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“WeUsedTo” di Olafur Eliasson. Essere parte di una storia collettiva

Testo di Davide Pirovano — L’esperienza, la relazione e la partecipazione degli individui non sono certo paradigmi nuovi al mondo dell’arte e ai metodi di creazione degli artisti. In una certa misura l’arte ha sempre richiesto il sostegno dell’Altro. L’esperienza diviene più importante e caratterizzante del contenuto, anzi, quest’ultimo diviene l’esperienza in sé, le sensazioni […]

Testo di Davide Pirovano —

L’esperienza, la relazione e la partecipazione degli individui non sono certo paradigmi nuovi al mondo dell’arte e ai metodi di creazione degli artisti. In una certa misura l’arte ha sempre richiesto il sostegno dell’Altro. L’esperienza diviene più importante e caratterizzante del contenuto, anzi, quest’ultimo diviene l’esperienza in sé, le sensazioni delle soggettività coinvolte diventano la materia primaria di creazione.

In un momento di difficoltà precaria causato da una pandemia globale che ha costretto la società ad adottare determinati atteggiamenti, privandola dell’essenziale necessità di interazione insita nell’uomo, nasce WeUsedTo. In questo progetto, lanciato il 12 maggio 2020, l’artista danese Olafur Eliasson piega lo spazio virtuale al servizio degli individui e alle loro necessità di liberazione personale riguardo a quella che è stata la propria esperienza del lock-down e più in generale della crisi.

Lo spazio virtuale è sfruttato come valvola di sfogo, come spazio reale e temporale disponibile e aperto, creato dai partecipanti e sviluppato dallo Studio Olafur Eliasson (SOE), dove le opinioni e i pensieri di ognuno si fondono in un’unica trama complessa, che incornicia un’esperienza di entità globale. Il progetto di Eliasson erige a primo paradigma fondamentale l’individuo e la soggettività in quanto tali, ora scrittori di una storia costruita collettivamente.

“La condivisione di esperienze e riflessioni può essere importante per noi per capire come vivere insieme nel mondo, dove è probabile che il COVID-19 rimanga ancora per un po’”, così si legge sulla pagina dedicata al progetto dell’associazione che lo sostiene, EER (Experimenti, Experiencin, Reflecting) finanziata dalla Carlberg Foundation e diretta da Olafur Eliasson e dallo scienziato Andreas Roepstorff (Aarhus University). L’EER si concentra fondamentalmente sulla commistione tra arte e scienza, con sperimentazioni che esaminano per l’appunto la percezione, l’azione, la nozione di “insieme”, la collaborazione e trasmissione del sapere attraverso progetti artistici e installazioni in spazi museali e altre istituzioni pubbliche.

“WeUsedTo” si ispira alla routine sviluppata nel Project Zero dell’Università di Hardvard (2019), presentata da Ben Mardell, improntato sulla scoperta del cambiamento del pensiero. Il progetto dell’artista non è legato però solo all’hich et nunc sfuggevole, ma permane e si auspica di costruire una visione della vita prima del COVID-19, cosa si vuole mantenere e cosa invece cambiare.

Il quadro che esce dall’esperimento sociale e artistico del progetto è uno spettro di pensieri in cui ritrovarsi, per cui emozionarsi, provare empatia, sorridere, pensare insieme, sentirsi vicini e non sentirsi soli all’interno di un’unica comunità globale. Tasselli di una sola narrazione inarrestabile e generalmente scomposta nel mondo, ora ritrovatasi in un unico “insieme”.

“I used to shave my legs. Now I don’t care..”

“We used to breathe impure air.
Now we have pure air, but we are weating masks.”

“I used to feel that I was not living my life to the fullest extend if my calendar wasn’t completely booked. Now I feel free.”

“We used to make plans. Now we make dreams.”

“We used to hug with arms. Now we hug with words.”

Tutti possono condividere il proprio “We used to / I used to”, liberandosi del pensiero più nascosto oppure del pensiero più ovvio e divertente, sentendosi così parte di un unico “noi”: www.weused.to