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Luisa Lambri — Autoritratto, PAC di Milano

Testo di Valentina Negri — Nel silenzio del dettaglio di un taglio di Fontana si apre la mostra di Luisa Lambri al Pac. Si tratta di sottili variazioni dello stesso taglio, che ci fanno entrare in punta di piedi, delicatamente in quello squarcio e che ci invitano ad accedere a un’altra dimensione per trovarci poi […]

Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri
Luisa Lambri, Untitled (Strathmore Apartments, #46)

Testo di Valentina Negri —

Nel silenzio del dettaglio di un taglio di Fontana si apre la mostra di Luisa Lambri al Pac. Si tratta di sottili variazioni dello stesso taglio, che ci fanno entrare in punta di piedi, delicatamente in quello squarcio e che ci invitano ad accedere a un’altra dimensione per trovarci poi a sbirciare dall’interno della Schindler House, casa-studio ad Hollywood progettata dell’omonimo architetto.

La mostra Autoritratto, che mutua il titolo da uno scritto di Carla Lonzi del 1969, ci conduce in un excursus del lavoro di Luisa Lambri, curato da Diego Sileo e Doulgas Fogle, attraverso il quale l’artista presenta se stessa attraverso le immagini che ritraggono pezzi della storia dell’architettura moderna progettati da Mies Van der Rohe a Richard Neutra, John Lautner, Walter Gropius e Giuseppe Terragni, dove però il linguaggio architettonico è sovvertito e ogni elemento della composizione incorpora qualcosa di intimo e personale dell’artista e del suo essere donna all’interno di un mondo architettonico ideato da uomini.
La mostra è modulata in stretto legame con l’architettura del Pac di Gardella, che si snoda tra spazi raccolti e altri aperti, messi in relazione con l’ambiente esterno, che fungono da ossatura per il lavoro della Lambri, mentre la luce e il silenzio ne modulano il corpo.

Da sempre la Lambri presenta diversi livelli di lettura nelle sue fotografie: l’intento non è mai la pura investigazione e documentazione delle architetture che ritrae, anzi, la loro funzionalità e il loro stile lasciano lo spazio al riflesso di se stessa all’interno di quelle, della sua presenza discreta e delicata. La sua poetica artistica si muove tra angoli, interstizi e finestre, in un’analisi intima dei luoghi; nella serie dedicata ai 100 Untitled Works in Mill Aluminum (1982-86) di Donald Judd, è la variazione della luce e i riflessi che mutano a plasmare la superficie satinata, facendoci immergere, noi spettatori, in un nuovo spazio fenomenologico, dove ci sentiamo inglobati, per poi farci spostare lo sguardo su un dettaglio dell’opera Bicho di Lygia Clark, in uno scatto intimo e a tratti invadente.

Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri
Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri
Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri

La cadenza degli scatti e di alcune sequenze qui presentate ricorda, per dei versi, una composizione jazz, fatta da una progressione armonica, con ampi momenti di silenzi, frequenti ripetizioni, suoni decisi che ci portano a una tensione che a volte resta irrisolta, come nella serie di fotografie dedicate al processo di astrazione geometrica della Farnsworth House di Ludwing Mies van der Rohe, e della Crown Hall, cariche di attesa.
L’autoritratto procede nell’analisi della propria interiorità che si confronta con l’interno degli edifici, l’architettura, infatti, funge sempre da metro per la Lambri anche per misurare se stessa nel rapporto tra interno ed esterno, che qui prende egregiamente forma nel parterre dello spazio museale che si interfaccia al giardino.
Qui, le fotografie della serie Untitled (Sheats-Goldstein House), che ritraggono gli scatti di una natura che cerca di farsi spazio nell’architettura, sono esposte in lastre di vetro montate su piedistalli che omaggiano l’allestimento progettato da Lina Bo Bardi per il Museo De Arte de Sao Paulo, creando un ritmo serrato, anche qui, di pause interrotte.

In un mondo che scorre in maniera frenetica immagini con un dito su uno schermo, il lavoro di Luisa Lambri ci insegna ancora la bellezza del fermarci e dell’osservare, la tensione dell’attesa dello scorrere del tempo e del cogliere un dettaglio in una sequenza dove tutto sembra apparentemente immobile ma dove riconosciamo noi stessi in un riflesso che fa emergere un ricordo trascurato e che subito riempie quello spazio vuoto.

Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri
Luisa Lambri, Untitled (Sheats-Goldstein House, #01)
Luisa Lambri, Untitled (Barragan House, #28)
Luisa Lambri, Autoritratto. Installation view della mostra, PAC 2021. Foto Lorenzo Palmieri
Luisa Lambri, Untitled (Casa Fernando Millan, #01)