ATP DIARY

New Photography | Teresa Giannico

L’ottavo appuntamento con New Photography è dedicato a Teresa Giannico, nata a Bari nel 1985, ma si casa a Milano dal 2012. Per leggere le altre interviste ☞ Mauro Zanchi, Sara Benaglia: Lay Out (2015) e Ricerca8 (2018) sono opere costituite dall’ibridazione di più arti e tecniche. Ci interessa indagare l’idea dell’ambiguità percettiva presente nella tua ricerca. Teresa Giannico: Sono […]

Teresa Giannico, Interno n°3, 2018 – Courtesy Viasaterna

L’ottavo appuntamento con New Photography è dedicato a Teresa Giannico, nata a Bari nel 1985, ma si casa a Milano dal 2012.
Per leggere le altre interviste ☞

Mauro Zanchi, Sara Benaglia: Lay Out (2015) e Ricerca8 (2018) sono opere costituite dall’ibridazione di più arti e tecniche. Ci interessa indagare l’idea dell’ambiguità percettiva presente nella tua ricerca.

Teresa Giannico: Sono sempre stata intrigata dalle immagini che non si svelano a un primo sguardo, non tanto nel concetto quanto nella tecnica: i trompe l’œil, le scenografie dei musei di scienze naturali, i fondali utilizzati nei primi esperimenti con la fotografia sono alcune tra le rappresentazioni che mi hanno sempre incuriosito perché mi portavano a guardare oltre quello che volevano raffigurare. Attraverso queste tecniche, che rappresentano l’immagine dell’immagine, si è coinvolti maggiormente nella scena, molto più che nella realtà, nonostante ne sembrino quasi una copia fedele; questo perché non si tratta né di astrazione né di verità, ma di una via di mezzo, che permette allo spettatore una lettura più lenta e quindi di porsi più domande.

MZ / SB: È interessante lo spostamento sottile che metti in azione nella costruzione dei diorami, ovvero la rappresentazione in miniatura di un allestimento. Ogni tuo diorama si può interpretare anche come meta-rappresentazione di un processo installativo, aderente alle modalità care all’arte contemporanea. Ci potresti parlare di questo aspetto?

TG: È un’operazione che utilizzo molto nei miei ultimi lavori e nasce dalla voglia di spaziare maggiormente con le possibilità date da questa tecnica rispetto alle serie precedenti, in cui rappresentavo immagini già esistenti.In Ricerca8 mi intrigava molto immaginare installazioni voluminose, composte da oggetti di diversa natura (non mi interessava tanto l’oggetto come significato, quanto per l’affinità nella composizione), “incastrate” in interni di abitazioni, quasi a creare delle presenze inquietanti? Ingombranti? Estranianti? Come per una vera installazione ogni fruitore può avere una percezione differente. Il mio obiettivo è quello di andare oltre il luogo fisico, di vederlo da lontano attraverso la sua immagine: avrebbe un effetto sorprendente vedere queste sculture di oggetti dal vivo in scala 1:1, ma a me interessa l’idea di quelle sculture.

MZ / SB: Selezioni dal web e dalle tue personali fotografie oggetti del quotidiano domestico, li cataloghi, li inserisci nei diorami in scala ridotta, successivamente fotografati. L’immagine finale del processo rimanda a uno scenario sospeso, in cui il fruitore può includere storie immaginarie o realmente vissute, dialoghi, collegamenti personali, innescando altre ipotetiche possibilità, l’irruzione di un’altra quotidianità, ovvero quella contenuta nel perimetro evocativo della fotografia. Cosa si dinamizza concettualmente tra gli spazi intimi della tua memoria, i mondi sospesi, gli interni reali della vita, le raccolte e i cataloghi delle immagini, i tuoi diorami, e l’idea di una nuova visione affidata al medium fotografico?

TG:  Certamente la scelta dei soggetti rappresentati nelle mie serie deriva da un’attitudine verso circostanze di solitudine e intimità, che ho sempre preferito per il mio lavoro e per la mia vita in generale. Ma si tratta di pretesti per parlare d’altro, per studiare l’immagine nell’atto della composizione e per restituire le stesse riflessioni al fruitore. A interessarmi quindi è più il concetto di immagine che un’opinione su un fatto, su un luogo.

Teresa Giannico, Diorama S.M. 19, a Bianca, 2019- Courtesy dell’artista
Teresa Giannico, Lay Out #3, 2015 – Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Picture Study,2015 Courtesy Viasaterna

MZ / SB: Lo scatto fotografico è l’ultimo passaggio di un processo che include disegno e scultura. In un’intervista precedente ti riferisci al “carattere fortemente analitico” del mezzo fotografico. Vorremmo chiederti di approfondire questo aspetto della fotografia in relazione alla tua opera.

TG: Diamo ormai per assodato tutti che la fotografia non sia indice di verità assoluta. Anche gli amatori ormai sanno che dietro un bel ritratto possono nascondersi dei ritocchi e delle finzioni. Però nessuno di noi smette di avere quell’approccio quando guarda una foto, almeno a primo impatto, perché è incuriosito nello sbirciare un pezzo di realtà. Non è un caso che la fotografia oggi condizioni più di qualsiasi altro mezzo la gente e, per quanto appurato il concetto di prima, pochi ancora si rendono conto di una fake news, ad esempio, dando per scontata l’immagine di fronte alla quale si trovano. La condizione da tener sempre presente, quindi, è la volontà di chi è dietro la camera. Stabilito questo, però, è anche vero che il fascino della fotografia risiede comunque nel catturare le superfici in maniera fedele: è questo che ci spinge a considerare vero ciò che riporta e a creare confusione. La capacità di analisi che attribuisco alla fotografia sta proprio in quel registrare in maniera dettagliata le figure e nel fatto che la stampa fotografica concede maggior tempo di lettura e maggiore attenzione nell’osservare i contenuti, rispetto a quanto faremmo di fronte alla realtà. Io approfitto di quella “percezione di verità” che restituisce la fotografia, cercando di creare un cortocircuito tra reale e irreale, tra un luogo oggettivo e la suggestione di quel luogo. È il mezzo perfetto per chiudere le fasi del mio lavoro, perché, una volta stampata la fotografia del diorama, il fruitore è portato a domandarsi se quello che vede sia vero o meno.

MZ / SB: Nelle ambientazioni in scala ridotta, che crei plasticamente per dare l’illusione di un panorama reale, immagini lo spazio come un paesaggio o come un teatro? In altre parole, ciò che installi si trova in un ambiente di vita o è in posa?

TG: Cerco di lavorare a ogni ambientazione come se fosse la scenografia di un teatro: nelle immagini in cui le composizioni sono inventate il tentativo è più palese, in quelle in cui riproduco spazi esistenti un po’ meno, ma la logica è sempre la stessa. Il lavoro che ho presentato al Premio Cairo di quest’anno ne è un esempio efficace: si tratta della riproduzione dell’ufficio del Ministro dell’Interno, che per una ripresa nel 2018 era stato adeguatamente sistemato ed organizzato perché venisse percepito in maniera familiare e amichevole, nonostante il suo arredamento austero. In questo caso ho riprodotto la “messa in scena di una messa in scena”, ed è sempre questo cortocircuito che mi spinge a creare un immagine nuova.

MZ / SB: Lay Out(2015) include fotografie amatoriali scattate a immobili in affitto, immagini di cui hai rispettato le inquadrature nella costruzione dei tuoi diorami. Perché ricreare l’intimità di un ambiente abitato da un’assenza?

TG: Sono sempre stata incuriosita dagli interni, da come questi vengono vissuti e credo che gli oggetti che li compongono raccontino molto della persona che li abita, più di quanto farebbe la sua presenza. In Lay Out la valenza di queste componenti è duplice: non solo si palesa un luogo intimo con le sue caratteristiche, ma anche la dinamica per presentarlo attraverso la fotografia.
Ci troviamo di fronte a immagini amatoriali e di conseguenza piene di sviste ed errori per un addetto al mestiere; però, proprio perché opposte alla fotografia di interni canonica, a me appaiono più genuine e ricche di dettagli. Con questa serie mi è piaciuto sbirciare quegli spazi, immaginarne le storie e studiarne la messa in scena, per quanto ingenua. L’obiettivo dietro alla loro riproduzione è quello di portare il fruitore a fare la mia stessa analisi, “rileggendo” ogni elemento, la scelta dell’inquadratura, i particolari omessi e presenti. Spesso mi chiedono: “Ma se la fotografia di queste stanze già esiste, che bisogno c’è di rifarla, per lo più in maniera identica?”. La risposta è che nella fotografia originale guardiamo la stanza, mentre nella sua riproduzione vediamo l’immagine.

Teresa Giannico, Lay Out #5, 2015, Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Lay Out #4, 2015, Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Lay Out #9, 2015, Courtesy Viasaterna

MZ / SB: A proposito degli Interni dalla serie Ricerca8 (2018) che cosa è la domesticità nel tuo lavoro? Se allargassi il tuo obiettivo nei diorami, che cosa inquadrerebbe il fuori campo?

TG: Ho lavorato in più studi nel corso del tempo, condizione dovuta più ai miei spostamenti che alla voglia di cambiare spazio. Per ognuna di queste volte, prima di inaugurare il laboratorio con un nuovo progetto ho sempre reso personale e familiare lo spazio; senza questa condizione non riesco a lavorare. Allargando l’obiettivo al di là del diorama si scoprirebbe quindi un caos ordinato: tanti utensili, ricordi, appunti, disegni e stampe – la maggior parte dei quali non miei, ma amatoriali, perché adoro vedere quei codici molto semplici di rappresentazione e quei tentativi che, invece, gli addetti al mestiere sanno nascondere. Non sono infine minimalista: adoro collezionare e scovare oggetti, specialmente se appartenuti ad altre persone. Non è un caso pertanto che questo si rifletta nelle mie immagini.

MZ / SB: Quali sono le macro-categorie che compongono il tuo “giacimento visivo”?

TG: La mia categoria di riferimento si rifà spesso all’arredo, perché è quanto di più immediato riesca a pensare guardandomi intorno – sono diversi anni che lavoro nella mia casa studio – e perché ho una passione non espressa per il design d’interni. Poi, col passare del tempo, cambiano anche i progetti e gli interessi: nelle immagini a cui sto lavorando nell’ultimo periodo, ad esempio, cerco di allontanarmi ulteriormente dalla realtà, operando solo con forme e colori.

MZ / SB: Marina Ballo Charmet scrive “Vedere per mezzo della fotografia non voleva dire per me scrutare o descrivere in modo minuzioso (…) ma rendere la condizione di essere dentro quel luogo” (Marina Ballo Charmet, Con la coda dell’occhio. Scritti sulla fotografia, Quodlibet, Macerata 2017, p.23) ed è rispetto a questo precedente che leggiamo il tuo passaggio in una dimensione metafotografica. Nelle ambientazioni in scala ridotta che crei plasticamente per dare l’’illusione di un panorama reale che relazione intercorre tra vita e rappresentazione?

TG: Col mio lavoro non ho mai voluto raccontare delle vere e proprie storie. Molti dei luoghi che ho riprodotto sono stati un pretesto per parlare dell’immagine in sé e per sé. Spesso quello che non mi piace della fotografia è il bisogno di raccontare tutto il retroscena dietro alla figura, quando per me, invece, si tratta prima di tutto di un mezzo di comunicazione, che si palesa tramite i suoi codici. Dunque analizzo più il linguaggio che il soggetto.Per me forse significa proprio vedere in maniera minuziosa, non come uno scienziato, ma con la volontà di perdersi e di lasciarsi suggestionare da quanto si vede. Più che una storia, quindi, io sono sempre stata intrigata da come la storia è raccontata, dalla messa in scena e da come questa venga percepita: ma forse, non è una storia anche questa? 

MZ / SB: Casino Palermo (2018): reale e immaginario, concetto o sentimento sono categorie di opposizione?

TG: Nel 2018 ho partecipato alla residenza d’artista organizzata da Viasaterna a Palermo durante gli eventi di Manifesta; ero ospite in questa grande casa-studio, che aveva un fascino molto forte, tanto che ho pensato di riprodurne un pezzo. Tornata a Milano, ho deciso di lavorare una seconda volta su quell’immagine, ricostruendo il diorama in base a quanto ricordavo e a quanto quel luogo mi rievocava. A questo punto reale e immaginario, pensiero e sfera interiore, si sono uniti e non aveva più importanza dire cosa era vero e cosa falso.

Teresa Giannico, Interno n°4, 2018, Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Interno n°16, 2018, Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Interno n°1, 2018, Courtesy Viasaterna
Teresa Giannico, Interno n°13, 2018, Courtesy Viasaterna

Inauguriamo una nuova rubrica di approfondimenti dedicata alla fotografia contemporanea: una serie di interviste di Mauro Zanchi e Sara Benaglia realizzate nel contesto di ricerca riferito alla Metafotografia e alla New Photography, iniziata nel 2018 – approfondita con una mostra presso BACO_BaseArteContemporaneaOdierna (Baco Arte Contemporanea) e una pubblicazione edita da Skinnerboox nell’ottobre 2019 – e tuttora in divenire con ulteriori approfondimenti nelle pagine online di questo sito.
New Photography è un progetto che in una prima fase coinvolge l’avanguardia fotografica contemporanea italiana e in seguito la Nuova Fotografia internazionale. Si pone il quesito di quale sia la natura dell’immagine alla luce di un cambio di paradigma visuale combinato con i cambiamenti sociali e tecnologici che lo hanno accompagnato. Gli algoritmi di correzione dell’immagine, il deep web, l’apertura al non visuale, la codificazione con stringhe di numeri, l’archivio, le corruzioni e gli sviluppi dell’inconscio tecnologico, l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza e dello scanner invece di un obiettivo sono solo alcuni dei metodi e delle modalità di ricerca adottati dagli artisti coinvolti.