ATP DIARY

Report — GRANPALAZZO 2017

[nemus_slider id=”66695″] — Testo di Marta Silvi Gustare un piatto prelibato senza fretta e senza eccessiva ingordigia non può che portare a un estremo piacere. Poterne osservare la presentazione, ammirarne le cromie, abbandonarsi alle delizie del palato, ristora mente e corpo, tenendo lontano il rischio di eccessi bulimici poco rispettosi della qualità dei profumi. La formula […]

[nemus_slider id=”66695″]

Testo di Marta Silvi

Gustare un piatto prelibato senza fretta e senza eccessiva ingordigia non può che portare a un estremo piacere. Poterne osservare la presentazione, ammirarne le cromie, abbandonarsi alle delizie del palato, ristora mente e corpo, tenendo lontano il rischio di eccessi bulimici poco rispettosi della qualità dei profumi. La formula green & slow che questa fierabarramostra propone già da tre anni, sembra confermare il suo successo. Paola Capata, Delfo Durante, Ilaria Gianni e Federica Schiavo hanno indubbiamente centrato l’obiettivo: riempire un intervallo mancante nel frastagliato panorama dell’offerta artistica contemporanea, facendo da apripista.

Tra il 27 e 28 maggio 2017 (un evento concentrato in soli due giorni a differenza di molte fiere del settore) per la terza edizione, GRANPALAZZO, ha coinvolto artisti provenienti da tutto il mondo, presentati da gallerie internazionali che si distinguono per il sostegno dedicato alla specificità dei progetti e alla crescita delle personalità con cui collaborano, nella creazione di un mercato alternativo e indipendente. La nuova sede di Palazzo Chigi ad Ariccia, a soli 18 km da Roma, risulta ancora più adatta, sia per la maggiore facilità di collegamento alla Capitale, sia per la preziosità dei luoghi, più raccolti e godibili rispetto agli spazi estesi di Palazzo Rospigliosi a Zagarolo, sede delle due passate edizioni.

Anche il programma appare piuttosto equilibrato: walk guidati con i curatori (Marcello Smarrelli, Pier Paolo Pancotto, Adrienne Drake) e tre performance completano la visita. Gianfranco Baruchello (con il supporto della Fondazione omonima) in Adozione della pecora, 2016, porta il suo gregge di sagome di legno (e di performer in carne e ossa) a pascolo tra le sale del palazzo, accennando a tematiche a lui care quale arte, natura ed economia; Italo Zuffi (sostenuto dalla Fondazione VOLUME!) in Crescendo-Diminuendo (Sergio Ragalzi), 2017 sovrappone alla messa in scena di un vernissage alla presenza dell’artista, completo di rinfresco e bollicine, il sonoro registrato di un opening consumatosi altrove, costruendo una situazione discrepante (si brinda in un rituale ripetuto dove manca però l’oggetto in causa, le opere), una meta-narrazione dove assi spazio temporali differenti collimano in un anomalo cortocircuito; Roberto Fassone (presentato da smART – polo per l’arte) in Fox With The Sound Of Its Owl Shaking (unplugged), 2017, costruisce nella seducente Uccelliera di Palazzo Chigi una lezione di storia dell’arte alquanto originale rileggendo attraverso il linguaggio e l’uso del corpo una serie di opere che hanno fatto la storia dell’arte del Novecento.

GranPalazzo 2017, Performance di Italo Zaffi, credit Altrspazio (2)
GranPalazzo 2017, Performance di Roberto Fassone, credit Altrspazio

Interessante la presenza di Colli Indipendent che espone una selezione di poster a tiratura limitata e multipli di artisti quali Alberto Burri, Piero Dorazio, Klaus Staeck, Wolf Vostell; come anche la presentazione del libro Certain things che raccoglie tutto il lavoro dell’artista Chiara Camoni dagli esordi ad oggi, edito da NERO, introdotto da Lorenzo Balbi, neo-direttore del Museo MAMbo di Bologna, Ilaria Gianni e Cecilia Canziani, in dialogo con l’autrice.
In una breve panoramica, si evidenzia ancora una volta a GRANPALAZZO la partecipazione di gran lunga superiore delle gallerie straniere: ben sedici presenze (provenienti da Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna e Stati Uniti), contro le undici italiane. Una scelta curatoriale leggibile sin dagli esordi della manifestazione, ma anche l’evidenza di un interesse crescente da parte della scena artistica internazionale sulle peculiarità di questo evento.

Di seguito un accenno alle proposte, con un occhio di riguardo agli ospiti stranieri.

Procedendo dal piano Mezzanino, quello probabilmente più articolato e dinamico, colpisce la pittura di Clive Hodgson (Arcade, Londra) che fa dell’indicazione temporale autografa il soggetto quasi esclusivo dei suoi quadri, riprendendo la pratica concettuale cara ad On Kawara, ma accompagnandola da elementi astratti che la rendono espressionista e da riflessioni sull’autorialità dell’opera d’arte.
Giorgio Andreotta Calò (intelligentemente proposto da Wilfried Lentz, Rotterdam) espone un trittico monotipico e due sculture. In Senza Titolo (08.09.2012 -21.10.2012,), 2012 l’artista lascia che nel lasso temporale indicato, la vita che scorre all’esterno dello spazio espositivo si imprima su grandi fogli di carta fotosensibile in una lunga posa che trasforma la galleria stessa in una camera oscura di dimensioni ambientali.
Sara Chang Yan (Madragoa, Lisbona, alla sua prima partecipazione) porta lavori istallativi in fogli di carta che disegnano forme e sfumature attraverso la sola lavorazione, piegatura e manipolazione del materiale, senza intervento di mezzi o agenti altri. Leggeri e delicati si associano a paesaggi impercettibili in cui la luce costruisce l’immagine.
Una sala è dedicata a Marine Hugonnier (Noguerasblanchard, Madrid/Barcellona) che presenta la serie Art for Modern Architecture, in cui immagine (ritagli geometrici colorati) e testo scritto (prime pagine di vecchi quotidiani) sono posti in contrappunto.
Pierre Descamps (The Goma, Madrid) ripercorre i luoghi street skater dal quale proviene per restituirne uno sguardo alternativo: location note al popolo degli skater di New York, Berlino, Madrid e Nizza sono private della presenza umana e restituite secondo i dettami della fotografia d’architettura minimalista, dove linee di fuga e angolazioni inedite sublimano una scena appartenente alla cultura di strada.
Luke Burton (Bosse & Baum, Londra) riflette sui concetti di stile e di gusto e sulla convenzionalità della pittura rendendola perfettamente decorativa e svuotandola di significato. Esplicitamente realizzati per la sala di Palazzo Chigi, i pannelli dipinti creano una cornice perfetta al camino centrale confondendo lo spettatore sulla finalità e l’intenzione che muove l’atto artistico.

Granpalazzo 2017, Installation View Arcade:Clive Hodgson
Granpalazzo 2017, Installation View Arcade/Clive Hodgson

Laura Lancaster (Workplace, Londra / Gateshead) attiva lo spazio attraverso grandi dipinti che ritraggono soggetti rubati a fotografie trovate, mettendo in crisi il concetto di autorialità (erede della ricerca degli anni Settanta) e innescando una vertigine tra memoria collettiva ed esperienza subconscia, tra astrazione e figurazione.
Al piano Nobile invece, tra le presenze più interessanti, la losangelina Anat Ebgi, anche lei nuova arrivata, esordisce con il progetto di Amie Dickie, in cui immagini stampate da varie fonti vengono erose ed esposte come elementi archeologici di una traccia da recuperare. Una pratica che si sposa perfettamente con la location e con la proposta co-presente di Apalazzo, Brescia (due sculture fragili ma di grande impatto visivo dell’artista norvegese Ann Iren Buan).
E per la prima volta, da Bucharest, Eastwards Prospectus espone alcuni lavori di Mircea Stanescu che attraverso disegno e fotografia si focalizza sui concetti di memoria e identità individuale.
Nel grande salone di ingresso Adam Pendleton (Pedro Cera, Lisbona, new entry) realizza serigrafie su specchio e su plexiglass in cui rivisita la storia per elaborarne nuove interpretazioni e prospettive. In questo caso sceglie soggetti ispirati a movimenti artistici delle avanguardie fino alle azioni politiche della seconda metà del Novecento, risucchiando lo spettatore in medias res, grazie all’effetto della superficie specchiante.

Unica carenza, la presenza dell’editoria dove le riviste coinvolte approfittano poco dello spazio e della posizione strategicamente di passaggio a loro disposizione.

Una menzione speciale a parte, invece, alla partecipazione di Massimo Minini, che con la curiosità e l’eleganza che lo contraddistingue, si propone in un contesto inedito in perfetta armonia con il mood generale.

GRANPALAZZO sembra porre ancora una volta l’accento sugli artisti più che sulle gallerie, confermando una dichiarazione di intenti che ad oggi potrebbe sembrare felicemente controcorrente: torniamo al contenuto, senza abbandonare la forma.

Granpalazzo 2017, Installation View Piano Nobile
Granpalazzo 2017, Installation View Piano Nobile