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I (never) explain #104 | Simone Berti

PERCHE’ PROPRIO A ME?Un racconto di Simone Berti ambientato nel futuro –  Quale è la tua opera migliore? chiese la giornalista all’artista. –  Quella che devo ancora fare, egli rispose.Simone ripensò a quel dialogo avuto molti anni prima con la giornalista Elena, mentre osservava il suo ultimo lavoro che brucava. Si chiese se fosse la […]

Portrait of majestic powerful adult red Perchè proprio a me?
Cervus Epifita, nato nel 2048 nei laboratori della NAC® – New Animal Corporation, Campus di Bellshadow – IT. Per dettagli e storia genetica rivolgersi agli archivi della società.
Courtesy AtelierSimoneBerti ©. deer stag in Autumn Fall forest

PERCHE’ PROPRIO A ME?
Un racconto di Simone Berti ambientato nel futuro

–  Quale è la tua opera migliore? chiese la giornalista all’artista.
–  Quella che devo ancora fare, egli rispose.
Simone ripensò a quel dialogo avuto molti anni prima con la giornalista Elena, mentre osservava il suo ultimo lavoro che brucava. Si chiese se fosse la continua ricerca della perfezione mai raggiungibile, ovvio, ma sempre anelata, o la necessità di proiettarsi verso il futuro, che ci fa immaginare come inarrivabile l’opera che dobbiamo ancora fare e che faremo.
Improvvisamente, una voce uscita da una piccola sfera appoggiata sul tavolo lo trasse dai suoi pensieri:
–  Elena sta chiamando, disse suadente l’olophone.
–  Rispondi, ordinò Simone.
Una piccola Elena in forma olografica comparve sopra il tavolo da giardino. – Ciao Simone, lo salutò l’ologramma. Sto scrivendo un articolo in cui chiedo agli artisti quale pensano sia la loro opera migliore.
– Ci credi alla telepatia? esclamò Simone – Ti giuro che ci stavo giusto pensando! E comunque me lo hai già chiesto trent’anni fa! Che anno era? 2020? 2021. Me lo ricordo perché c’era il Covid.
– Sì, ma allora era una battuta. Ora davvero voglio scriverci un articolo. In questo momento la domanda ha senso perché…- Elena improvvisamente si interruppe. – Ma… Simone, c’è una strana cosa che pascola nel tuo prato.
– Eh già. Ti presento il Cervus Epifita. Sta crescendo bene. Ha quasi tre anni.
Elena rimase un attimo in silenzio, poi disse:
–  Ma è vero? Cioè, quelle cose gliele hai incollate tu sulle corna o ci sono nate ?
–  Vere, vere, disse Simone.
–  E non pensi alle questioni etiche? Ecco, voglio dire, è una cosa che puoi fare? E’ legale?
–  Certo. – rispose Simone. – La pecora Dolly è nata nel 1996, e i primi esperimenti del genere risalgono a molto prima. E poi in fondo, trasformare un lupo in un povero carlino, anche senza interventi di ingegneria genetica, non credo sia stata esattamente una bella cosa. La storia dell’homo sapiens è una modifica continua dell’ambiente e degli animali.
–  Sì, ma oggi l’uomo ha un diverso concetto dell’etica, sbottò lei.
–  Lo so, Elena. Mi sono fatto un sacco di problemi infatti, ma alla fine non ho resistito… E questo è un punto fondamentale riguardo all’arte. Voglio dire, fino a dove si può spingere un artista? Le regole, anche quelle non scritte, etiche e comportamentali, valgono anche per l’arte? Pensa alle foto di Toscani di sessant’anni fa o quelle di Andreas Serrano o, meglio ancora, le azioni di Alex Brener, Oleg Kulik e gli altri russi di Viktor Misiano, per fare un esempio, che andavano a cozzare contro la morale o l’etica di allora e anche contro la legge. Oppure pensa a Gino De Dominicis, per me uno dei più profondi artisti italiani, che espose il famoso ragazzo con la sindrome di Down. Ma, d’altra parte, pure il Déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet fece scandalo ai suoi tempi.
Simone restò qualche attimo in silenzio, prima di proseguire:
– Lasciamo per un attimo l’ambito dell’arte. Ti ricordi quei due scienziati cinesi, di cui non ricordo il nome, che avevano operato sugli embrioni umani ed erano nate due gemelle OGM? Non ricordo che anni fossero, ma era quando ancora l’editing genetico si faceva con la rudimentale tecnica Crispr. Quello sì che fu veramente un comportamento poco serio e innescò varie problematiche.
Simone spostò lo sguardo verso il giardino e proseguì:
– La ricerca secondo me va fatta. Ma dobbiamo ricordarci di una cosa che dimentichiamo troppo spesso: la Terra non è nostra, ma siamo noi ad appartenere alla Terra.
– Disse l’illuminato, lo schernì Elena.
Ridacchiarono. Poi Elena riprese:
– Torniamo all’arte. Mi è appena venuto in mente il cane lasciato morire di fame in una galleria da quell’artista del Costa Rica, Guillermo Vargas… poi però saltò fuori che era una bufala, quindi in realtà non fa testo.
– Sì, non ho mai capito se fosse vera o falsa. Fosse stata vera, sarebbe stata una performance molto triste. Niente ricerca, solo cattiveria e desiderio stupido di protagonismo. Posso capire Chris Burden che in una performance si fece sparare a un braccio: il male lo fece solo a sè stesso. Faticherei un po’ di più a comprendere la storia del cane. Una cosa però mi sembra chiara, che entrambe queste performance, vere o false che fossero, indagarono sul limite consentito nell’arte, sui confini entro i quali un lavoro possa essere definito arte, ammesso che esista… Poi ci sono stati tutti quegli artisti che hanno subìto forme di censura, anche se alcuni si piazzano tra la wunderkammer e la stanza degli orrori e forse rientrano nella nostra categoria di “eticamente contestabile” solo lateralmente, diciamo dalla finestra: Hermann Nitsch con le sue opere sanguinolenti, Günter Von Hagens con i suoi corpi umani veri, John Arfbau che nel 2038 fece impiantare un braccio umano al posto della coda di un cane, affibbiando all’intervento il titolo “Laika che saluta”, e altre centinaia, se non migliaia, di artisti.
Simone stette un po’ in silenzio, grattandosi la barba, poi proseguì:
– Torniamo nuovamente alla ricerca scientifica. Pensa comunque al lavoro sul DNA degli animali nelle sperimentazioni mediche eseguite finora. Sono eticamente ammissibili perché salveranno vite di uomini discutibili? E allora perché le stesse modifiche genetiche non possono essere concesse all’arte? Ad ogni modo, l’uomo ha provocato l’estinzione del cervo vampiro del Kashmir, tanto per nominare un’altra specie di cervide, una trentina di anni fa. Ora ne abbiamo qui una nuova. Forse sto cercando in maniera infantile di pareggiare i conti con la natura. Molte cose ancora non mi sono del tutto chiare, ma…
–  Ok. Non sono sicura di essere d’accordo – lo interruppe Elena – ma raccontami un po’ di questo lavoro.
–  Beh, non è che ci sia molto da dire. Semplicemente è un ibrido. Abbiamo aggiunto sequenze di DNA nel cervo, non io ovviamente, ma una fantastica squadra di genetisti, quelli della NAC, la New Animal Corporation e, come vedi, ora sulle corna crescono le orchidee. Questo è possibile perché i palchi del cervo non sono fatti di materia cornea morta, ma sono ossei e fortemente innervati e vascolarizzati, quindi vivi. Le orchidee hanno subìto solo piccolissimi interventi, che permettessero loro di trarre nutrimento direttamente dal plasma. Sono piante saprofite che possono nutristi anche di materia organica. E poi assorbono la maggior parte del nutrimento dalle loro radici aeree… Insomma, se mi sentisse un biologo, si metterebbe le mani nei capelli, ma per me le corna del cervo sono proprio come dei rami.
Guardò a lungo il cervo, pensieroso. Riprese:
– Quel cervo è ancora giovane, ha piccole corna, ma vedrai tra qualche anno, disse. Potrebbe essere un Thomas Grunfeld vivo. Solo molto, molto più elegante… Beh dimmi, ti piace?
Elena esitò prima di rispondere:
– Sì certo… Ehm, credo di sì. Però mi viene un dubbio, mi fa pensare a Pierre Huyghe. Ti ricordo che cinquant’anni fa ha tatuato di rosa la zampa di un levriero. Anche lui intervenne su un animale vivo. Dove sta la differenza?
Simone rifletté e le rispose:
– Davvero bellissimo il cane di Huyghe… La differenza è che quel cane ora lo puoi vedere soltanto imbalsamato. Questo cervo invece avrà dei figli che erediteranno il suo DNA e avranno fiori simili sulla testa. E’ un’opera che si auto-riproduce… Cioè con i meccanismi della natura. In un certo senso è un’opera che produrrà altre opere. Opera e artista fusi in una inconsapevole entità.
Pronunciò le ultime parole con una certa enfasi. L’ologramma lo guardò sollevando un sopracciglio e intervenne:
–  Non ti sembra di esagerare?
–  Uhm… forse sì. In effetti, non so se esistano artisti inconsapevoli. Esistono?
–  Bella domanda. Ma qui, sei tu quello che deve dare le risposte.
–  Risposte che sollevano altre domande, per fortuna, sennò la ricerca finisce qui, concluse Simone.
–  Sì, bene, smettiamola di dire ovvietà. Dimmi piuttosto: il cervo è da sempre uno dei tuoi soggetti preferiti, così come le piante. Da dove nasce questo tuo interesse? Non solo, spesso compaiono citazioni dalla storia dell’arte ed elementi architettonici nei tuoi dipinti e anche una certa fantascienza, alquanto visionaria. Che relazioni ci sono tra tutte queste cose e come le fai convivere?
– Si tratta di fascinazioni ataviche e innate, che confluiscono in maniera spontanea. Alberi secolari e monumentali che racchiudono evi di storia nelle circonvoluzioni delle loro radici, animali carichi di nobiltà, che sembrano dover rigurgitare la loro stessa filogenesi talmente paiono antichi. Penso ad esempio alla corazza ancestrale dei rinoceronti. In genere sono animali possenti… Una imponenza e grandiosità simili a quelle che percepisco nei progetti di Sant’Elia, per fare un altro esempio, che d’altro canto mi sembrano un bel modello, anche se improprio, di fantascienza visionaria. E’ normale poi che tutte queste cose convergano nella sintesi del lavoro. Ed è possibile che lo facciano insieme a molti altri aspetti, anche più attuali.
– Certo, Simone, tutto interessante. Ma forse ho sbagliato io a fare quella domanda. Ciò che mi prefiggevo era di farti parlare, come dicevamo, di un unico lavoro, quello che consideri il tuo migliore.
– E come potrei farlo? Attualmente la mia attenzione è completamente assorbita da questo cervo. Sto ragionando sugli aspetti etologici, prima ancora che etici. Questo animale sarebbe in grado di sopravvivere fuori da questo giardino? Si adatterebbe facilmente all’ambiente selvatico o sarebbe come un bel canarino allevato in gabbia, che una volta liberato soccombe per la sua incapacità di affrontare la natura? D’altra parte, questa modifica al cervo non mi pare pregiudichi la sua capacità di combattere e difendersi. E’ un normalissimo cervo con l’aggiunta di fiori sulle corna. Potrebbe addirittura rivelarsi un vantaggio evolutivo, per esempio un vantaggio nel corteggiamento grazie ai fiori.
– Ma non diciamo sciocchezze, commentò Elena incredula. – A quanto mi risulta, nei cervi è il maschio più forte, e non quello più elegante, che riesce ad accoppiarsi. E poi secondo me le orchidee cadrebbero durante i combattimenti o se le mangerebbero a vicenda.
– Beh poco male, rispose Simone. – Cadrebbero comunque insieme al cosiddetto velluto, quella lanugine che ricopre le corna e che cade verso la primavera. Ad ogni modo la loro capacità di tornare all’ambiente naturale non ne risentirà.
– Questo non lo puoi sapere, disse Elena.
– Purtroppo no, ammise Simone. – Però anche i bovini, le pecore e altri animali che noi abbiamo completamente cambiato nel corso dei millenni, rendendoli poco competitivi, si sono inselvatichiti nuovamente a contatto con la natura riuscendo benissimo a sopravvivere. I cani addirittura si sono ibridati con i loro primigeni antenati, divenendo dei quasi lupi, creando scompiglio tra i pastori abruzzesi e non solo. O i maiali domestici bradi che hanno “imbastardito” la stirpe dei cinghiali.
L’ologramma ebbe un lieve fremito:
– Dunque la tua opera migliore pensi sia questa, il cervo fiorito?
– In un certo senso lo è. Ma solo perché è nella pratica del fare che puoi assistere in diretta a una trasformazione, alla creazione di qualcosa. E’ il mio preferito per questo. Quando finisce il movimento e l’opera si cristallizza, perde di interesse per l’artista, anche se forse ne acquista per il pubblico quando la può vedere finita.
Dopo una lunga pausa, Simone staccò il suo sguardo dal cervo, e sentenziò gravemente:
– In realtà, no. Non penso affatto che il lavoro migliore sia questo. Come trent’anni fa, il mio lavoro migliore è sempre quello che devo ancora fare. Elena sbuffò con impazienza:
–  Che però non sai ancora in che consista!
–  Ho una mezza idea, le rispose lui.
–  E ce la vuoi raccontare o ti serve una richiesta olografica bollata?
–  Ecco – riprese Simone pudicamente – sto cercando inutilmente di contattare Elon Musk… Il progetto sarebbe un viaggio sulla superficie lunare per creare un’opera di Moon-art, visibile dalla terra, almeno con un piccolo telescopio.
– Ah però! Ambiziosetto come progetto, replicò Elena con una risata. – Allora mi dovrai raccontare tutto di questa follia, direi. Ora però mi devi scusare. Qui sono rincasati tutti e ti devo lasciare. Ci sentiamo domani. Simone annuì e salutò:
–  Ciao Elena, buona serata.
–  A te, rispose lei prima di svanire da sopra il tavolo in un bagliore. Simone restò in silenzio, meditabondo. Il cervo lo fissava con espressione vacua. Sembrava chiedersi perché proprio a lui fosse capitato di ritrovarsi questi strani fiori che gli spuntavano sulle corna. “Perché proprio a me?” dicevano gli occhi dell’animale.
Forse Simone aveva trovato un nome, o un titolo, per la sua opera/mascotte. L’avrebbe chiamato “Why- me?”. Sorrise pensando a quanto fosse ridicolo. L’animale sembrò intuire ciò che l’artista pensava. Forse decise in cuor suo che quello stupido nome dovesse essere l’ultimo affronto. Girandosi, sotto lo sguardo sbalordito di Simone, iniziò a correre. Con un grande balzo, riuscì a superare l’alta staccionata. Continuò a galoppare finché sparì nella foresta dietro la casa e nessuno lo vide più.

(Ogni riferimento a cose, fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale)

Simone Berti


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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.