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L’architetto senza architettura

Gianni Pettena è seduto davanti al tecnigrafo, si stira la schiena, si taglia le unghie, tira fuori dal portafogli dei pezzetti di carta e dei soldi che sparpaglia sul piano di lavoro. Nel breve filmato Intens del 1971 lo si vede compiere i gesti più disparati eccetto quello di lavorare al tecnigrafo, strumento per eccellenza […]

from about non conscious architecture -Monument Valley - Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
from about non conscious architecture -Monument Valley – Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.

Gianni Pettena è seduto davanti al tecnigrafo, si stira la schiena, si taglia le unghie, tira fuori dal portafogli dei pezzetti di carta e dei soldi che sparpaglia sul piano di lavoro. Nel breve filmato Intens del 1971 lo si vede compiere i gesti più disparati eccetto quello di lavorare al tecnigrafo, strumento per eccellenza associato alla figura dell’architetto. “È un manifesto premonitore di quello che sarebbe accaduto all’architettura e l’indugiare di Pettena è un preludio di quella che sarà la sua ricerca: il rifiuto del lavoro di architetto, una dimensione anomala che lo porterà ad essere definito architetto senza architettura”. Marco Scotini, direttore artistico di FM Centro per l’Arte Contemporanea e direttore del Dipartimento di Arti Visive NABA Nuova Accademia di Belle Arti Milano, ha aperto con questa provocazione la presentazione del libro Gianni Pettena. Non-Conscious Architecture presentato al FM Centro per l’Arte Contemporanea insieme allo stesso architetto, Luca Cerizza, curatore e responsabile CRRI (Centro di Ricerca Castello di Rivoli) e Pierre Bal-Blanc, tra i curatori di Documenta 14.

Pettena è una delle figure più importanti e camaleontiche per l’arte, il design e soprattutto l’architettura, di cui ha stravolto e ridefinito i canoni. Alla fine degli anni 60 partecipa alla fondazione del movimento dell’Architettura Radicale Italiana insieme a Superstudio, Archizoom e il gruppo UFO, per poi spostarsi nel 1970 negli Stati Uniti. Negli sconfinati deserti dello Utah e nella suggestiva Monument Valley trova nuovi stimoli per la propria pratica, unendosi ad alcune delle figure più importanti della Land Art come Robert Smithson e Gordon Matta Clark con i suoi building-cuts.
Il volume, edito da Sternberg Press, non si sofferma solo su questo momento cruciale della sua ricerca, ma guarda anche ai lavori storici, fino ad arrivare a coprire anche opere più recenti.

Gianni Pettena - Ice House II- Minneapolis - USA 1972-04 - Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
Gianni Pettena – Ice House II- Minneapolis – USA 1972-04 – Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
Gianni Pettena - Ice House I - Minneapolis -USA 1971 - Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
Gianni Pettena – Ice House I – Minneapolis -USA 1971 – Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.

Pettena si definisce anartista e anarchitetto, continua Scotini, “dichiara apertamente il suo rifiuto rispetto al lavoro impegnato e abbraccia la cultura dell’ozio; un tipo di formazione che prende le distanze dall’output dell’architetto per trasformare la realtà in idea e non il contrario, come invece ci si aspetterebbe”. Per raggiungere questo risultato ritiene indispensabile attuare uno sconfinamento delle discipline artistiche, che lo ha portato a fare architettura non con gli strumenti canonici, ma con quelli dell’arte. Il lavoro di Walter De Maria, James Turrell, Richard Long e molti altri artisti che tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70 hanno rivolto l’attenzione allo spazio naturale per evadere dal white cube con la progettazione di opere monumentali ma effimere, che si sarebbero disintegrate per mano della natura stessa, hanno influenzato Pettena permettendogli di sviluppare un linguaggio artistico personale.
Il confronto con i riferimenti americani è stato decisivo, un momento simbolico di distacco da un paesaggio fortemente antropomorfizzato come quello che si trova in Italia per arrivare negli USA dove c’era una energia completamente nuova da usare”, commenta l’anarchitetto.

La sua è una attenzione da antropologo oltre che da artista concettuale. Pettena fa emergere vita in paesaggi che sembrano abbandonati e celebra l’architettura nella forma più alta, ovvero quella che permette di non costruire ex novo ma di lavorare con i materiali forniti dal luogo” spiega Luca Cerizza, raccontando il cosiddetto periodo americano. Pettena prende una strada diversa rispetto ai land artisti perchè i suoi interventi puntano a non incidere in maniera così visibile nel territorio, ma a creare un luogo di scambio tra pubblico e privato in cui “l’uomo nomadico non deve creare uno spazio tra lui e il deserto”. Quest’ultimo diventa un nuovo paesaggio en plain air in cui operare ponendosi in ascolto della natura stessa, rifiutando operazioni in grande scala e rappresentandolo come uno spazio di vita, sottolineando l’importanza della cultura dei nativi americani come momento decisivo che ha connotato culturalmente spazi magnifici come quelli della Monument Valley, senza incidere sul territorio. Ironicamente, con una frase rappresentativa non solo del suo lavoro ma anche della sua stessa personalità esuberante, Pettena commenta “il deserto non è per tutti e non per tutti è un deserto”.

Gianni Pettena - Clay House - Salt Lake City 1972-02 - - Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
Gianni Pettena – Clay House – Salt Lake City 1972-02 – – Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.

Gianni Pettena è una figura centrale per l’arte e l’architettura, un artista che ha sempre rifiutato le etichette e che ha cercato di integrare nel suo lavoro le correnti più diverse come l’Arte Povera, l’Happening e il Situazionismo, creando opere cariche di ironia come la Clay House a Salt Lake City nello Utah del 1972 o l’architettura temporanea della Ice House a Minneapolis del 1971. Pettena non è mai stato fedele ad un unico pensiero ma si è continuamente impegnato nella ricerca di una architettura per la mente, una attività sperimentale che lo ha portato a fare interventi nel rispetto della scala del territorio stesso, effimeri ed irreversibili, con la possibilità di autodistruggersi, che non accentuassero l’intervento umano. Una found architecture che ha portato alla riscoperta ecologica dello spazio e alla conservazione della sua identità culturale.

Gianni Pettena - Red Line -Siege- Salt Lake City - USA 1972-02 Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.
Gianni Pettena – Red Line -Siege- Salt Lake City – USA 1972-02 Courtesy: Galleria Giovanni Bonelli, Milano.