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The act of seeing with one’s own eyes | L’atto di vedere con I propri occhi  

Testo di Dalia Maini — Aver visto qualcosa con i propri occhi vuol dire affermare di essere stato testimone, se non partecipe, di un evento. Tuttavia ciò è anacronistico poiché siamo ampiamente consapevoli di vivere in un mondo in cui...

The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019

Testo di Dalia Maini —

Aver visto qualcosa con i propri occhi vuol dire affermare di essere stato testimone, se non partecipe, di un evento. Tuttavia ciò è anacronistico poiché siamo ampiamente consapevoli di vivere in un mondo in cui l’iconosfera combacia quasi interamente con l’esperienza. Il nostro modo di apprendere si è elasticizzato, mutando con il mutare dei dispositivi di cui ci circondiamo. Mi chiedo quindi che rilevanza abbia vedere qualcosa con i propri occhi in queste circostanze. Infatti letteralmente vediamo tutto con i nostri occhi, anche gli schermi che rappresentano immagini che non viviamo.

Se si pensa alla divisione tra reale e virtuale, si associa il primo al dominio delle cose fisiche, il secondo al regno dell’immateriale. Possiamo dire che il virtuale è una delle possibilità nel reale, una delle sue manifestazioni. La virtualità dell’immagine, la picture uno degli aspetti fantasmatici di essa, è riposta nella realtà, come le idee sono riposte nel corpo. Dentro ogni uomo c’è un’immagine che si rende manifesta solo nella sua assenza. Infatti l’uomo diventa immagine di sé stesso quando muore, il cadavere è l’immagine per eccellenza perché esiste, ma non è.

Ed Atkins conosce bene il carattere immaginifico del corpo e la sua obsolescenza, di cui i suoi corpses CGI ne “impersonano” l’essenza. Si è messo alla prova nei panni di curatore per The act of seeing with one’s own eyes, progetto piú che mostra allo Schinkel Pavillon che raggruppa le istallazioni dei due artisti Stan Brakhage e David Kamp.

The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019

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Vedere un cadavere per immagini, nonostante sia quasi all’ordine del giorno, fa sempre scorrere un brivido freddo lungo la schiena. Tuttavia il video muto in 16mm The act of seeing with one’s own eyes (1971), girato da Brakhage nel reparto di patologia forense dell’Allegheny Corner’s Office di Pittsburgh, le cui riprese raccontano piuttosto dettagliatamente una serie di autopsie, non riesce ad impressionarmi. Sicuramente anni e anni di Dr 90210 su E! entertainment mi hanno ampiamente abituato a veder corpi aperti e rimescolati e le immagini di cadaveri in realtà sono all’ordine del giorno, ma quando per curiosità mi sono spinta a vedere su youtube una vera autopsia, un po’ di nausea l’ho avuta. Persino le fotografie di Andrea Serrano della serie Morgue (1991-1992) o i Pixel Collage (2015 on-going) di Thomas Hirschhorn, nel loro essere post-prodotti e rielaborati mi hanno fatto pensare alla freddezza della morte, ma sta volta nada.

C’è qualcosa che rende i corpi astratti: misurati, tagliuzzati, scuoiati, trapanati, sviscerati dopo essere stati lavati diventano quasi manichini. I chiaroscuri dell’opera video non sono del tono freddo che si aspetta di trovare in un obitorio o in una camera operatoria, in oltre quando penso a un’autopsia la prima cosa che evoco è l’odore, in un video è certamente impossibile, per tale motivo la mancanza di audio sul serio lo rende claustrofobico, ma irreale. L’assenza di suono proietta lo spettatore piú che nello schermo, all’interno della realtà della propria mente, così sembra che nell’oscurità della sala, il video sia animato dai nostri pensieri; “ognuno di notte nel letto parla a se stesso” direbbe Allen Ginsberg.

The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019

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Nella seconda sala ottagonale, al piano di sopra, un impianto diffonde dei suoni senza corpo, si tratta dell’istallazione di Kamp. L’audio, registrato dal sound designer a posteriori, trasmette sincronicamente dei rumori evocativi delle operazioni condotte nel video. Così lo spettatore o meglio uditore si trova proiettato in uno spazio altro, ciò che ascolta non è ciò che vede, la sala è popolata da fantasmi. Se l’immagine solitamente, rappresenta dal latino re-ad-praesentare ripresentazione, rendere (di nuovo) presente qualcosa che è in un altrove indefinito, l’audio qui indica la frattura tra la rappresentazione e il suo soggetto. Il suono quindi non solo è sintomatico della vita delle cose, ma in un certo senso le anima.

Si pensi alle opere di Atkins, ho sempre trovato i suoi audio formidabili, perchè obbedienti all’immagine, totalmente fittizia (nel senso di non rappresentate qualcosa di reale). Nel renderla realistica, il suono è l’elain vital dei fantocci in 3D. Mi sembra che l’opera di Brakhage, più che rappresentare la morte, sia essa stessa indice di morte e che l’operazione pensata dal curatore artista sia proprio quella di conferire vitalità alle mute immagini.

Non so, forse dovremmo acuire tutti i nostri sensi, sentire con le nostre orecchie per allontanarci dalla popolazione di corpses che fixe et sans repos (Maurice Blanchot, Lo spazio letterario) ci circonda. Grazie all’orchestrazione di due opere Atkins è riuscito a raccontarci attraverso la morte di cosa sia fatta e cosa sia, citandolo « History is mute, but vivid, whereas lived experience is very often strident incoherence».

The Act of Seeing With One’s Own Eyes
Stan Brakhage, David Kamp
Schinkel Pavillon
A cura di Ed Atkins

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The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One's Own Eyes - Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins - Installation view at Schinkel Pavillon 2019
The Act of Seeing With One’s Own Eyes – Stan Brakhage & David Kamp, curated by Ed Atkins – Installation view at Schinkel Pavillon 2019

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