistici, soci-membri, ecc.) la parte grafica dei disegni/attivazioni, e la creazione in fine del libro che contiene tutta la ricerca.
ATP: Il progetto si è sviluppato in forma dialogica nel tempo. Dai primi interventi e interrelazioni dell’inizio alle successive stratificazioni, quali rilevanti scoperte hai fatto in merito al percorso di questo spazio?
AG: Entrare lentamente nella storia di spazio come l´ar/ge kunst è un’esperienza complessa: da una parte ho cercato mantenere una distanza critica, dall’altra sono stato inesorabilmente assorbito dalla sua storia, dalle persone che l’hanno creata e portata avanti per tutto questo tempo, il tutto facilitato dal fatto che conosco molto bene il direttore artistico ed i suoi intenti. In termini di scoperte rilevanti è difficile sintetizzare, sicuramente è stato importante concentrarsi sul nome e sul notare quante volte è cambiato nel tempo, (forum ar/ge kunst, ar/ge kunst Museum Galerie, ar/ge kunst Galerie Museum..). Tutti nomi che non hanno mai però sottolineato il vero modello istituzionale di ar/ge kunst, quello del Kunstverein, e anche come il significato dell’abbreviazione “ar/ge” rimanesse sconosciuto ai più. Queste sono informazioni che in diversi modi hanno influenzato alcuni dei progetti che ho ideato.
ATP: Perché hai scelto proprio il mezzo ‘espressivo’ del disegno per documentare il percorso di relazioni?
AG: Il disegno come nessun altro media mi permette di concentrarmi su una fase di pianificazione in modo diretto e immediato. Ragionando spesso su dinamiche che si confrontano sullo spazio e il suo utilizzo, questo mi permette di creare una sorta di “pre-immagine” di come le attivazioni, movimenti, disposizioni si inseriranno nel contesto.
ATP: Mi racconti come hai sviluppato il display di “Spatial Dispositions”?
AG: L’idea iniziale era quella che alla ricerca sarebbe dovuto seguire “soltanto” un libro contenente tutte le proposte. Per una serie di motivazioni differenti questa idea ha acquistato una scala più grande diventando anche una mostra vera e propria. Per questo motivo la conseguenza più logica è stata quella di mettere in atto una delle idee del libro (A Space Containing Itself) che comunicasse bene la necessità di mettere lo spazio al centro della ricerca e allo stesso tempo funzionasse da “supporto” alle altre idee, aprendo anche una riflessione sul display. A partire dall’idea di ridurre la scala della pianta reale di ar/ge kunst, con 130 metri quadrati di MDF abbiamo riscostruito uno spazio grande “quasi” quanto l’originale che riuscisse a essere contenuto dentro quello reale, seguendone la caratteristiche architettoniche. La possibilità di ridurre soltanto di poco la scala di un edificio e farla contenere nell’edificio stesso sembra diretta ed immediata ma non è così. Questo, come altre proposte di Spatial Dispositions, hanno semplicemente sottolineato la necessità di adattamento dell’idea su carta quando viene implementata, la negoziazione tra progetto e “messa in opera”, che molto spesso fa emergere i limiti di quelle che sono le ambizioni dell’artista, del curatore e dell’istituzione stessa.
ATP: In collaborazione con ar/ge kunst avete prodotto un libro. Cosa raccoglie e quali sono le sue finalità?
AG: In poche parole una grande selezione dei disegni-proposte fatti per ar/ge kunst. Spero che il libro serva oltre che a raccontare il percorso di un’istituzione come questa e porre domande sulla sua identità e perché no, sulla validità ancora oggi di un modello come quello del Kunstverein. Allo stesso tempo un libro che guardi ad ar/ge kunst non solo come spazio-contenitore ma come contenuto stesso su cui è importante riflettere e “riformare” costantemente. Il libro è il primo di una serie su istituzioni per l’arte e spero che rimanga come risorsa per idee da sviluppare anche in futuro.