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2° Question ✎ Premio Furla

2° Question – Premio Furla Qual è stato il criterio di scelta del vostro partner internazionale e in che modo si è svolta la vostra collaborazione? Stefano Collicelli Cagol: Ho deciso di invitare Bart van der Heide, Direttore della Kunstverein Munich, per la sua capacità raffinata di interpretare l’opera di un artista: sono infatti diversi gli […]

2° Question – Premio Furla

Qual è stato il criterio di scelta del vostro partner internazionale e in che modo si è svolta la vostra collaborazione?

Stefano Collicelli Cagol: Ho deciso di invitare Bart van der Heide, Direttore della Kunstverein Munich, per la sua capacità raffinata di interpretare l’opera di un artista: sono infatti diversi gli artisti ai quali van der Heide ha dedicato una personale prima che venissero riconosciuti a livello internazionale. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, in un caffè di Londra, riflettendo sul sistema artistico contemporaneo ci siamo posti questa domanda: Come si può fare la differenza oggi? Una domanda che è poi diventata il leitmotiv del nostro viaggio. Costretta tra logiche di mercato, da un lato, e rigide interpretazioni dell’Institutional Critique, dall’altro, la pratica artistica sembra oggi essere sempre più ridotta a facili griglie interpretative da cui volevamo entrambi affrancarci.

Francesco Garutti: Alcune delle mostre più interessanti che ho visto nel corso degli ultimi anni sono state promosse, non da istituzioni museali, ma universitarie e accademiche: esperimenti espositivi ideati spesso da studenti – in collaborazione con curatori internazionali o artisti già affermati, ma non solo – che sono riusciti a spostare i confini della pratica curatoriale. Mi riferisco a luoghi quali il Wattis Institute for Contemporary Arts di San Francisco o il Bard College di New York, il Portikus di Francoforte o l’Head di Ginevra. La mia sensazione è che il territorio di confi-?ne tra “learning & exhibiting” sia oggi più fertile che mai, e che possa essere identificato come uno dei luoghi potenzialmente più interessanti per la sperimentazione. Per questo motivo, ho scelto di lavorare con Yann Chateigné-Tytelman. Oltre alla sua attività curatoriale, da sempre attenta alla commistione di discipline diverse, Yann è Preside del Dipartimento di Arti Visive presso l’Università di Arte e Design di Ginevra, dove sta facendo un lavoro eccezionale di rinnovamento dell’istituzione, “curando” letteralmente una scuola e il suo spazio espositivo. La figura di Yann m’interessava proprio per la sua posizione liminale tra due mondi – quello curatoriale e quello accademico?–, senza dimenticare che il passaggio dalla scuola alla professione (il confronto con il sistema) è un momento cruciale di formazione nel lavoro di ogni artista.

Ilaria Gianni: Ho scelto di lavorare con Alice Motard in modo molto istintivo. Non?la conoscevo di persona, ma trovavo le sue proposte curatoriali per?lo spazio non-profit londinese Raven Row e le modalità attraverso le quali si approcciava all’arte emergente molto innovative. Ho pensato che il Premio Furla fosse l’occasione giusta per avviare un proficuo confronto. Ad allettarmi era soprattutto l’idea di poter condividere con lei un percorso d’indagine sulla realtà artistica italiana con uno sguardo critico ed esente da preconcetti. L’astratta corrispondenza dalla quale muovevano le nostre investigazioni iniziali è diventata, nel corso della nostra ricognizione, più concreta e costruttiva.

Vincenzo Latronico:  Ho scelto di invitare Fanny Gonella per l’attenzione e la curiosità che ha sempre avuto nei confronti degli artisti emergenti, sia alla Kunstverein di Bonn che, prima, a Berlino come curatrice indipendente. Un suo recente progetto, “Keys to Our Heart”, mi aveva particolarmente colpito per la sensibilità che dimostrava verso forme non convenzionali di presentazione dell’arte – era una web-tv, in cui a orari fissi veniva trasmessa una programmazione che però variava di giorno in giorno; l’interfaccia stessa, molto televisiva e particolarmente riuscita, era un intervento. Per formazione e mestiere non sono un curatore; avevo bisogno di qualcuno che mi guidasse, e così è stato. Ho imparato moltissimo.

Filipa Ramos: Era da molto tempo che volevo collaborare con Elena Filipovic, in quanto nutro una profonda ammirazione per il modo in cui riesce a infondere, nella pratica curatoriale, una forte componente teorica. Questa intuizione si è dimostrata esatta; l’approccio di Elena ha stimolato fra noi e gli artisti visitati un confronto positivo che ha dato loro l’opportunità di riflettere sulle proprie pratiche di lavoro. Sono stati proprio questi momenti che ci hanno permesso di scoprire artisti affascinanti, arricchendo la nostra conoscenza del panorama artistico italiano nel suo complesso.

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What criteria did you use in choosing your international partner, and how did your collaboration play out?

Stefano Collicelli Cagol: I decided to invite Bart van der Heide, Director of Kunstverein Munich, because he has a very sophisticated way of looking at the work of an artist: there are quite a few artists who got solo shows from van der Heide before going on to gain international recognition. When we met for the first time, in a café in London, we asked ourselves this question in regard to the contemporary art world: how can one make a difference today? A question that then became the leitmotiv of our journey. Caught between market-based mindsets, on the one hand, and rigid interpretations of Institutional Critique on the other, artistic practice seems increasingly reduced to simplistic frameworks of interpretation, from which both of us would like to break free.

Francesco Garutti: Some of the most interesting shows I’ve seen in the last years were organized not by museums, but by universities and academies: exhibition experiments often conceived by students, in collaboration with international curators or artists who may or may not be well-established, and which have managed to push the boundaries of curatorial practice, at places like the Wattis Institute for Contemporary Arts in San Francisco or Bard College in upstate New York, Portikus in Frankfurt or HEAD in Geneva. My feeling is that the borderland between learning and exhibiting is more fertile than ever today, and that could be seen as one of most potentially interesting areas of experimentation. For this reason, I chose to work with Yann Chateigné-Tytelman. In addition to his work as a curator, which has always focused on overlaps between different disciplines, Yann is head of Visual Arts at Geneva University of Art and Design, where he is doing an outstanding job of reinventing the institution, literally “curating” a school and its exhibition space. Yann was a figure who interested me precisely because of his position on the threshold between two worlds – curatorial and academic; keeping in mind that the transition from school to the professional world (the first encounter with the system) is a crucial moment in the development of any artist career.

Ilaria Gianni: My choice to work with Alice Motard was quite natural. I didn’t know her personally, but I found her curatorial ideas for the non-profit exhibition centre Raven Row in London to be very innovative, as was her whole approach to emerging art. I thought that the Furla Prize would be the perfect opportunity to strike up a fruitful dialogue. I was particularly tempted by the idea of being able to undertake an exploration of the Italian art scene together, with a critical gaze free of preconceived notions. The abstract correspondence on which our initial investigations were based gradually became more concrete and constructive over the course of our scouting trip.

Vincenzo Latronico: I chose to invite Fanny Gonella due to the interest and curiosity she has always shown toward emerging artists, both at the Bonn Kunstverein and before that, as an independent curator in Berlin. One recent project of hers, “Keys to Our Heart”, had particularly struck me due to its sensitivity with regard to unconventional ways of presenting art. I’m not a curator by training and profession, so I needed someone who could guide me, and that’s how it went. I learned quite a bit.

Filipa Ramos: I’d wanted to collaborate with Elena Filipovic for some time, since I have a deep admiration for how she manages to introduce a strong component of theory into curatorial practice. My hunch proved correct; Elena’s approach opened up a positive dialogue between us and the artists we visited that gave them an opportunity to reflect on their own working methods. These were the instances that allowed us to discover fascinating artists, enhancing our familiarity with the Italian art world as a whole.