Testo di Davide Pirovano —
Avete presente la sensazione di quando ci si ritrova a confrontarsi con uno spazio dove si è consapevoli che è avvenuto qualcosa, ma non si riesce a comprendere esattamente cosa? Questo è ciò che si prova quando si entra nell’installazione ambientale The After di Latifa Echakhch, da kaufmann repetto a Milano (fino al 14/11). L’artista è originaria del Marocco (1974), ma ora vive e lavora in Svizzera, paese che rappresenterà in occasione della Biennale di Venezia del 2022.
La tecnica utilizzata da Echakhch, non è una “strategia” nuova, con cui confrontarsi e coinvolgere il pubblico, ma è una sua priorità di studio costante. L’ambiente ci invita a calarci nei panni di un detective, che cerca di comprendere cosa è avvenuto in sua assenza solo attraverso gli elementi rimasti. L’oggetto diviene così una reliquia dove è più importante il ricordo che evoca, che le sue forme materiali. Per l’estraneo, l’oggetto è l’indizio di una storia da ricostruire.
The After è come il capitolo di un racconto che narra di un concerto avvenuto prima del nostro arrivo; non possiamo più vivere l’esperienza in prima persona, possiamo solo far riemergere le nostre emozioni personali osservando le travi di un palco in smantellamento, riconducendole a una nostra esperienza passata. Quali emozioni possono tornare alla mente, rovistando nei nostri ricordi, che si avvicinano maggiormente a quello che è avvenuto? Il ricordo e le sensazioni che sentiamo, sono un connubio tra la nostra memoria soggettiva e quella collettiva. Sappiamo che c’è stato un concerto, ma non ne conosciamo i dettagli.
Dopo l’emergenza che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, quanto è stato complesso riorganizzare – o immaginare – delle esperienze condivise? Forse da troppo tempo non proviamo veramente la piacevole sensazione che ci rimane, dopo aver vissuto ed esserci sentiti parte di un evento collettivo.
L’opera di Echakhch in questo senso, stimola una riflessione di ampio respiro su questioni che riguardano politica, società e cultura del nostro mondo contemporaneo: le contraddizioni, rigidità e problematiche intrinseche alle limitazioni delle libertà che abbiamo vissuto e forse mai completamente compreso. Il suo accennare a complesse questioni di coscienza collettive, aleggiano nel suo lavoro in modo delicato e allusivo.
Le pareti e il pavimento della galleria sono nere, è notte. Le travi del palco diventano elementi di una geometria compositiva, dove le forme che assumono si integrano con elementi di vita quotidiana – felpe, un marsupio, dei guanti, un foulard – che le persone presenti al concerto, hanno probabilmente abbandonato o perso. Forse alcuni di loro sono rimasti nel posto, per vivere appieno il momento che segue ogni evento, un concerto o un rave: l’after. Termine che fornisce anche il titolo alla mostra.
Sulle pareti scure, possiamo osservare dei dittici dipinti dall’artista, della serie Sun Set Down, che rievocano i colori del cielo all’alba, completando e arricchendo la natura di uno spazio effimero, in bilico tra tempi differenti. Questi paesaggi interrotti, raccontano la melanconica sensazione dell’evento passato, il suo cogente ricordo, il suo non esserci più, ma il non scomparire ancora. L’artista tenta dunque di raccontare quella lievissima sensazione di trapasso, di sfumatura tra le emozioni del prima e subito dopo…
I colori dei dipinti sono vivi, nascono dal contrasto con il paesaggio ritratto alla base della composizione e in generale con l’ambiente scuro circostante dello spazio espositivo. L’immagine però non è intatta, è strappata, lacerata e nelle mancanze, affiora il cemento, posto alla base del dipinto. Ricordano i resti di affreschi che hanno resistito per secoli; come loro sembrano mantenere la pesantezza dei lunghi periodi, la resistenza del tempo che passa. Inevitabile mettere a confronto questi ultimi lavori di Echakhch alla serie Underneath, dove ad essere indagato era invece il cielo delle composizioni e degli studi degli artisti rinascimentali.
Colandosi nell’immaginario contemporaneo, l’artista sceglie dei colori saturich e ricordano le tonalità delle fotografie con cui ci confrontiamo quotidianamente, scatti del cielo nelle sue ore migliori e più romantiche. I colori utilizzati appartengono a un’estetica diffusa, riconducibile ai film in technicolor, o ai filtri dei nostri cellulari.