Testo di Carola Provenzano —
Con Piscine d’Invenzione Adriano La Licata (1989), esordisce con la sua prima personale alla galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea di Palermo.
Sebbene non direttamente, il rapporto con la sua città anima le su opere. Palermo, come ogni città ricca di storia, è una madre che si forma ritirandosi in sé stessa e scomparendo, lascia nel suo corpo un vuoto, una mancanza che ogni suo figlio eredita. È in questo spazio creato dall’abbandono che Adriano La Licata si mette a giocare trasformando assenza e fogli bianchi in luoghi in cui far accadere qualcosa.
Non si definisce pittore, né scultore, né fotografo, poiché di fatto la caratteristica che lo contraddistingue è il suo essere performativo. Che si tratti di pittura, opera video, o fotografia, la sua presenza è all’interno del meccanismo di ogni opera, non come artefice, ma ingranaggio. È medium insieme agli altri, e tutti insieme formano un tessuto di relazione dove sembrano dipendere gli uni dagli altri. Nella sua serie di acrilici, tele di varie dimensioni come ad esempio Elastic, Elastic shot, A Smaller Splash o Fantastic Pool, l’oggetto è ciò che rimane di un gesto, quello che l’artista compie lanciando, “sparando” degli elastici sulla tela. Il processo ricorda quello dello scatto fotografico; di fatto, la pittura si serve dell’artista e la fotografia utilizza la pittura per parlare di sé. Lo spazio bianco, la tensione di questo gesto giocoso, e la casualità del risultato rimandano a un tema profondo, quello dell’accadimento di qualcosa di inatteso che ha in sé il segreto di ogni nuova nascita. In questa mancanza di giudizio che precede l’azione, l’atto creativo non è mosso da un movente, ma da principio che per natura non agisce dall’interno del singolo, ma ispirato dall’esterno è troppo generale per imporre obiettivi che non siano universali.
Ogni mezzo utilizzato sconfina nell’altro e tutto rimanda allo sguardo; gli occhi dell’artista sono dappertutto. Nell’opera fotografica 2 X 2 , ad essere ritratto è un gioco di sguardi tra l’osservatore e l’osservato, tra l’artista e se stesso. È in questo atto di guardare ed esser visto che l’oggetto si trasforma e riflette le mille possibilità della sua forma. Forse è solo in questa molteplicità che La Licata si riconosce, un’identità dalle tante forme quanti sono gli sguardi che si posano su di essa. E in questa poliedricità e mutare forma attraverso l’attivazione dello sguardo, il limite dell’identità diventa il mezzo stesso con cui espanderne il confine.
Perfino il piombo, che viene utilizzato per delle piccole sculture, diventa elastico. Ulisse è il nome che l’artista da alle sue tre sculture raffiguranti uno stesso rinoceronte, ispirato all’incisione che Albrecht Dürer fece dell’animale senza mai averlo visto, ma seguendo le descrizioni contenute in una lettera che lo descrivevano. Importato dall’India a Lisbona, lo strano animale sconosciuto in Europa muore in un naufragio nella tratta che l’avrebbe dovuto condurre a Roma. Di fatto, l’animale rinasce e ogni volta per la prima volta, nelle mille raffigurazioni di raffigurazioni che ogni artista si dilettò a immaginare. Quella di La Licata è un’arte del vedere, che rieduca lo sguardo attraverso la presa in cura di tutti processi che la mente è tenuta a stimolare nell’atto del guardare: sensitivo, percettivo e mnemonico. La capacità di ricordare, dunque la memoria, è nella natura dell’occhio, come nell’immagine fotografica. E di quest’ultima, lo scopo è quello di fissare un evento o incoraggiarlo a manifestarsi. L’artista riesce a fare entrambe le cose in un’opera intitolata Piscine d’Invenzione (studio Passepartout), che forse più delle altre racchiude il senso della sua ultima mostra. La foto è quella del suo studio, dove nel muro appare ciò che resta di un lavoro, tracce di un processo di cui però non vediamo l’opera finita. Del suo corpo nascosto dietro una parete, vediamo solo lo sguardo. Ma in questa immagine, ve n’è un’altra sovrapposta più piccola che ritrae il suo studio in una fase che precede la restaurazione.
L’artista riesce a fissare contemporaneamente un evento di cui rimangono le tracce e lo spazio bianco dentro il quale qualcosa deve ancora manifestarsi. Il nulla da cui è nato e da cui fa capolino, guardandoci ancora una volta per riportare alla nostra memoria cosa è capace di creare un’azione, nella misura in cui è libera.
Così, ci mostra che la libertà non è una qualità della volontà e non è libero arbitrio cristiano, poiché desiderare, avere l’intenzione, sperare e volere non è essere liberi.
Seppure la ragione che ci spinge ad agire è fondamentale per ogni singolo atto, l’azione è libera proprio quando la trascende. La facoltà dunque, infinitamente improbabile, del dare inizio a qualcosa di inatteso e imprevisto è la libertà.
Ci siamo dimenticati solo cosa essere liberi significhi, e questa dimenticanza e confusione è giustificata anche e soprattutto da una tradizione, quella tardo-classica di una filosofia che rilega la coscienza della libertà ad un rapporto intimo con se stessi, e non con gli altri, ovvero un’attività di pensiero totalmente intima e una vita contemplativa come spazio per esercitarla.
Paradossale, ma è proprio in alcuni passi del Nuovo Testamento che vi sono invece le implicazioni filosofiche di questa “libertà del dare inizio..” la cui potenza non è lil volere ma l’aver fede, il cui risultato di fatto non è che il “miracolo”, che nulla ha in comune col soprannaturale ma con la capacità di spezzare l’automatismo naturale o storico che sia del processo in cui ci si inceppa. Piscine d’Invenzione si ri fa alle Carceri d’invenzione di Piranesi, luoghi dove l’impossibilità di uscita è data più dalla natura labirintica e liminale che da sbarre visibili. Si contrappone il suo gesto dove più le nostre carceri diventano multiple, liquide, labirintiche e trasparenti e la nostra voglia di ritirarci dal reale diventa irresistibile più l’atto compiuto in libertà per niente automatico ma salvifico appare miracoloso.
Se vogliamo godere di un piccolo momento di libertà che sappiamo per esperienza che il mondo ci concederà, seppure per breve tempo, concepiamolo allora e rimettiamo soprattutto i nostri occhi a scorgere, senza lasciarceli sfuggire, i piccoli miracoli degli esseri umani che fanno e giocano a dire cose importanti così, mettendole in scena, senza averle pensate, rivelando però i meccanismi ingegnosi di una nuova e differente realtà. Una realtà libera poiché il loro non è un atto di volontà, ma di fede.
Piscine d’Invenzione – Adriano La Licata
A cura di Agata Polizzi e Claudio Gulli
Fino al 16 Maggio 2024
Galleria Francesco Pantalone Arte Contemporanea, Palermo