Testo di Giulia Pollicita —
Inaugura la seconda edizione del MAXXI Bvlgari Prize. In mostra, le opere dei tre finalisti Giulia Cenci, Tomaso De Luca e Renato Leotta, concepite espressamente per l’occasione. Prevista lo scorso maggio e rimandata a causa dell’emergenza Covid, per il momento la mostra resta senza un “vincitore” fino al prossimo aprile, quando il board dei giurati selezionerà uno dei lavori esposti per l’acquisizione all’interno della collezione permanente del Maxxi.
Nel complesso, la selezione dei tre finalisti sembrava osservare lo sforzo da parte del museo di aderire a tematiche in voga nel dibattito contemporaneo, forse per far risuonare il programma all’unisono con il tenore discorsivo internazionale. La posticipazione del premio è tuttavia un segnale di consapevolezza preso alla luce di tempi incerti.
lento-violento è il lavoro scultoreo di Giulia Cenci, visibile fin dall’ingresso al museo sospeso lungo la scalinata che porta alla Galleria 5 del terzo piano, dove ha luogo la mostra.
Un complesso di corpi realizzati con materiali artificiali o ricavati da oggetti industriali di scarto è installato tramite cavi d’acciaio al tetto, dove resina acrilica, fibra di vetro, ferro, moschettoni e piombo costituiscono alcuni ingranaggi di una macchina infernale in precipitata verticale. L’opera nel suo insieme si articola in tre gruppi di figure, in cui si riescono a distinguere parti del corpo umano, lacerti di zampe equine e lo scheletro di una macchina fallica che aggredisce lo spazio con viti e pistoni acuminati. La lentezza del trattore si scontra con una violenza ballardiana, suggerendo un scenario post: post- umano e post-industriale, post-gender e post-identitario, in cui l’uomo si fonde all’animale e al meccanico, corpo e identità si frantumano. Il lavoro fa l’occhiolino a tematiche decisamente in voga, reclamando un machismo e un protagonismo prepotente all’interno del museo.
Giunti al piano, il corpo centrale della galleria accoglie il teatro-video di Tommaso De Luca, dove un’architettura a tre schermi riceve la proiezione del film a tre canali più sonoro, A Week’s Notice. Una riscrittura del «fenomeno della gentrificazione successivo alla crisi dell’AIDS tra gli anni Ottanta e Novanta, quando la comunità omosessuale scompariva dai quartieri delle grandi città e il mercato immobiliare viveva quella strage come un’opportunità di investimento» afferma l’artista, che ha ricreato con dei modellini in scala alcune di queste abitazioni e il mobilio che un tempo le arredava.
Una riflessione sociale e culturale che si serve intelligentemente dell’architettura, e della sua connotazione sociale storicamente provata, per ribadire il potere liberatorio dell’arte verso la realtà. Servendosi della maquette per inscenare e ricostruire una realtà di speculazione, l’artista parla di un finale alternativo, che nel dispiegarsi degli eventi non ha conosciuto un lieto fine, restituito invece attraverso l’arte.
Nell’area adiacente la vetrata del piano della galleria si trova Roma, l’installazione ambientale di Renato Leotta. Dodici film in 16 mm trasmessi da monitor disseminati tra le gambe degli spettatori si affacciano sul quartiere Flaminio. Lo sguardo della cinepresa si posa sui gatti della colonia felina che abita le rovine di Largo Argentina. Il tempo dilatato di questo luogo — sottratto al calpestio di fiumane di turisti — è restituito dall’ipnotico flusso d’acqua che scorre come un fascio di elettroni sospeso su due plinti.
Il lavoro suggerisce un languore caro alla città, il disincanto annoiato dei suoi abitanti e forse anche una certa indifferenza verso la modernità. L’immagine delle rovine trattiene la traccia di una durata temporale, cristallizzata nella storia e nella cultura. Ma oltre il cortocircuito autoreferenziale legato alla città, lo scarto elegantemente ironico si annida nella riflessione critica più sottile cui invita questo lavoro, che anziché aderire a sovrastrutture e tematiche aliene alla realtà in cui è stato realizzato, risponde piuttosto all’esigenza individuata di indagare criticamente l’identità — e l’eredità — culturale, storica e da ultimo politica della cultura mediterranea.
I tre finalisti sono stati scelti da una giuria internazionale composta da Hou Hanru (Direttore Artistico del MAXXI), Bartolomeo Pietromarchi (Direttore del MAXXI Arte), Manuel Borja-Villel (Direttore del Museo Reina Sofía, Madrid) ed Emma Lavigne (Presidente del Palais di Tokyo).
28 Ottobre 2020 – 07 Marzo 2021
MAXXI BVLGARI PRIZE 2020
galleria 5
A cura di Giulia Ferracci