ATP DIARY

New Photography | Luca Baioni

Il sesto appuntamento con New Photography è dedicato a Luca Baioni, (Milano, 1984) fotografo nato e cresciuto nell’area di Milano. Mauro Zanchi, Sara Benaglia:  Study for the Human Untitled with Loop (2019), una delle tue ultime serie, nasce da una premonizione, da immagini che, in un certo senso, ti chiamano. Vorremmo chiederti di approfondire questa […]

Luca Baioni, L’Europa e il corpo dentro la pioggia pt.III
Luca Baioni, L’Europa e il corpo dentro la pioggia pt.II

Il sesto appuntamento con New Photography è dedicato a Luca Baioni, (Milano, 1984) fotografo nato e cresciuto nell’area di Milano.

Mauro Zanchi, Sara Benaglia:  Study for the Human Untitled with Loop (2019), una delle tue ultime serie, nasce da una premonizione, da immagini che, in un certo senso, ti chiamano. Vorremmo chiederti di approfondire questa ricerca, anche fisica, delle immagini.

Luca Baioni: Mi chiamano, mi hanno chiamato. Da tempo non sono più io che mi lascio cadere nel buio ma è il buio che insiste a mostrarsi. In questo (dis)piegarsi ho trovate nuove cose che da sempre volevano essere trovate.
Le cose che si mostrano, successivamente vomitate come immagini, sono spesso delle premonizioni.
Quando nel sogno e nello stare di qua sento queste eco che mi prendono, mi avvolgono, devo andare a trovare le origini, devo impossessarmene, devo creare un legame.
Poi tutto accade in fretta. Semplicemente scatto delle fotografie a cose che non possono più esserci. Accade che io veda le fotografie prima di farle, prima di essere nel luogo in cui andrò ad incontrarle. Non le cerco, sono loro ad attraversarmi e a farmi muovere.
Sinceramente, non sono mai sicuro di aver preso quello che si era mostrato, so solo che sento un intenso e violento calore che mi fa sentire in collegamento. Aspetto questi momenti. Aspetto di farmi nuovamente affascinare dalla vita che mi consegna delle porte. Oramai non so più neanche quello che accade. 

MZ / SB: Catturi le tue immagini con macchine fotografiche RICOH, compatte, a pellicola o digitali, come se andassi a incontrare anime, ectoplasmi o altre presenze invisibili, in un processo simile a una esperienza sciamanica. Come sei giunto a questo tipo di incontro ravvicinato?

LB: Ho instaurato un legame inscindibile con un certo tipo di attrezzatura.
Come farebbe un musicista con la sua strumentazione. Ma, indipendentemente dal mezzo, che sia pellicola o digitale, riesco a comunicare con quelle presenze/immagini che sono invisibili e che sono parte del tutto. Queste anime, o figure, prima le vedevo sovrapposte a quello che io masticavo come realtà: riuscivo a intrappolare tutto “quello che non era quello che si vedeva”, ovverosia quello che io vedevo.
Ho accettato questa nuove possibilità, sovrapposizioni. 
Ho passato anni alla ricerca di cose non visibili, che coesistevano nel mio vedere quotidiano.
Fatto di quiete e attesa, l’atto fotografico era diventato accogliente.
Poi tutto è svanito e mi sono trovato in quel buio che aspettavo. 
Vedere oltre non è stato per me una pratica ma una liberazione: ora potevo entrare e non solo osservare, ma anche prendere.
Lasciarsi attraversare senza terrore, per poter continuare a vivere.
Le esperienze che mi accolgono non so dire se fanno parte di quello che viene chiamato sciamanico. So solo che io ci sto bene. Devo continuare a far sì che la vita continui a mostrarsi.

Luca Baioni, Polyptych (Loop for the human untitled)
Luca Baioni, Polyptych (Loop for the human untitled)

MZ / SB: Quanto le tue immagini sono documenti o testimonianze reali e quanto sono proiezioni formali di qualcosa che, invece, vive in te da molto tempo?

LB: Vive in me da molto tempo sia la tempesta sia la calma.
Un passaggio fondamentale nella mia vita è stato il rifiutare quello che era una documentazione o una testimonianza. Mi sentivo semplicemente un bravo gregario di cose viste, ma che non erano passate attraverso di me. 
Vedevo, fotografavo e abbellivo: presentare al meglio qualcosa, imbellettarlo.
Questo “non essere profondamente dentro” mi stava annoiando e sentivo che dovevo ascoltare meglio quello che mi chiamava, forse non lo sentivo proprio.
Mettersi in dubbio come essere umano e come artista ha fatto insinuare nella mia esperienza qualcosa di nuovo che era da sempre lì.
In questo ultimo periodo getto fuori solo proiezioni di quello che vive in me da molto tempo, ma appare come nuovo.

MZ / SB: Nella tua ricerca metti in relazione due mondi, e la fotografia è il risultato di una immagine che è riportata da una “altra parte” prossima al sogno?

LB: Con la fotografia riesco a prendere quello che mi è apparso, o ciò che ricordo mi sia apparso.
A volte è nel sogno e a volte è quando sono “sveglio”. La relazione tra queste due parti, questi mondi, è completamente autonoma: io mi trovo lì nel mezzo come visitatore e non come creatore. Viaggio su una linea che mi permette di essere un collegamento.

MZ / SB: Come mai stampi sempre solo una copia dell’immagine “spiritica” e poi la circoscrivi o deponi nel sarcofago della cornice? Potresti approfondire il rapporto che si instaura con il futuro dell’immagine attraverso questa sigillatura?

LB: L’importanza delle mie esperienze mi porta a costruire una sola copia di una fotografia, di un’opera. C’è qualcosa di sacro che mi impedisce di riprodurmi all’infinito e che potrebbe spezzare il collegamento che ho con tutto.
Quasi volessi imporre a chi guarda di tornare lì davanti e non di avere la possibilità di esserci sempre. 
Mi sembra, infatti, di porre la fotografia come in una specie di sarcofago: cornice. 
Da una parte mi sento in dovere di far rimanere l’opera a più lungo possibile viva.
Cornice, vetro, stampa e tutto ciò che riguarda la sua conservazione è una costante imprescindibile nella mia produzione.
Dall’altra parte, appunto, propongo le mie opere come si sono proposte a me. Qualcuno le vedrà una volta, altri forse di più. Come lampi nella foresta.

MZ / SB: Fotografi di notte e il primo stato dell’immagine che realizzi è completamente “al nero”. Che cosa accade nella fase di postproduzione, in cui lasci emergere ciò che è custodito in un’impronta?

LB: Fare fotografie di notte è stato un ennesimo passaggio, mentre rifiutavo di essere solamente un “riportatore” delle cose e degli eventi. La notte, il buio e la non presenza di (troppa) luce ha fatto sì che io potessi concentrarmi sul sentire le cose mente le guardavo e non solamente sull’esserne spettatore.
In molti casi, dovuti a demoniaci incastri, accade o faccio accadere che il mezzo non funzioni come dovrebbe o vorrebbe. Si crea un guasto. Le immagini nascono dal nero e io poi devo andare nuovamente a tirarle fuori.
Una doppia calata nell’oscurità, prima visitando (o visitato) il mondo e poi nella fase di lavorazione. Quando l’opera mi guarda io smetto. 
Ma è tutto sempre istintivo, senza calcolo, senza futuro: agisco in una rigorosa indisciplina.

Luca Baioni, Polyptych (Lysergik funeral procession)
Luca Baioni, Polyptych (Lysergik funeral procession)
Luca Baioni, Polyptych (Lysergik funeral procession)

MZ / SB: Anche i fingitori Ottocenteschi dello spiritismo, che dicevano di parlare con i morti, lavoravano in postproduzione sulle lastre. All’epoca la fotografia, anche a livello giuridico, era una prova. Ai nostri tempi non più. Lo scatto fotografico può rubare qualcosa a livello atomistico? Che rapporto hai con lo spirito?

LB: Siamo tutti immersi in una pozza gigantesca che si può chiamare spirito, universo, vita e morte. Il nastro che gira e si intreccia e si rigenera e che ci parla. Cercavo di portare con me prima, nelle risposte precedenti, proprio questo: quello che vivo come spirito lo accolgo come vita. Si frammenta tutto, ma poi è intero. Forse tutto quello che si muove nell’infinito è carico di segni e messaggi che ci portano a essere poeti, artisti ed esseri umani. Quello che ne viene fuori dalla mia fotografia è tutto questo. Per fortuna ancora un niente.

MZ / SB: In questo momento vorremmo anche andare oltre la fotografia classica, intesa come documento del momento privilegiato. Rimane un’incapacità di cogliere elementi solitamente non frequentati. La magia e la visionarietà hanno perso per alcuni secoli lo spessore che si trovava in Marsilio Ficino, in Pico della Mirandola e in altri umanisti neoplatonici. Le loro visioni sono andate quasi perdute nelle maglie della storia. Le attuali generazioni non conoscono ciò che le figure più interessanti del Rinascimento hanno lasciato scritto nelle loro opere letterarie o artistiche. Tu, invece, sembri vicino a questa modalità di percezione estesa. Un rabdomante nel contemporaneo.

LB: Ho ritrovato in molti artisti tutto questo, molti hanno vissuto nel ‘900 e mi sono più “vicini”.
Mi sembra spesso di essere più un vagabondo che si trascina nella gioia della violenza della vita. La capacità di cogliere alcuni elementi, che possono sembrare per i molti non frequentabili, non saprei come si acquisisce, forse ce l’abbiamo tutti. Gli incastri che si formano nel percorso sicuramente fanno smuovere tanto, fanno accogliere quello che non si pensava fosse possibile accogliere o accogliente. Essere visionari è una posizione che possiamo avvicinare tutti. Molti entrano, ma molti chiudono la porta. Non è facile accettare la capacità di andare oltre. Io oramai ci vivo in questa dimensione visionaria. Non potrei più farne a meno. 

MZ / SB: Le tue immagini emettono frequenze, producono una influenza armonico-melodica, che mette in moto delle energie. L’effetto prodotto avvicina la tua fotografia alla musica. Potremmo considerare il tuo lavoro una forma di sinestesia?

LB: Cerco da molto tempo di far coesistere la musica nella stessa “scena” dove ci sono delle mie fotografie. Ma non è ancora il momento.
Sicuramente comunicano, si cercano e si stimolano a vicenda. Hanno bisogno di fondersi insieme tanto quanto hanno bisogno di stare lontane. Si produce musica vedendo delle immagini nel proprio cervello e si producono immagini sentendo della musica nel proprio cervello. La sinestesia c’è. A volte mi piace pensare di essere riuscito a far trasudare alle mie immagini quello che vivo con la musica, o che produco con dei suoni.
A volte vedo anche che chi osserva una mia opera percepisce chiaramente quella “eco” musicale e me ne testimonia.

Luca Baioni, Studies of figures from LLAV
Luca Baioni, Study for the human untitled with loop
Luca Baioni, Study for the human untitled with loop
Luca Baioni, Study for the human untitled with loop

Inauguriamo una nuova rubrica di approfondimenti dedicata alla fotografia contemporanea: una serie di interviste di Mauro Zanchi e Sara Benaglia realizzate nel contesto di ricerca riferito alla Metafotografia e alla New Photography, iniziata nel 2018 – approfondita con una mostra presso BACO_BaseArteContemporaneaOdierna (Baco Arte Contemporanea) e una pubblicazione edita da Skinnerboox nell’ottobre 2019 – e tuttora in divenire con ulteriori approfondimenti nelle pagine online di questo sito.
New Photography è un progetto che in una prima fase coinvolge l’avanguardia fotografica contemporanea italiana e in seguito la Nuova Fotografia internazionale. Si pone il quesito di quale sia la natura dell’immagine alla luce di un cambio di paradigma visuale combinato con i cambiamenti sociali e tecnologici che lo hanno accompagnato. Gli algoritmi di correzione dell’immagine, il deep web, l’apertura al non visuale, la codificazione con stringhe di numeri, l’archivio, le corruzioni e gli sviluppi dell’inconscio tecnologico, l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza e dello scanner invece di un obiettivo sono solo alcuni dei metodi e delle modalità di ricerca adottati dagli artisti coinvolti.