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I (never) explain #37 – Alice Ronchi


"'Greetings' è un progetto che volevo sviluppare da anni: un uomo che lava i vetri e che, se osservato da un punto di vista esterno, sembra salutare."
The Greeting Project 2016, Sign Light Bulbs / Room with wooden sculptures, postcards, video color 16 9 HD 2 m. Loop – Wall painting – performance – Courtesy of the artist and Francesca Minini – Photo credit Andrea Rossetti


“Camminavo per strada, mi voltai e vidi un uomo all’interno di un edificio pulire con sinuosi gesti una vetrina. Con il braccio proteso verso l’alto stringeva un panno colorato che sventolava dondolando il suo corpo da destra a sinistra e di nuovo verso destra. 
Disegnava tante curve immaginarie, come se stesse pulendo un arcobaleno. 
Rimasi a guardalo e sorrisi, 
credevo mi stesse salutando.
Sorrise anche lui.”

A poco più di un mese dall’apertura del centro commerciale Scalo Milano, Bruna Roccasalva, affiancata da Stefania Scarpini, affida a me e a Santo Tolone la realizzazione di un progetto all’interno di due grandi edifici del complesso, uno ciascuno. La peculiarità delle strutture che ci furono affidate era la dimensione predominante rispetto alle altre: una superficie di 500 mq circa, dieci metri d’altezza e grandi vetrate. Un’impresa! Viste le tempistiche strette e l’inaccessibilità dello spazio da parte degli spettatori (a causa di questioni di sicurezza) mi proposero di lavorare sulle vetrine costruendo una parete di fondo.

Questa proposta mi fece subito pensare a “Greetings”, un progetto che volevo sviluppare da anni: un uomo che lava i vetri e che, se osservato da un punto di vista esterno, sembra salutare. Un po’ banale, lo so, ma quel mio breve incontro descritto nelle prime righe mi aveva emozionato.
Fu così che passai i restanti giorni a costruirne la poetica e a rimetterlo in scena. Fu sorprendentemente complesso perché tutto il lavoro ruotava intorno a una percezione, a quella magica frazione di secondo in cui il gesto si trasformava in saluto, e nel mio forte desiderio di condividere quel gesto, capii presto che qualsiasi forma di riproduzione sarebbe apparsa come una recitazione, cancellando ogni naturalezza; al tempo stesso, se non avessi suggerito una possibile interpretazione, il gesto sarebbe passato inosservato.
Così decisi di chiamare un’impresa di pulizie per assumere una serie di professionisti che ogni giorno, per sei mesi, si sarebbero recati a pulire le grandi vetrate dell’edificio. 

The Greeting Project 2016, Detail of the performance – Courtesy of the artist and Francesca Minini – Photo credit Andrea Rossetti

Scrissi una lettera a una quarantina di imprese locali descrivendo il progetto e le poche di loro che non mi presero per pazza, anche se risposero un po’ scioccate, accettarono il lavoro con entusiasmo e curiosità.
Da lì feci una sorta di casting tra i dipendenti. Non cercavo né bellezza né bravura, solo un piccolo bagliore di gioia e cordialità. Erano pagati per fare il loro lavoro e – a parte indossare una tutina da me dipinta d’azzurro – in apparenza non gli chiedevo nulla di più di una normale pulizia dei vetri.
Il lavoro su di loro, seppur invisibile, fu fondamentale. Cercare di trasmettergli la bellezza di quei gesti e della possibile interazione con i passanti era determinante. Passai quindi molto tempo con loro, raccontandogli la storia del mio incontro e l’interpretazione che gli davo, l’emozione e la possibilità di una lettura esterna dei loro movimenti. 
La potenzialità di quel gesto dipendeva anche da loro, ed io volevo che si sentissero speciali. Disegnai una sorta di coreografia iniziale che oscillava tra movenze di reale pulizia e momenti di ripetizione di un gesto. Li imitavo mentre pulivano e gli dicevo che erano belli.
Quella piccola coreografia serviva solo per introdurli, era un inizio, dissi poi loro che erano liberi di fare ciò che sentivano, e così fu.
Volevo che l’intervento fosse naturale, e potenzialmente emozionante per entrambe le parti.
Per qualche fortunato motivo gli incontri con i passanti avvennero.

Fu emozionante vederli uscire ogni giorno con un grande sorriso sul volto e impazienti di raccontarmi un aneddoto dopo l’altro:‘’Una bambina continuava a fissarmi, dopodiché la mamma l’ha portata via, ma lei è corsa indietro e mi ha salutato con la mano’’; “Un anziano signore si è fermato, e avvicinandosi al vetro mi ha sussurrato: saluti me? Indicandosi con la mano”; e poi ancora: “Un uomo molto serio mi sorrise’’; “Il cane inseguiva lo straccio con cui pulivo” ; e così via, una serie di sorprendenti reazioni. 5

The Greeting Project 2016, Detail of the performance – Courtesy of the artist and Francesca Minini – Photo credit Andrea Rossetti

Volevo che il mio gesto di saluto diventasse anche una sorta di benvenuto, per questo tra i due edifici proposti chiesi di utilizzare quello in prossimità dell’ingresso. Ho inoltre chiesto di non costruire le pareti di fondo ma di lasciare lo spazio libero, così avrei potuto costruire una stanza all’interno della quale le persone potevano accedere.

Quella stanza erail “nord” che permetteva ad ogni spettatore di orientarsi all’interno del progetto, nel quale era possibile osservare tramite un oblò un video che, ispirato alle movenze dell’attore e regista Jacques Tati, narrava la medesima storia descritta e interpretata dai lavavetri. Nonostante il soggetto della narrazione coincidesse, il video non era la documentazione della performance, bensì una minuziosa ricostruzione del medesimo gesto avvenuto in un’altro luogo, inserito con l’intento di direzionare lo sguardo dello spettatore verso l’eleganza di quei piccoli dettagli come i gesti della mano, la postura e il lento movimento oscillatorio, che sembrano avere una propria poetica e quasi un’ironica bellezza. All’esterno invece, in prossimità dell’ingresso, una grande insegna luminosa con scritto “Greetings”, ad indicare la funzionalità di quello strano padiglione felice. 6

Così l’intero edificio si trasformò in un luogo adibito ai saluti, che aveva lo scopo di attivare una riflessione sulla possibilità di trasformazione di un gesto quotidiano in cerca della sua meraviglia. Ed è proprio in questo modo di osservare le cose che il mio lavoro si colloca: nel punto di incontro tra la realtà e la fantasia – nel momento in cui nessuna prevale sull’altra – al solo scopo di sorprenderci.
È la coesistenza tra realtà e fantasia che in quell’attimo mi ha emozionato: i significati di realtà non vengono né stravolti né annullati, noi continuiamo ad osservare un uomo che di professione pulisce i vetri, e lui continua ad essere quell’uomo; tuttavia, allo stesso tempo intravediamo un saluto, ampliando così il significato e la definizione dell’azione stessa di pulire. 

Una persona mi chiamò mesi dopo aver assistito al progetto: “Sono in centro davanti alla vetrina di Armani”, disse, “e c’è un uomo che dall’interno sta pulendo la vetrina, non ci crederai ma come una tonta mi sono fermata a guardarlo e con occhi dolci gli ho sorriso”.

Quella chiamata fu un regalo. È fin lì che ho sempre sognato di fare arrivare il mio lavoro.

Alice Ronchi (Ponte dell’Olio, PC, 1989) racconta The greetings project, progetto nato nel 2016 in occasione dell’apertura del nuovo centro commerciale Scalo Milano e curato da Bruna Roccasalva.

The Greeting Project 2016, Detail of the performance – Courtesy of the artist and Francesca Minini – Photo credit Andrea Rossetti
The Greeting Project 2016, Detail of the performance – Courtesy of the artist and Francesca Minini – Photo credit Andrea Rossetti

Rubrica a cura di Irene Sofia Comi

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I (never) explain è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere a una selezione di artisti  di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare.
Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro o serie, dalla sua origine al processo creativo, dall’estetica al concetto.