La sfida è quella di restituire “nella sua bellezza e complessità” una collezione iniziata a metà degli anni ’50 del secolo scorso da Francesco Federico Cerruti. Nella giornata di presentazione e studio – a cui hanno partecipato dall’Assessora alla Cultura e Turismo Regione Piemonte, Antonella Parigi, ad amici del collezionista, l’avvocato, Paolo Emilio Ferreri, gli architetti Armando Baietto / Giusi Rivoira, lo storico dell’arte e archivista Pietro Rigolo, il capo curatori del Castello di Rivoli, Marcella Beccaria, tra gli altri – che si è svolta al Museo d’Arte contemporanea Castello di Rivoli, Carolyn Christov-Bakargiev ha illustrato ad una vasta platea quello che sarà l’ambizioso progetto che sancisce il sodalizio tra il museo e la Fondazione Cerruti.
Al museo di Rivoli il compito di curare, approfondire con studi e analisi, valorizzare e gestire al meglio una straordinaria collezione che in pochi conoscono. Più volte ribadito dai tanti relatori che si sono avvicendati in conferenza, il progetto consiste nella ristrutturazione e la messa in sicurezza della villa che lo stesso Cerruti aveva fatto costruire a Rivoli, a pochi passi dal Castello, per custodire le sue opere e che diventerà nel gennaio 2019 la sede della Collezione Cerruti. “Quasi 300 opere scultoree e pittoriche che spaziano dal medioevo al contemporaneo, a cui si aggiungono quasi duecento libri rari e antichi, legatorie, fondi d’oro, e più di trecento mobili e arredi tra i quali tappeti e scrittoi di celebri ebanisti: un viaggio nella storia dell’arte, dai mobili alle arti antiche, dal Rinascimento all’Ottocento fino alla modernità, per una collezione privata di altissimo pregio, difficilmente paragonabile ad altre in Europa e nel mondo. Capolavori che vanno dalle opere di Segno di Bonaventura, Bernardo Daddi e Pontormo a quelle di Renoir, Modigliani, Kandinsky, Klee, Boccioni, Balla e Magritte, per arrivare a Bacon, Burri, Warhol, De Dominicis e Paolini.” Ha spiegato Christov-Bakargiev.
Tra i primi e sentiti ringraziamenti, la direttrice del Castello di Rivoli li ha rivolti ad Andreina Cerruti, Presidente della Fondazione Cerruti e sorella di Francesco Federico. Non essendo giovanissima, la Cerruti ha deciso di restare in disparte e ha chiesto che la sua testimonianza venisse letta: “Sono contenta che finalmente si attui il desiderio di mio fratello: aprire al mondo la sua collezione. Il suo museo privato che è anche un racconto di vita – della sua vita – ma anche di tutta la nostra famiglia con la sua memoria; le sue opere, le sue gioie, gli oggetti, le sculture raccolte possano rinviare a immagini famigliari, dalle quali un giorno ci siamo allontanati, ma che sono rimaste lì sospese, pronte a dischiudersi nel linguaggio esclusivo che è proprio dell’arte e della poesia. La nostra famiglia ha sempre scelto la semplicità, la discrezione, si è sempre sottratta alla tentazione dell’apparire preferendo l’essenzialità e la concretezza del lavoro, ai rumori del mondo e da qui nasce, verosimilmente, il bisogno di mio fratello di cercare nell’arte il luogo dell’interiorità. La nostra famiglia ha avuto momenti difficili che ha sempre superato con sobrietà e la tenacia del lavoro che ci deriva dalle nostre origini liguri-piemontesi. Oggi, vedere assieme a voi, quello che ha fatto mio fratello mi riempie d’orgoglio. E’ una storia che da speranza, che ci avvicina alla bellezza, all’immaginazione e allo stupore. E’ la storia di un fratello straordinario e di una famiglia che ha insegnato a noi figli lo sguardo incantato della contemplazione”.
Dopo i vari relatori, riprende la parola Carolyn Christov-Bakargiev, esordendo: “A volte succedono miracoli. Ciò che celebriamo oggi è uno di quei momenti!”. Continua ricordando gli esordi del Castello di Rivoli nel 1960, quando è stato inserito nel piano di ristrutturazione dei monumenti più rappresentativi del Piemonte, e l’inizio dei lavori nel 1967, con la liberazione dell’atrio dell’uttale museo. “Negli stessi anni, un imprenditore torinese della legatoria, ma genovese di origini, di nome Francesco Federico Cerruti inizia a costruire, in Vicolo dei Fiori, una villa progettata nello stile provenzale che egli amava, alle spalle della Manica Lunga del Castello di Rivoli. (…) Nel 1957 introdusse in Italia la tecnica americana della ‘perfect dinding’, una procedura che permetteva la rilegatura senza cuciture. Grazie a questa sua innovazione, la LIT – Legatoria Industriale Torinese, l’azienda fondata dal padre -, ottenne ingenti quantità di commesse inerenti alle rilegature di libri, ma soprattutto quella relativa alla rilegatura degli elenchi telefonici di tutti gli italiani.”
Sempre evidenziando dei parallelismi tra la storia del Castello di Rivoli e la Collezione Cerruti, la Christov-Bakargiev appunta un’altra data, il 1984, anno in cui nasce il primo museo d’arte contemporanea in Italia, il Castello di Rivoli appunto, fiore all’occhiello nel campo della museologia del contemporaneo. “Nella vicina villa, a partire dal 1969-70 circa, il Ragioniere Cerruti (come veniva chiamato), ha iniziato a costruire il suo mondo ideale, fatto di dipinti e sculture, mobili, libri rari che collocherà secondo piani precisi di allestimento e gusto della perfezione. I primi elementi in stile provenzale verranno a poco a poco sostituiti da mobili barocchi. Ci sono dunque eventi che sono accaduti in parallelo in questi due luoghi così vicini eppure così lontani. Uno, un gigante museo d’arte contemporanea pubblico in una reggia Sabaudia, casa madre dell’Arte Povera, fortemente voluta dalla Ragione Piemonte e ancora di più (mi sembra) dagli artisti stessi, che da poco erano tornati da Documenta 7 a Kassel, non a caso diretta da Rudi Fuchs, che fu anche il primo direttore del nostro museo.” Sempre attraverso nessi e relazioni, la direttrice continua in merito alla Villa Cerruti, sottolineandone le dimensione ‘normali’, circa 1000 metri quadri, nella quale arrivavano in sordina e in maniera discreta, arredi barocchi, capolavori manieristi e tele metafisiche. I primi custodi della villa furono ingaggiati dal ’69; la villa doveva essere la casa per i genitori che però decisero di non abitarvi, a dispiacere del figlio. Il padre Giuseppe, che aveva fondato la LIT, dopo la distruzione di uno stabilimento, parte della fabbrica durante la guerra, muore nel 1972; la madre Ines nel 1977.
In realtà la villa non sarà abitata neanche dallo stesso Francesco Federico Cerruti, forse per quella reverente distanza che si deve all’arte.
In merito allo Statuto della Fondazione Cerruti, Carolyn Christov-Bakargiev ne ha letto alcuni estratti: “Il Fondatore Signor Francesco Federico Cerruti premette che ha connotato la propria vita giustapponendo all’attività di imprenditore l’impegno culturale nel realizzare una privata collezione di oggetti d’arte – mobili, arredi, quadri e sculture – caratterizzati da valida qualità estetica unita ad ottimale stato di conservazione materiale (di seguito anche “Collezione Cerruti” o “Collezione”). La “Collezione Cerruti” è pertanto divenuta coerente momento di rappresentazione del gusto artistico di epoche, scuole, culture e tecniche diverse. Alla Collezione non sono state poste limitazioni di carattere cronologico e geografico, comprendendo opere d’arte di epoche e provenienza territoriale diversa, purché caratterizzate dal requisito dell’eccellenza, intesa come primaria motivazione di coerenza della raccolta stessa.”
In merito alla Missione, “La Fondazione dovrà preservare l’unitarietà della collezione, evitando smembramento della stessa e mantenerla nella villa, assicurando adeguata custodia e sorveglianza. Rispettare l’interno della villa le scelte espositive volute dal fondatore; assicurare che il pubblico possa visitare la collezione con una costante periodicità e frequenza.”
A metà del suo intervento, Christov-Bakargiev ritorna a raccontarci altri ricordi legati alla ‘costruzione’ della prestigiosa Collezione di Cerruti, soffermandosi a rivelare la prima e l’ultima opera acquistata dal collezionista. “Il ragioniere raccontava che il primo lavoro che ha acquistato per la sua collezione fosse uno squisito piccolo lavoro su carta di Kandinsky, eseguito nel 1918. Il piccolo quadro, era originariamente di proprietà di un pittore che viaggiava, durante la prima Guerra Mondiale, tra la Germania e la Russia, dove si era rifugiato Kandinsky dal 1916, lasciando Monaco di Baviera, fu esposto a New York nel 1969; in seguito lo ritrova nella mostra del Der Blaue Reiter alla Gam di Torino nel 1971. E’ probabile che Cerruti lo abbia acquistato attorno al 1970, da una galleria europea. L’ultima lavoro acquistato sarà ‘Jeune Fille aux Roses’ del 1897 di Renoir. Il dipinto fu acquistato all’asta di Sotheby’s del 23 giugno 2014. Tra questo due momenti, vi sono centinaia di acquisti importanti”.
Ne ricordiamo alcuni. I Medievali fondi d’oro con cui Cerruti amava iniziare le rare visite al “suo museo”. Altrettanto eccezionale il valore dei pittori sacri come Bernardo Daddi, Gentile da Fabriano, Sassetta – di cui si può ammirare “Sant’Agostino nella camera padronale” – e Neri di Bicci. Si passa quindi ai maestri rinascimentali: Dosso Dossi, Pontormo, “strappato” agli Uffizi e si continua con Tiepolo, Ribera, Sebastiano Ricci, Fra Galgario. Il percorso nella passione di Cerruti continua con le opere allegoriche di Batoni, non cedute al Getty Museum – “Si racconta che davanti ad un’offerta molto generosa del Getty Museum di Los Angeles per acquistare le opere mitologiche di Batoni, avesse replicato: ‘Va bene, ma quando non avrò più Batoni che me ne faccio dei soldi?” – per poi passare a quadri di Pellizza da Volpedo, Jawlensky, Balla e Boccioni, Casorati, Severini, Picasso, Magritte. Straordinari i 10 dipinti metafisici di De Chirico collocati nella sala da pranzo della villa. E altrettanto indimenticabili le opere di Modigliani, Bacon e Giacometti. Compaiono infine opere di Andy Warhol, Paolini, Burri e Manzoni. Molti gli autoritratti o i ritratti di uomini soli – tra cui si possono citare “Ritratto di un giovane uomo” (ca. 1400) di Frà Galgario, “Ritratto di un gentiluomo con libri” (1534-1535) di Pontormo, “Autoritratto Metafisico” (1919) di De Chirico, “Studio per Ritratto IX” (1957) di Francis Bacon, “Ritratto di Harry Melville” (ca. 1930) di Man Ray – che portano a immaginare quasi la ricerca di una proiezione di se stesso nell’arte.
A conclusione del suo intervento, la direttrice ha puntualizzato: “Nella nostra era digitale, innovativa, tecnologica ma proiettata all’archiviazione acritica del passato, i musei enciclopedici come il Metropolitan a New York, l’Hermitage a San Pietroburgo e il Louvre a Parigi aprono sezioni dedicate all’arte contemporanea; il Castello di Rivoli sceglie un percorso diverso – nella consapevolezza del legame ineludibile tra le opere del passato e del presente, di un cammino come quello dell’arte che è oltrepassamento di ogni soglia spazio temporale – e vuole essere il primo museo d’arte contemporanea al mondo che, grazie a questo accordo, apre una sezione dedicata all’arte del passato. (…) Noi stiamo guardando l’arte del passato da un’altra prospettiva, da quella contemporanea, trasformando il concetto di ‘contemporaneo’ con quello di ‘contemporaneità’. Tentiamo un modello di museo in cui gli artisti e il pubblico, potremmo relazionarsi da vicino, attraverso l’intimità di un rapporto quotidiano che si potrà esperire nella villa, tale che si possa trovare solo nel presente tutto ciò che ci precede. Si tratta un tempo, non solo circolare, quale lo descriveva il filosofo Friedrich Nietzsche che tanto amava Torino, bensì di un tempo ‘piegato’; di un continuum spazio-temporale vibrante e molteplice in continua trasformazione in cui elementi molto distanti nella storia, si toccano, improvvisamente, come le parti di un grande foglio che si ripiega per legarsi in un libro perfetto creando cortocircuiti spazio-temporali capaci di generare nuova creatività e nuova cultura. Si tratta di indagare quel rapporto rassicurante con la nostra esistenza terrena che offre l’arte e che vogliamo offrire e creare anche con il pubblico che si seguirà. Si apre il 2 gennaio 2019!”
Era molto atteso l’intervento dello storico dell’arte Salvatore Settis che però, per un imprevisto non è potuto essere presente. La direttrice ha letto una sua nota: “La scena artistica e culturale di Torino, già tra le primissime d’Italia, si arricchisce di un nuovo episodio di grande rilievo grazie alla Collezione Cerruti che sarà conservata nella sua Villa nel Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli. La Collezione Cerruti, notevole per qualità e per numero delle opere, lo è anche perché rifletto il gusto di un collezionista appartato e severo. Le opere che egli ha raccolto, appartengono ad un vasto arco cronologico me si legano una all’altra secondo un filo sottilmente narrativo che indirettamente rispecchia la vicenda biografica e le inclinazioni culturali di Francesco Federico Cerruti. La liberazione al pubblico di questa raccolta, sconosciuta ai più nella sua estensione e qualità, è un traguardo eminente e importante per Torino e non solo. Innestandosi sulle collezioni e le attività espositive del Castello di Rivoli, la Collezione Cerruti vi aggiunge una nuova dimensione che potrà agire come un moltiplicatore delle sue già notevoli potenzialità.”
La conferenza è seguita con gli interventi di un caro amico del Ragioniere Cerruti, l’avvocato Paolo Emilio Ferreri, che ha raccontato alcuni aneddoti e un suo personale ritratto dell’amico; la Cristina Accornero, storica e biografa del collezionista che si occuperà di ‘ricostruire’ mediante interviste, documentazioni e memorie, la vita di Cerruti; gli architetti Armando Baietto / Giusi Rivoira, che hanno illustrato, mediante vare immagini di rendering e piantine, come diventerà la villa che ospita la collezione dopo il loro intervento; lo storico dell’arte e archivista, Pietro Rigolo che ha raccontato, in modo suggestivo e approfondito, alcune opere della collezione, soffermandosi sul capolavoro del Pontormo “Ritratto di un gentiluomo con libri” (1534-1535); è seguito l’intervento di Marcella Beccaria (capo curatore del Castello di Rivoli) che ha dato un contesto alla Collezione a livello museale, soprattutto in relazioni ad altre importanti Istituzioni; ha chiuso la conferenza, alcune brillanti osservazioni del filosofo Maurizio Ferraris.