Testo di di Antonella Prasse —
Che i rubinetti sono fiumi deviati Alan me lo ha detto la prima volta qualche mese fa, eravamo intorno al fuoco a bere una birra. La sera dell’inaugurazione di Pantomima ho capito che gliel’aveva detto la luna.
Lo scorso febbraio Associazione Barriera ha presentato cinque dipinti inediti di Alan Stefanato (Trieste, 1992) in occasione di Pantomima XXX, mostra personale dell’artista curata da Sergey Kantsedal con l’aiuto di Yuliya Say. Stefanato è un artista self-taught che vive e lavora a Torino dal 2018 e che ha sviluppato la sua ricerca lontano dalle norme di un’educazione artistica formale.
All’ingresso l’incipit del foglio sala svela un testo scritto recentemente dall’artista che si presta da fertilizzante per l’immaginario del pubblico, quasi come a volerlo predisporre alla visita della mostra. Il dialogo, un rapido susseguirsi di domande e risposte dal tono onirico ma beffardo, è quello tra Pierrot e la luna. La conversazione è ispirata al testo di Cesare Giuseppe Croce Le sottilissime astuzie di Bertoldo, dove Bertoldo, per l’appunto, è una delle prime testimonianze della maschera originale di Pierrot, personaggio che prima nasce nella commedia dell’arte italiana e successivamente s’inserisce nella comédie francese, trasformandosi in un mimo malinconico e innamorato della luna. “La lana pizzica le pecore mordono”, “sogni d’oro”: quando il turbinio delle battute si placa, comincia quello dei dipinti e delle cornici.
Poggiate a terra all’entrata dello spazio espositivo ci sono alcune lettere di legno dipinte di nero, formano la parola PANTOMIMA XXX. Il titolo della mostra ci suggerisce chiaramente che tutte le opere, pur non avendo voce, stanno cercando di comunicare, o meglio ancora di mimare, attraverso la loro serie di gesti concitati.
La significazione del lavoro di Alan Stefanato risiede più nel processo di creazione quanto che nel risultato estetico che ne consegue. Attraverso l’analisi del procedimento pittorico si giunge al cuore della pratica dell’artista: gestualità, improvvisazione, abbandono del controllo attraverso una ricerca meditativa ma veloce.
La natura di questi dipinti, infatti, prevede che l’artista concluda un’opera in una sola sessione di lavoro, arrivando alla sua realizzazione anche dopo dodici ore di azione non-stop. Questo perché le pitture ad olio di Stefanato vengono realizzate quasi come degli affreschi, lavorando il colore ancora fresco attraverso movimenti che si concatenano senza sosta, quasi esenti da flussi di pensiero coscienti. I lavori ricordano, sia nel procedimento che nell’opera finita, degli organismi biologici dinamici, degli ecosistemi alieni in continua espansione e perenne movimento.
Impossibile trascurare il valore delle cornici dei dipinti, che invadono lo spazio espositivo e danno una reminiscenza di op-art anni ’70, marcando con sfacciataggine la loro autorialità all’interno della mostra. Sono bianche e nere come i vestiti del mimo Pierrot, e creano dei giochi ottici con il rischio di provocare – utilizzando la descrizione puntuale di Sergey Kantsedal – “un effetto spiazzante e nauseante che proietta il lavoro verso una quarta dimensione”.
Il lupo non sa contare (2021), Le piante sono pazienti non hanno bisogno di ospedali (2021), i titoli delle opere fanno tutti riferimento al testo scritto dall’artista. Nello spazio fluttuano anche due elementi scultorei: Pierrot (2022), un mimo in porcellana seduto su un’altalena, e Lu (2022) una luna in gesso coperta da un velo bianco e nero a scacchi. L’allestimento dà l’impressione di un luogo dove è avvenuta una festa a cui il pubblico non è mai stato invitato. Siamo arrivati troppo tardi. Questa sensazione si evince ancora di più sfogliando il catalogo-fumetto della mostra, presentato durante il finissage. Al suo interno vediamo lo spazio fotografato colmo di persone che parlano, ridono o si mettono in posa, tutto è posterizzato in bianco e nero come in una vecchia copia di Diabolik. “E io dov’ero?” mi sono chiesta. Uscendo dalla sala si avverte una sorta di malinconia, come quando finisce un film e ne attendi già il sequel.