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Ala Dehghan — Jump-Cut to Eyeline Match: Forgetting the Sound of Her Voice

[nemus_slider id=”51352″] Come un ciclo perpetuo l’artista nata a Teheran ma di casa a New York, Ala Dehghan, scompone e ricompone materiali e stili, realtà e immaginari, informazioni e idee in continua tensione tra culture diverse. Nella sua prima personale italiana alla galleria Otto Zoo di Milano, “Jump-Cut to Eyeline Match: Forgetting the Sound of […]

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Come un ciclo perpetuo l’artista nata a Teheran ma di casa a New York, Ala Dehghan, scompone e ricompone materiali e stili, realtà e immaginari, informazioni e idee in continua tensione tra culture diverse. Nella sua prima personale italiana alla galleria Otto Zoo di Milano, “Jump-Cut to Eyeline Match: Forgetting the Sound of Her Voice” – presentata in collaborazione con Maria Carpaneto Albani -, l’artista da prova di come ribaltare il concetto di sintesi, per dar vita ad un caleidoscopio di detriti luccicanti, di frammenti patinati, brandelli di visioni contemporanee che rimbalzano dalle riviste di moda ai quotidiani, da ritagli di stampe a fotografie generiche: dei mash-up spesso incontrollati dove figure o parti di corpi per lo più femminili, si fondono con grumi informi di pittura, colature di pigmenti, sovrapposizioni di materiali diversi e iper-colorati.

Nelle tante opere in mostra domina su tutti la trasparenza: che utilizzi fogli di acetato, cellophane o reti, le superfici si lasciano guardare da diversi punti di vista, tante che non c’è un diritto o un rovescio, non c’è un punto di vista che l’artista privilegia. Quasi a voler stimolare lo spettatore a ripercorrere le posizioni e i gesti che lei ha compiuto, è inevitabile, per vedere e comprendere appieno le varie opere piegarsi, allungare il collo, abbassarsi per vedere da vicino le superfici. Esempio ne siano le due grandi installazioni che dominano lo spazio centrale dello spazio: “My Left Eye Is Your Mouth (The Left Side of the Canal)” e “Found: Three-Eyed Catfish on the Right Side of the Canal”. In entrambe le opere campeggia una grande occhio, elemento che si ritrova anche in molto altri lavori in mostra. Dipinto, stilizzato, fotografato, ritagliato da riviste: l’organo deputato alla visione sembra ossessionare l’artista. Inno alla visione o sua inevitabile fallacia, l’occhio, nell’immaginario di Dehghan sembra trasformarsi in bocca sensuale o feroce, in organo sessuale stilizzato, ma anche in occhio cieco, svuotato dal suo potere di conquistare il mondo.

In altri casi, tra stratificazioni di più tecniche – pittura, disegno, stampa e collage – emergono frammenti di profili di volti, arabeschi, scarpe con tacchi a spillo, figure di donne che sembrano galleggiare nel vuoto. Formale e informale, icone e decorazioni sembrano rincorrersi senza tregue e senza sosta, come se l’artista, senza abbandonarne nessuna, sviluppasse due mondi paralleli: quello reale e quello della rappresentazione, quello materico e quello riprodotto meccanicamente (fotografie, fotocopie, ritagli), quello appartenente ai sensi (la vista su tutti) e quello più legato ad un aspetto più logico, più intellettuale. Dall’incontro di questi opposti, dalla loro continua tensione – non ultima quella tra occidente e oriente, Teheran vs NY -, nascono quello che si potrebbe definire un personalissimo archivio visionario dell’artista, detriti e materiale organico raccolto a Brooklyn, nella sua città d’origine ma anche in tanti altri luoghi visitati nel tempo.

Ala Dehghan,   I Watched The Revolution One-Eyed,   2015,   Mixed media,   36 cm x 41 cm -  Courtesy Otto Zoo,   Milan
Ala Dehghan, I Watched The Revolution One-Eyed, 2015, Mixed media, 36 cm x 41 cm – Courtesy Otto Zoo, Milan
Ala Dehghan,   Jump-Cut to Eyeline-Match-Forgetting the Sound of Her Voice,   installation view  - Courtesy Otto Zoo,   Milan
Ala Dehghan, Jump-Cut to Eyeline-Match-Forgetting the Sound of Her Voice, installation view – Courtesy Otto Zoo, Milan