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Strane e misteriose consonanze legano due artisti molto diversi. Enzo Cucchi e Enrico David sono stati invitati dalla curatrice Rita Selvaggio a tessere un dialogo fuori e dentro gli ambienti di Casa Masaccio. Nella mostra Entro dipinta gabbia – visibile fino al 20 agosto a San Giovanni Valdarno -, i due artisti “nati nella medesima terra”, Ancona, creano un percorso espositivo che “sottolinea tutte le vite o tutte le storie che ci sono in una storia sola, che è poi la storia di questa casa.” Nell’intervista che segue, Rita Selvaggio ci racconta e ci introduce il lavoro dei due artisti, le scelte che hanno compiuto, i luoghi che hanno scelto, così come i materiali utilizzati. “E’ evidente una forte preponderanza della manualità, il modellare pazientemente la cera prima della fusione in bronzo, i giorni pazienti o le rassegnate ore richieste dalla produzione di ogni arazzo. Si tratta di un cercare il tempo e di un rapporto tatticamente sensuale con la materia.”
ATP: Il titolo della mostra – Entro dipinta gabbia – è mutuato dal primo verso di una delle “Puerili” di Giacomo Leopardi. Mi motivi questa scelta?
Rita Selvaggio: Ho molto apprezzato una bellissima nota di Mario Diacono che, nel testo per il catalogo della personale di Enrico David alla Collezione Maramotti, parla di una certa “affinità di sangue mentale”, di un orientamento iconico comune relativo anche all’essere nati nella medesima terra; e nell’esplicitare quest’affinità accomuna Enrico David ad Enzo Cucchi come anche a Scipione (nato a Macerata) e a Licini nato in provincia di Fermo. Come sottolinea Diacono in quell’occasione, questi artisti sono non solo “corregionali ma anche correligionari nel culto della discesa agli angeli e dell’ascesa ai demoni; dell’ascesa ai demoni che si voltano, della discesa agli angeli che si ribellano”. Sia Cucchi che David, come pure lo stesso Leopardi, sono infatti marchigiani.
Il titolo della mostra prende in prestito il primo verso di una lirica che Leopardi, bambino di dodici anni, dedica a L’ucello. Una sorta di palestra di linguaggio o di apprendistato poetico in cui da più parti vi si riconosce un’illimitata forza vitale. Leopardi, uno degli autori tra i più amati da Andrea Zanzotto, non parla solo di una “natura matrigna”, ma anche di una natura “ordinata ad un effetto poetico”.
ATP: Nel tuo poetico testo introduttivo alla mostra, seguendo la citazione leopardiana, parli di vie di fuga e di “desiderio di volare sopra ogni umana mediocrità”. Mi contestualizzi queste immagini con il percorso espositivo sviluppato con gli artisti?
RS: Diciamo che la mostra segue un’idea di “necessità” e mette completamente a nudo l’architettura dello spazio. Come ben sappiano si tratta di una casa del XIV secolo la quale nel corso degli anni ha attraversato diverse vicissitudini e subito molteplici variazioni. Nel pensare il progetto non è stata seguita nessuna intenzione di “decoro”, di sovrapposizione o aggiunto alcun make-up agli interni. Anzi le opere li svelano e li presentano nella loro attuale crudezza tra lembi di elementi centenari e innesti più recenti. Il percorso espositivo sottolinea tutte le vite o tutte le storie che ci sono in una storia sola, che è poi la storia di questa casa.
ATP: Hai scelto due artisti di generazioni e percorsi differenti. Cosa hai intravisto, durate la gestazione della mostra, nel confronto delle loro rispettive ricerche?
RS: A parte quello a cui accennavo agli inizi, entrambi hanno una matrice comune molto forte, e nell’elaborazione di un pensiero hanno come punto di partenza il disegno. “Tutto inizia sempre dal nulla, da uno stato di vuoto, dal non avere un’idea su che cosa un disegno possa rappresentare …” sottolinea più volte Enrico David. Tutto incomincia con un segno che si manifesta declinato nei più svariati materiali, carta, lana, bronzo, ceramica, stoffa, tela etc ..
ATP: Lana e bronzo: due materiali diametralmente opposti utilizzati rispettivamente da David e Cucchi. Che dialogo hanno stabilito, in merito ai materiali, i due artisti?
RS: E’ evidente una forte preponderanza della manualità, il modellare pazientemente la cera prima della fusione in bronzo, i giorni pazienti o le rassegnate ore richieste dalla produzione di ogni arazzo. Si tratta di un cercare il tempo e di un rapporto tatticamente sensuale con la materia.
ATP: Enrico David presenta una serie di arazzi sospesi dal soffitto che diventano una sorta di pareti mobili. Mi introduci, in modo approfondito, questa serie di opere?
RS: Si tratta di tre enormi arazzi, esposti per la prima volta in questa occasione. Le immagini che rappresentano devono il loro esistere ad un accurato lavorio. Scampoli di lane preziose, cachemire, alpaca, cammello, etc … vengono arrotolati su se stessi, annodati e fissati sul supporto di tela con ago e filo, un gesto che è a che fare in poche parole con l’entrare e l’uscire dalla materia. Sono pareti mobili in quanto ridistribuiscono la geometria dello spazio e accompagnano verso un deserto del sentire.
ATP: Enzo Cucchi presenta una serie di sculture installate nel vicolo retrostante a Casa Masaccio. Che relazione ha stabilito l’artista con lo spazio esterno?
RS: I vicoli, o “chiassi”, come più comunemente vengono chiamati in gergo, sono un elemento urbano tipico di molti borghi toscani. La fondazione di Castel San Giovanni, l’attuale San Giovanni Valdarno, venne deliberata per espressa volontà della Repubblica di Firenze durante il Consiglio dei Cento del 26 gennaio 1299. Già nella prima lottizzazione disegnata da Arnolfo di Cambio vi erano delle piccole viuzze larghe esattamente quanto i carri trainati da un unico animale. Queste avevano il compito di fornire l’accesso al retro delle case più importanti, agli orti o ai pozzi visto che ai carri era interdetto il transito della via maestra. Per molte ore del giorno qui infatti vigeva la regola del massimo silenzio, mentre chi trasportava qualsiasi cosa alle famiglie nobili era autorizzato a chiamarne il nome a gran voce utilizzando l’ uscio di dietro. E da qui l’appellativo di chiasso in gergo toscano.
Cucchi ha bonificato e fatto ristrutturare il chiasso retrostante casa Masaccio e in questo breve scorcio urbano dalle radici identitarie antichissime, in questo stretto polmone d’aria quasi completamente privo di sole, ha collocato due sculture in bronzo e ceramica la cui iconografia, tra l’antropomorfico e l’animale, conserva la memoria delle bestie da traino che secoli fa hanno transitato per il vicolo.
ATP: Invece del catalogo la mostra è accompagnata da un progetto speciale ideato dai due artisti. Ce ne potresti parlare?
RS: Progettato da Anna Gialluca e stampato da Romeo Steiner presso Perpetua Edizioni, è un prodotto editoriale piuttosto atipico. Un grande manifesto dalle dimensioni ideali del cancello che da accesso a Vicolo Rossi, dove Cucchi è intervenuto con le sue sculture. E’un enorme foglio di carta povera, dello stesso colore della carta da pacchi, serigrafato in due colori. Da un lato, in un bianco lunare quasi argenteo, si leggono tutte le info e i testi, mentre le immagini delle opere in mostra sono state stampate su carta lucida e incollate come si faceva una volta per i vecchi libri di storia dell’arte. Dall’altro invece, a nobilitare la povertà dell’oggetto, una gettata di colore verde a pieno campo. Un “verde Masaccio”, un“colore della mente”, un colore “locale”, un verde indicibilmente verde, il verde delle assi del pavimento che convergono in prospettiva verso il centro nel Trittico di San Giovenale, conservato a pochi chilometri da San Giovanni. Il foglio si ripiega su se stesso innumerevoli volte sino ad avere le dimensioni di un quaderno ed entrare in una custodia di stoffa. Questa consiste in una sorta di fodero, cucito utilizzando del lino riciclato, per cui ogni oggetto è in qualche modo diverso dall’altro, ed è stata confezionato dalla stessa persona che realizza sia gli arazzi di Enrico David sia le produzioni tessili di Cucchi. Un oggetto artigianale se vuoi, ma concettualmente molto intrigante.