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A chi siamo alternativi?

Mercoledì 17 marzo ho assisto alla una tavola rotonda ospitata al PAC (Milano) ‘Nuove, Vecchie Frontiere: gli Artist Run Space’. (Ho preso alcuni appunti, frammentati e un po’ sconnessi). Molti interventi sono stati interessanti. Peccato che la scelta non era così eterogenea come speravo. Ovviamente buona la presenza milanese: Peep-hole, Brown Project, L’indiano in giardino, […]





Mercoledì 17 marzo ho assisto alla una tavola rotonda ospitata al PAC (Milano) ‘Nuove, Vecchie Frontiere: gli Artist Run Space’. (Ho preso alcuni appunti, frammentati e un po’ sconnessi).

Molti interventi sono stati interessanti. Peccato che la scelta non era così eterogenea come speravo. Ovviamente buona la presenza milanese: Peep-hole, Brown Project, L’indiano in giardino, Mars e Motel Lucie. Extra Milano erano presenti: Cherimus (Sulcis Iglesiente, Sardegna), Cripta747 (Torino), Gum studio (Carrara) e Paloma Presents (Zurigo).





Nonostante le premesse (chiarite anche dal titolo dell’incontro), fossero quelle di parlare di ‘vecchie’ e ‘nuove’ realtà no-profit, non sono stati invitati relatori che potessero raccontarci, per l’appunto, delle esperienze autogestite, come ad esempio: La casa degli artisti e Lazzaro Palazzi o realtà, citate dallo stesso Farronato, come Via Fiuggi e Via Boerio (anche se non sono da considerare alla stregua di veri e propri collettivi, ma bensì come gruppi di artisti che condividevano gli stessi spazi abitativi, che si frequentavano come gruppi di amici di ‘scorribande’).



Ad aprire le discussioni, dopo la presentazione di Milovan Farronato, Cecilia Alemani, Direttrice di X-initiative (New York) e co-curatrice di No Soul for Sale – A Festival of Independents. Chiara e diretta nello spiegare le varie realtà che ha gestito e ideato, Alemani ha raccontato come spazi alternativi e autogestiti possono convivere e a volte alimentarsi a vicenda. Il prossimo appuntamento del Festival No Soul for Sale sarà dal 14 al 16 maggio alla Tate Modern e rientra nel programma che celebra il decimo anniversario del museo. Avrà luogo nell’immensa Turbine Hall. Invitati oltre 50 tra collettivi e spazi indipendenti, da Shanghai a Praga, a realizzare progetti specifici per questo festival globale dell’arte.



Dopo Alemani, la parola è passata a Lorenza Boisi , direttore e fondatore di Mars: un collettivo di artisti che si auto finanziano e hanno un piccolissimo spazio espositivo. Boisi ha raccontato che dopo molte esperienze all’estero (Edimburgo, Nizza, Glasgow, Parigi ecc), tornata a Milano, ha sentito la forte frammentazione del panorama artistico milanese: “Ho avuto l’impressione di un ambiente diviso e settario. Nonostante incontrassi artisti con una grande dignità artistica, avevo l’impressione che non ci fosse né dialogo né collaborazione. Ho come avuto la percezione che a Milano, forse per la crisi economica in corso, ci fosse l’atmosfera che c’era a Londra durante il governo Thatcher. Era percepibile un profondo gap tra gli artisti che lavoravano con galleria istituzionalizzate e quelli con spazi no-profit.. come una sorta di terra di nessuno. Con l’aiuto e la partecipazione di molti artisti (inizialmente circa 20, ora 40), sto cercando di fare qualcosa per colmare questa ‘terra di nessuno’.” Mars è uno spazio no profit, senza introiti (ha sottolineato più volte Boisi), che si finanzia con quelle che la stessa direttrice ha definito ‘lotterie’ d’arte’ (ridendo, ovviamente), o con la vendita di multipli d’artista. Il suo obbiettivo è quello di creare un network di artisti che collaborano, interagiscono tra loro. In poche parole si aiutano a vicenda. Mars dunque si presenta a Milano come una realtà inclusiva dove, anche ‘l’aspetto umano è tenuto in considerazione tanto quanto quello professionale’.



Luigi Presicce di Brown Project è stato molto più sintetico nel descrivere il progetto che ha fondato con Valentina Suma e Luca Francesconi. Una frase, però tra le poche, mi ha colpito: “E’ stata una cosa naturale aprile questo spazio indipendente. Nonostante avessi già una galleria e fossi coinvolto in un circuito di relazioni professionali, ho sentito l’esigenza di aprire questo spazio per creare un luogo in cui gi artisti si potessero relazionare tra loro. La considero un’impresa collettiva. Se dovessi citare una realtà che mi ha ispirato, parlerei del Gruppo Oreste. Per me è stata una grande soddisfazione sentire persone che mi dicevano: io vengo da Brown anche se non ci sono delle mostre”.

L’indiano in giardino invece è un gruppo di artisti senza uno spazio fisico vero e proprio. Difficili da definire, ammirevole quello che potrebbe essere il loro motto: ‘L’unione fa la forza!’ Nato all’ombra di Isola Art Center (zona Garibaldi), questo gruppo eterogeneo si è unito grazie a rapporti di amicizie ed esperienze condivise. Contano un progetto, per l’appunto ‘L’indiano in giardino’ che consisteva in una mostra ‘diffusa’ per le vie del quartiere Isola a Milano. “L’indiano e’ il soggetto di una fantasia innocente e spericolata che entra nel nostro quotidiano; gli spazi dove compare sono tutto fuorche’ casuali.” Il progetto, di Alek O. e Santo Tolone , ha coinvolto: Pedro Barateiro, Dafne Boggeri, Marco Colombaioni, Camilla Candida Donzella, Alessandro Di Giampietro, Lucie Fontaine, Francesco Fossati, Matteo Rubbi, Manuel Scano, Mauro Vignando e Zhou Tao. “Non c’era l’intenzione di creare un vero e proprio collettivo. La nostra idea era nata dalla necessità di avviare un confronto, di attivare delle relazioni. La mostra nel quartiere Isola è nata come una sorta di associazioni continue: è nato un lavoro che ‘funzionava’ bene in un certo spazio.. e poi ne se ne sono aggiunti degli altri. Abbiamo coinvolto edicole, bar, entrate di palazzi. Il progetto si è sviluppato naturalmente grazie alla collaborazione degli artisti, alle loro discussioni e confronti”. Una sorta di arcipelago, nel quale perdersi per ritrovare il senso di un quartiere assediato dove diffondere le opere d’arte per renderle ‘eventi’ quotidiani e accessibili.



Motel Lucie: “La sua caratteristica principale è la velocità degli accadimenti.” La presentazione di questo spazio, è stata un po’ oscura. Sinceramente non ho capito perché è nato lo spazio e quale sia il loro ‘credo’ di base. L’unica cosa chiara è quella di rendere tutto dinamico e veloce, un po’ ‘senza tregua’!

A descrivere il progetto Cherimus (Sulcis Iglesiente, Sardegna), Cleo Fariselli, artista che ha partecipato ad uno dei progetti promossi da questa associazione. Non conoscendo Cherimus, copio e incollo dal loro blog una breve presentazione: “CHERIMUS (…è una parola sarda che in italiano significa ‘vogliamo’) persegue la finalità di integrare territorio e arte contemporanea. L’associazione, radicata nel Sulcis Iglesiente, si propone di promuovere l’incontro con artisti che operano nella scena internazionale, al fine di arricchirsi delle reciproche esperienze e differenze. Crediamo che la Sardegna, aprendo i propri confini culturali al dibattito internazionale, possa valorizzare la propria identità e offrirsi al mondo come una terra che ha ancora molto da proporre.” Cleo Fariselli: “E’ stata un’esperienza molto forte. Mi sono confortata con una realtà veramente dura. Sulcis Inglesiente è un luogo sperduto e completamente staccato dal mondo dell’arte contemporanea. La zona è caratterizzata da ex-miniere, devastata da queste strutture abbandonate a se stesse. Il progetto a cui ho partecipato, consisteva nello stabilire un contatto reale con la popolazione. Il gruppo di artisti che ha lavorato con me, si è preso l’incarico di organizzare i festeggiamenti di Natale. E’ stata un’esperienza veramente entusiasmante”. Il progetto era Niniendi su pippieddu cu Santa Iacu e Sant’Anna. Hanno partecipato il gruppo folk Maria Munserrara di Tratalias e Marco Colombaioni, Cleo Fariselli, Diego Perrone e Matteo Rubbi.



Una buona scoperta: GUM studio di Carrara. Li ho incontrati poco prima dell’inizio della tavola rotonda. Timidi e giovanissimi, hanno brevemente raccontato in pubblico la loro attività. GUM è uno spazio che ospita gli artisti in residenza, invitandoli così a pensare un progetto appositamente per lo spazio. (E’ in corso il progetto di Robert Pettena*, ‘Underground’ a cura di Matteo Chini)



Renato Leotta ha esposto la realtà CRIPTA747 (molte volte ho discusso con Leotta cercando di persuaderlo che con questo nome non sarebbero andati tanto lontano… a quanto pare mi sbaglio. Nulla toglie che il loro nome continua a non piacermi!). “Il nostro spazio è una vera e propria cripta, sotto l’ospedale xxxxxx (mi sono persa il nome!). E’ una sorta di sotterraneo. E’ un luogo molto suggestivo e tutti gli artisti che invitiamo ne restano affascinati. Tutti i progetti che abbiamo ospitato, sono stati concepiti appositamente per lo spazio, e hanno portato una grande energia. Mi rendo conto però, che il fatto di essere a Torino, ci colloca in una situazione periferica… non sarebbe la stessa cosa se fossimo a Milano. Con molto lavoro e sforzi, siamo riusciti ad ottenere una certa visibilità e abbiamo avuto una reazione molto positiva nel mondo dell’arte torinese. Il nostro obbiettivo è attivare delle forme para-curatoriali. Abbiamo pochissimi fondi e questo, per molti versi, ha fatto si che tutto fosse sotto controllo”. Non ho ben capito come, facendo di necessità virtù, il fatto di avere pochi fondi crei una situazione di ‘tutto sotto controllo. (E’ in corso da CRIPA747 ‘Titolo Grosso’, mostra collettiva con Alis/Filliol, Bèatrice Bailet, Ludovica Carbotta, Leonardo Chiappini, Luca De Leva, Loredana Di Lillo, Giovanni Giaretta, Giuseppe Lana, Samuele Menin, Igor Muroni, Adriano Nasuti, Wood, Matteo Rubbi, Manuel Scano, Santo Tolone, Cosimo Veneziano, Mauro Vignando).

Paloma Present è un artist-run space nato a Zurigo nel 2009 con l’idea di “produrre processi estetici di presentazione”. È gestito dagli artisti Mathis Altmann (Monaco, 1987), Georg Blunier (Berna, 1981), Vittorio Brodmann (Ettingen, 1987) e Gunnar Meier (Ulm, 1978). Questo gruppo di ragazzi, attualmente ospite all’Istituto Svizzero di Roma con sede a Milano, ha portato a quanto pare una ventata di aria fresca in città. Hanno già organizzato un’interessante tavola rotonda ‘Time to get Serious’, che ha coinvolto Alessio Ascari, Edoardo Bonaspetti, Mariuccia Casadio, Stefano Casciani, Giacinto Di Pietrantonio e Susanna Legrenzi. L’incontro verteva sulle attività editoriali tra arte, architettura, design e moda. (Accidenti che me lo sono perso!).

Senza avere l’obbiettivo di tirare le fila del discorso, la parola a Vincenzo De Bellis di Peep Hole, che ha esordito con al domanda: “A chi siamo alternativi?”, per tornare al senso della nascita di questi collettivi. “La mia posizione in questo ambito è un po’ eccentrica. Il nostro spazio, a differenza di quelli presentati in questa sede, è stato fondato e gestito da curatori: io, Anna Daneri e Bruna Roccasalva. Abbiamo aperto il nostro spazio sia per un’esigenza personale che professionale. Dopo anni di lavoro in ambiti istituzionali, abbiamo cercato, e stiamo cercando, di unire le nostre esperienze per dar vita ad uno spazio che a Milano mancava. Abbiamo sentito l’esigenza di colmare un gap. E’ significativo il fatto che la nascita di questo spazio è avvenuta grazie all’appoggio di moltissimi artisti che hanno creduto nel nostro progetto. Grazie alla donazione di opere, siamo riusciti a finanziarci e a dar vita al nostro spazio. 32 Artisti, che poi erano anche i nostri stessi amici, hanno contribuito a rendere reale il nostro progetto.”


La chiosa dell’incontro è stata di Cecilia Alemani: “ Negli anni ’60 aveva un senso parlare di spazi alternativi in quanto si ponevano come ‘altro’ rispetto a situazioni istituzionali come musei, fondazioni ecc. Oggi le cose sono molto cambiate e, penso che la parola ‘alternativo’ sia una parola assolutamente abusata’.

Milovan Farronato e Lorenza Boisi

Francesco Garutti





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