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A Cielo Aperto — Intervista con Bianco-Valente e Pasquale Campanella

[nemus_slider id=”62964″] Intervista di  Matteo Innocenti Nel 2005 in un piccolo borgo della Basilicata, Latronico, nasce un’associazione culturale in memoria di Vincenzo De Luca, pittore originario del luogo e scomparso prematuramente. Con naturalezza ma a ritmo sostenuto un progetto annuale di residenza d’artista, promosso in modo autonomo dai soci, viene sviluppandosi e definendosi con sempre […]

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Intervista di  Matteo Innocenti

Nel 2005 in un piccolo borgo della Basilicata, Latronico, nasce un’associazione culturale in memoria di Vincenzo De Luca, pittore originario del luogo e scomparso prematuramente. Con naturalezza ma a ritmo sostenuto un progetto annuale di residenza d’artista, promosso in modo autonomo dai soci, viene sviluppandosi e definendosi con sempre maggiore ampiezza; attraverso l’integrazione dei vari apporti e la curatela di Bianco-Valente e Pasquale Campanella A Cielo Aperto assume una sua forma caratteristica: elementi centrali sono lo sguardo sull’identità locale e il confronto con i cittadini – protagonisti la ricerca e gli interventi degli artisti.
Trascorso un decennio, l’esperienza viene riunita nell’insieme delle sue parti e raccontata tramite una pubblicazione A Cielo Aperto, pratiche di collaborazione nell’arte contemporanea a Latronico, edito da Postmedia Books. Ne abbiamo parlato con i curatori del progetto e del volume.

Matteo Innocenti: Nella vostra introduzione al volume raccontate un episodio particolare; durante la fase preparativa di un’installazione per un progetto per il Parco Nazionale del Pollino chiedeste a un signore locale di descrivervi le architetture di un paese non molto distante: vi rispose in maniera imprevista, raccontando le impressioni da lui ricevute dalla conoscenza degli abitanti piuttosto che degli edifici. E così sarebbe avvenuto se lo aveste interrogato su qualsiasi altro luogo. Ciò potrebbe apparire un dettaglio, invece è centrale rispetto a un’attitudine che intende confrontarsi con la cultura reale e viva viva di un borgo, Latronico: quid emblematico di un’ampia porzione di territorio italiano. Che significato avete dato allora e date oggi all’incontro?

Bianco-Valente: Gli incontri possono rivelarsi elementi determinanti, in grado di modificare percorsi di vita e di dare a questi nuove direzioni, diventando essi stessi degli spartiacque temporali fra il prima e il dopo. L’incontro con quella persona anziana ha rafforzato il nostro sentire su quanto sia importante il rapporto con le persone nello sviluppo di un progetto di arte contemporanea in una piccola comunità. Il Museo A Cielo Aperto, a cui stiamo lavorando da diversi anni, non è solo costituito dalle opere installate in permanenza, quella è solo la punta dell’iceberg. Una parte altrettanto importante di questo progetto è il bagaglio immateriale di relazioni, storie raccontate (ma anche ascoltate), silenzi con paesaggio, consapevolezza che cambia negli abitanti di Latronico e negli artisti che sono arrivati e ne hanno subito il fascino.
Questa parte non è direttamente rappresentabile, resta nel cuore e nel modo di pensare, può essere narrata, così come abbiamo cercato di fare in questa pubblicazione, ma, indipendentemente dal libro, chi ha vissuto in prima persona questa storia (e a Latronico non sono in pochi) la porterà sempre con sé.

MI: L’idea concreta di Museo A Cielo Aperto, sempre variabile in base al dialogo non predeterminabile con gli artisti, mi sembra rilevante anche nel senso di un arricchimento della definizione di “arte ambientale”. Nel tuo scritto in volume citi un passaggio del geografo Alberto Magnaghi, fondatore della Scuola territorialista italiana, che definisce il territorio “come bene comune nella sua identità storica, culturale, sociale e ambientale”. A tale riguardo quali fattori hai avuto modo di constatare e quale riflessione sviluppare?

Pasquale Campanella: L’idea del museo ha una connotazione diversa dall’arte ambientale, definita da Hal Foster come un progetto di sculture site specific in cui, a volte, gli artisti hanno utilizzato anche materiale tratto dall’ambiente di intervento. Questa logica lavora unicamente sulla forma e sulla sua contestualizzazione nello spazio. Infatti, ricordo che anche Germano Celant si era soffermato su questo concetto, dichiarando che l’arte crea uno spazio ambientale ma esiste anche il contrario, cioè che lo stesso ambiente crea e contribuisce alla creazione dell’arte. A Latronico abbiamo cercato di eludere la posa di un’opera, anche spazialmente ragionata, pensata, per immetterla in un racconto in cui le storie identitarie del luogo fossero riconosciute. Abbiamo sperimentato forme diverse di comunicazione che gli artisti invitati hanno saputo restituire, toccando ogni volta le problematiche che nel tempo hanno attraversato il paese. Ed è proprio nella definizione della specificità del luogo che la lezione dei Territorialisti e di Alberto Magnaghi si intreccia con la nostra esperienza. Abbiamo sviluppato l’idea che l’identità storica che fonda le radici in una dimensione locale è contrapposta alla polverizzazione omologante e generica che arriva dai grandi centri urbani. Quello che Magnaghi definisce “localismo consapevole” altro non è che “l’anima di un luogo” fatto di storie corali e individuali che cercano di definire anche attraverso l’arte, la peculiarità di un territorio. Anche se l’arte non ha come priorità la sostenibilità economica, può contribuire nel tempo a un cambiamento culturale e a produrre relazioni virtuose con il luogo. Posso comunque affermare che questi dieci anni di lavoro siano serviti a creare una vivacità culturale che ha dato fiducia alla gente, a pensare che le cose siano possibili, senza aspettare che necessariamente le istituzioni dessero una soluzione a questo bisogno. Infatti, stiamo ragionando per il prossimo futuro di realizzare con i cittadini di Latronico una mappa di comunità che rappresenterà una sorta di spartiacque, da cui ripartire per continuare l’attività dell’associazione con l’obiettivo di contribuire alla possibilità reale di migliorare alcuni luoghi.

Bianco-Valente, Ogni dove, 2015
Bianco-Valente, Ogni dove, 2015

MI: Quindi: la vita quotidiana, il legame con gli artisti, i processi condivisi, la presenza permanente o impermanente delle opere… in ultima analisi ritieni possibile che la pratica della residenza artistica piuttosto che avvenire come evento “eccezionale” possa radicarsi in modo effettivo nell’identità locale ed incidere su alcune questioni sociali?

PC: La tua domanda è molto interessante. Dico con franchezza che non basta una residenza e il termine “progetto partecipato” a risolvere i problemi di un territorio. Bisogna trovare strategie concrete, tangibili per entrare a far parte del vissuto di una comunità e questo avviene solo nei tempi lunghi. L’arte pubblica “mordi e fuggi” che è svolta come un compito, ha creato nel tempo un grande fraintendimento perché non è la quantità dei partecipanti a certificare la riuscita di un progetto pubblico. La sola partecipazione non è risolutiva di problemi sociali locali che sono legati a un ben più ampio corpo di problematiche politiche e strutturali.
A Cielo Aperto ha provato attraverso lunghi e brevi periodi di permanenza degli artisti, a mettere in campo progetti che nella maggior parte dei casi hanno prodotto opere permanenti. La residenza a Latronico non ha avuto periodi e tempistiche prestabilite a priori; ogni artista per sviluppare il suo lavoro si è preso i tempi che gli necessitavano e non era nemmeno obbligatorio giungere alla formalizzazione di un’opera permanente. Questo ha determinato negli anni una presenza più costante degli artisti nel paese lucano, e quindi anche l’eccezionalità del periodo estivo in cui si convogliano quasi tutte le iniziative dell’Associazione Culturale Vincenzo De Luca, si è stemperata in laboratori svolti in tempi molto più lunghi: un anno, un anno e mezzo e più. Questo ha cambiato la natura del progetto e il rapporto con gli abitanti che hanno sempre più collaborato anche ospitando gli artisti nelle loro case. La stessa Residenza Maddalena Maturo per l’arte Contemporanea è stata data in uso da un privato cittadino, così come alcuni spazi espositivi. Penso che oggi l’arte contemporanea sia più familiare e meno lontana dai cittadini di Latronico.

MI: Dieci anni di interventi e di esperienze. Immagino che la pubblicazione abbia risposto alla necessità di raccontare e allo stesso tempo di fare il punto su quanto fin qui realizzato. Quale struttura avete scelto di dare al progetto editoriale?

B-V: Abbiamo voluto attivare una discussione sull’arte pubblica e l’arte partecipata, invitando diversi studiosi a raccontarci il proprio punto di vista su queste pratiche. Da parte nostra, ciò che ci premeva mettere in rilievo è il fatto che si tratta di un progetto a lungo termine pensato da artisti che coinvolgono altri artisti, un progetto che continua ad andare avanti senza alcuna interruzione da oltre dieci anni, interamente prodotto dai soci dell’Associazione Culturale Vincenzo De Luca mediante le loro quote associative.
C’è ovviamente un’ampia sezione del volume che illustra gli interventi di tutti gli artisti coinvolti in A Cielo Aperto, a cui si aggiungono altre pagine dove abbiamo chiesto loro di esprimersi in piena libertà: c’è chi ha preferito presentare nuove opere, chi ha scritto una lettera, chi ha chiamato in causa altri critici con un saggio o un’intervista, dando in questo modo un respiro ancora più ampio al libro che alla fine è arrivato a contare quasi trecento pagine.

MI: Da una visione complessiva del libro emerge come nota fondamentale e costante la relazione con i luoghi e con le persone – aspetto importante nella vostra stessa ricerca. Un segnale che si aggiunge a molti altri, inerente il recupero dei contatti tra l’arte contemporanea e la vita quotidiana. Non è comunque questione semplice, considerate le dinamiche in atto (non da ultimo quelle economiche). Anche alla luce di questa esperienza, credete che la genuinità reciproca del dialogo sia un obiettivo realmente raggiungibile?

B-V: Per A Cielo Aperto, così come per il nostro lavoro, ci muoviamo con estrema sincerità, pagando a volte lo scotto di avere un appeal minore in alcuni contesti un po’ più glamour. Siamo convinti che a lungo termine il fatto di non riproporre visioni altrui (interpretandole magari con poca convinzione), seguendo invece i nostri ideali e le nostre intuizioni (magari sbagliando), ci ripagherà perché avremo un passato che sarà completamente nostro, una storia sulla quale potremo sempre contare.
C’è poi l’elemento cardine della partecipazione, anche dei non addetti ai lavori. Avendo immaginato A Cielo Aperto come un progetto a lungo termine, abbiamo fin dall’inizio coinvolto e stimolato giovani e giovanissimi attraverso la partecipazione a laboratori e performance. E anche le inaugurazioni degli eventi e delle installazioni sono sempre molto partecipate. Il risultato è che adesso su queste tematiche a Latronico c’è più consapevolezza e maggiore disincanto e alcuni di quegli adolescenti che hanno preso parte ai primi progetti, pur essendo partiti da Latronico per studio o lavoro (qualcuno fortunatamente è ritornato), sono diventati essi stessi soci e contribuiscono attivamente al proseguimento di A Cielo Aperto.

MI: Mi ha colpito una tua definizione, “ad personam”, trattando del rapporto tra gli artisti e gli abitanti. Da testimone diretto mi pare che nel vostro progetto ci sia una predilizione per l’atto “poetico”.. Puoi farmi qualche esempio del processo “uno ad uno” a cui fai riferimento?

PC: Per meglio comprendere questo riferimento, bisogna partire dal luogo. Latronico è un piccolo paese di montagna dove la vita, improntata sui rapporti di vicinato molto stretti, consuma una socialità più ampia in piazza, dove ci si ritrova in orari precisi. È per questo che alcuni degli artisti invitati sono partiti proprio dalla piazza; ad esempio, il progetto Centocapre di Francesco Bertelé, Una bandiera per Latronico di Eugenio Tibaldi, Domini Pùblic- Children Version di Elisa Fontana. Mentre in The Future of the Country di Elisa Laraia, l’artista ha incontrato singolarmente alcune persone che hanno partecipato alla realizzazione del suo video, regalando a Elisa e a tutta Latronico un segreto. Questo per dire che l’uso della locuzione “ad personam” si basa principalmente sui rapporti sociali insiti nella vita del paese; non tenerne conto e pensare che a Latronico gli incontri avvengano come a Milano, sarebbe stato un errore. Abbiamo un esempio che arriva dal passato, la ricostruzione di Gibellina dopo il terremoto degli anni Settanta, del quale ancora oggi si parla “d’identità perduta”. Ludovico Corrao, sul concetto di conurbazione, creò la nuova Gibellina, gioiello dell’arte e dell’architettura, mettendo insieme diversi paesi colpiti dal terremoto, ignorando però quali fossero i rapporti sociali tra le persone. Nella vecchia Gibellina, la vita si svolgeva porta a porta, la strada era un’estensione della casa mentre i nuovi spazi sono vasti e non permettono più quella socialità. Gli abitanti si muovono come estranei per il paese, non si siedono più a parlare davanti alla porta di casa, hanno perso l’abitudine a passeggiare e a incontrarsi. A Latronico, ne parlo anche nel mio testo, è prevalso quello che Nicolas Bourriaud definisce “identità radicante”, metafora dell’edera che trova il suo sviluppo mettendo le radici strada facendo, cioè l’incontro di molte persone che volta per volta danno un significato differente a un’opera, in relazione anche all’uso che se ne fa e non solo a quello suggerito dall’artista. Sviluppo in itinere di progetti che coinvolgono persone, luoghi e cose attraverso il faccia a faccia, atto concreto per entrare a far parte della socialità di una piccola comunità montana. Il rapporto individuale non toglie la possibilità di creare immaginari, come dici tu “poetici”, che trascendono e conducono a soluzioni inedite e allo stesso tempo riconoscibili, scaturite da un confronto continuo con chi ha partecipato e condiviso il progetto artistico.

Elisa Fontana, Dominio Pubblico dei Bambini, 2013
Elisa Fontana, Dominio Pubblico dei Bambini, 2013

MI: Qual è stata la genesi dei numerosi contributi critici presenti nella pubblicazione?

PC: Molti dei critici invitati sono stati, in tempi diversi, a Latronico e nel caso di Pietro Rigolo c’è stata una sua partecipazione, se pur a distanza, al progetto Centocapre. Comunque, i saggi critici nascono seguendo una precisa struttura editoriale per approfondire tematiche e problematiche della public art. Cosa intendiamo oggi per sfera pubblica, qual è il ruolo, la finalità e la funzione dell’arte pubblica e sociale, riflessione che si incrocia nel testo di Alessandra Pioselli e di Gabi Scardi. Da spazio accessibile, dai molteplici utilizzi, dove la convivenza con l’altro era praticata, lo spazio pubblico si è ormai trasformato in un luogo codificato e omologato, in cui il disordine e il conflitto sono sistematicamente negati e rifiutati. A partire da questo, Elio Grazioli riflette sulle criticità mentre Maria Teresa Annarumma ribadisce il concetto e il valore di locale come sviluppo da cui l’arte può evolversi. Pietro Gaglianò si focalizza su alcune opere per investigare i confini della rappresentazione immateriale dell’arte che ne amplifica la sua esperienza, esperienza che in Pietro Rigolo nella sua “geografia sentimentale” diventa un viaggio nell’arte relazionale, partecipata o, come scrive lui, “luogo del vivere insieme”. E infine, Marco Petroni riflette su opere e progetti in progress e di come questi, invitano ad aprirsi a un tessuto connettivo capace di creare spazi per la ridefinizione dei luoghi che per Leandro Pisano diventa interrogarsi sui termini di luogo, comunità, identità. In appendice il testo di Giusi Checola, uno studio sul placemaking in arte e su come aspetti geografici e storici hanno cambiato nel tempo Latronico e più in generale quali altre pratiche interessanti stanno operando nel Sud Italia.
Ecco, si è cercato attraverso i vari interventi critici di creare un progetto editoriale che contribuisse alla discussione in atto nel mondo dell’arte contemporanea, cioè l’idea di un libro che non fosse la mera documentazione del lavoro svolto, ma anche di ampliamento teorico sui temi dell’arte.

MI: Un’ultima domanda. In che modo il libro s’inserisce nel “corpo” del progetto di residenza, se guardiamo al futuro: come stimolo alla prosecuzione, come volontà di aggiungere ulteriori elementi?

B-V: A Cielo Aperto è un progetto marcatamente corale e le spinte che riceve da ognuno non vanno quasi mai nella stessa identica direzione, e ciò crediamo aggiunga valore e carattere a questa esperienza. Attraverso questo libro abbiamo avuto l’occasione di fare il punto della situazione e ciascuno si è potuto rispecchiare nel percorso fatto fin qui, riconoscendo il valore del proprio contributo alla prima parte di questa storia. Per il futuro stiamo valutando l’avvio di un nuovo progetto didattico multidisciplinare, che trarrebbe spunto dai vari workshop organizzati finora a Latronico, e la possibilità di accedere al finanziamento di una fondazione privata. Quest’ultima non è una scelta facile, ne stiamo discutendo da tempo, in quanto potrebbe mutare radicalmente (e senza possibilità di ritorno) la fisionomia dell’associazione, ma ciò ci permetterebbe di aumentare il numero degli artisti coinvolti ogni anno, determinando così anche una ricaduta economica sul territorio.

A Cielo Aperto è un progetto di arte pubblica curato da Bianco-Valente e Pasquale Campanella, finalizzato alla costituzione di un museo di arte contemporanea a Latronico, che si pone in dialogo con l’ambiente naturale e il contesto urbano.

Il volume raccoglie i contributi teorici di Maria Teresa Annarumma, Aste&Nodi, Angelo Bianco, Bianco-Valente, Simona Bordone, Pasquale Campanella, Giusy Checola, Tommaso Evangelista, Pietro Gaglianò, Thomas Gilardi, Elio Grazioli, Matteo Innocenti, Marco Petroni, Alessandra Pioselli, Leandro Pisano, Pietro Rigolo, Elena Giulia Rossi, Gabi Scardi, Elvira Vannini che approfondiscono tematiche sull’arte pubblica e le pratiche di collaborazione nell’arte contemporanea. Il lavoro dell’arte assume nuove connotazioni concettuali e si spinge verso una realtà ricostruita con i fili della storia e della vita, verso un’estetica plurale. Gli artisti coinvolti hanno interpretato l’identità e la memoria storica, mettendo in relazione l’arte con i luoghi. Alcuni hanno un rapporto diretto con il territorio, altri l’hanno costruito, con un lavoro che ha richiesto tempo, impegno e tenacia. Sono presenti Fabrizio Bellomo, Francesco Bertelé, Bianco-Valente, Stefano Boccalini, Elisa Fontana, Andrea Gabriele e Andrea Di Cesare, Michele Giangrande, Elisa Laraia, Antonio Ottomanelli, Giuseppe Teofilo, Eugenio Tibaldi, Wurmkos, Virginia Zanetti.

Associazione Culturale Vincenzo De Luca

L’Associazione si costituisce nel 2005 a Latronico, in Basilicata. Ha promosso, autofinanziandosi, il progetto A Cielo Aperto, un’occasione per fare il punto sul senso e sui possibili sviluppi dell’arte in relazione a un contesto locale e alle sue specificità. La progettualità praticata nei laboratori è stata un elemento fondamentale per il dialogo e il coinvolgimento dei cittadini. La politica culturale messa in atto si inserisce nel dibattito in corso sull’arte contemporanea, per lo sviluppo di un localismo consapevole, da cui far emergere storia, forme materiali e simboliche che accrescano il valore di spazio e luogo pubblico.

A Cielo Aperto - Copertina - Postmedia Books
A Cielo Aperto – Copertina – Postmedia Books