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I (never) explain #47 – Giuliana Rosso

Quel mio amore per lui aveva ali di cera lunghe le ali sembravano eterne battevano il cielo sicure, sfioravano picchi,puntavano al sole con nervature nervine. Fuse le ali ormai mi ricrescono dentro,soltanto ora perdute mi diventano vere,e ai cuori incauti grido: la passione è un fantasmatroppo importante, uomini, per potersi incarnare. Chiomate vaganti comete di Halley, […]

Quel mio amore per lui aveva ali di cera 
lunghe le ali sembravano eterne
battevano il cielo sicure, sfioravano picchi,
puntavano al sole con nervature nervine.

Fuse le ali ormai mi ricrescono dentro,
soltanto ora perdute mi diventano vere,
e ai cuori incauti grido: la passione è un fantasma
troppo importante, uomini, per potersi incarnare.

Chiomate vaganti comete di Halley, presagi
disastri prodigi che infiammano e gelano il sangue,
nessuno osi fissarvi, si arrischi a sfiorare
coaguli di pura lontananza – morgane.

Maria Luisa Spaziani ,  la cometa (da La stella del libero arbitrio (1986)

Leggo né  La cometa diMaria Luisa Spaziani come spesso si raggiunga la consapevolezza della realtà e di quanto una determinata cosa diventa importante solo quando si cade e si perde qualcosa di vitale; anche se ciò comporta un aspetto tragico in realtà, si riconquista una parte di sé che era andata perduta.

Allo stesso modo nel lavoro che ho realizzato allo spazio VEDA, ho immaginato figure che sembrano aver perso qualcosa e cadono verso un nucleo instabile, lasciando a chi guarda la mostra una soluzione.

Quello che più mi ha colpito quando sono stata allo spazio per la prima volta è stato il senso di vertigine che si prova nel notare l’assenza del pavimento tra la stanza sotterranea e quella a livello della strada. Il pavimento crollò durante l’alluvione del 1966 che colpì Firenze. Questo fatto ha dato allo spazio una conformazione verticale, inaspettata e profonda, che lo rende apparentemente impraticabile.

Immaginavo quello specchio d’acqua che aveva preso il posto del pavimento e un ipotetico riflesso, un miraggio di qualcosa che non è mai esistito in quel luogo. Una volta, riflessa, capovolta.
Un’evocazione, privata della sua struttura portante e degli elementi architettonici costruttivi e rivolta al contrario.
Come un riflesso nell’acqua non ha la fedeltà di uno specchio ma l’immagine si frammenta e si distorce e certe parti fondamentali vengono meno pur rimanendo chiara la traccia di esse, così solo l’essenza della volta rimane riconoscibile pur se deformata nel riflettersi.

Successivamente ho capito che il capovolgimento doveva riguardare molti dei suoi elementi, oltre a quello della struttura architettonica. La muratura che costituisce il materiale costruttivo della volta è qui idealmente rovesciata utilizzando la carta, che ha caratteristiche di robustezza e solidità opposte.

Il supporto in carta da spolvero, che veniva utilizzato dagli antichi maestri nella fase preparatoria e di studio di un affresco per poi andare a tracciare la sinopia, è un materiale che utilizzo spesso nei miei lavori. Stendo un’imprimitura in gesso e colla che successivamente coloro con gessetti e carboncini applicati in diverse velature sovrapposte. La resa pittorica è così molto vivida e alle volte quasi materica, come se si trattasse di un vero affresco o tela dipinta. Mi interessa l’ambiguità dell’effetto che ne risulta.

Sulle vele compaiono frammenti di quella che poteva essere una volta stellata, com’era consuetudine in molta pittura basso medievale di affrescare le volte come cieli stellati (mi vengono in mente le volte a crociera della Sagrestia di San Miniato al Monte a Firenze, della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, della cattedrale di Siena e del Duomo di San Gimignano) ma qui ho voluto rendere, come in una composizione giocosa, le stelle più simili a quelle delle camerette dei bambini.

Le figure si muovono secondo un andamento spazio-temporale astratto e senza gravità, dove la narrazione non avviene su un piano fisico reale e consequenziale ma secondo uno schema frammentato e libero.

Giuliana Rosso, Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, 2019, particolare, courtesy dell’artista e VEDA. Foto: Flavio Pescatori

Un instabile ombrellone da spiaggia regge l’intera struttura della quale mancano gli elementi portanti. Ci sono solo le vele decorate che si originano dal piano immaginario del pavimento distrutto, a livello della strada, e convergono al centro dove una stella marina rappresenta la chiave di volta, in una trasposizione terrena della stella celeste che va trasferirsi in una dimensione tangibile e viva. La stella marina rappresenta per me l’animale indifeso per eccellenza, ucciso per gioco sulle spiagge o per essere venduto nei negozi di souvenir.

Giuliana Rosso, Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, 2019, particolare, courtesy dell’artista e VEDA. Foto: Flavio Pescatori

Defilato, un pappagallo ha perso la sua identità e attende di essere trasportato in qualche luogo lontano chiuso dentro una bottiglia di plastica; un riassunto e allo stesso tempo un’introduzione alla mostra.

Giuliana Rosso, Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, 2019, installation view, courtesy dell’artista, Trexi Galaxie e VEDA. Foto: Flavio Pescatori
Giuliana Rosso, Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, 2019, installation view, courtesy dell’artista, Trexi Galaxie e VEDA. Foto: Flavio Pescatori
Giuliana Rosso, Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, 2019, installation view, courtesy dell’artista, Trexi Galaxie e VEDA. Foto: Flavio Pescatori

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain

I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.