ATP DIARY

Meret Oppenheim: artista, musa, modella

[nemus_slider id=”63900″] — Forse troppo bella per essere presa sul serio? Questo il dilemma che forse ha oscurato la sua bravura e il suo talento. La storia artistica di Meret Oppenheim è tutta da scoprire e studiare, soprattutto in relazione...

[nemus_slider id=”63900″]

Forse troppo bella per essere presa sul serio? Questo il dilemma che forse ha oscurato la sua bravura e il suo talento. La storia artistica di Meret Oppenheim è tutta da scoprire e studiare, soprattutto in relazione al contesto in cui ha mosso i primi passi come artista. Un’ottima occasione per conoscere la sua opera è la mostra, da poco inaugurata al MASI – Museo d’Arte della Svizzera italiana di Lugano, Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum. (fino al 28/05/2017).

“Il titolo, che usiamo un po’ in sordina, è da sottolineare in quanto l’intera mostra è strutturata per mettere in relazione la ricerca di Meret Oppenheim con gli altri artisti. Non è un’operazione scontata, in quanto non è come dire ‘Modigliani e i suoi amici’, nel senso che la Oppenheim ha vissuto un rapporto molto stretto ma anche controverso con quelli che sono stati i suoi compagni di strada negli anni ’30.” Spiega Guido Comis, curatore della mostra in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte. “Rapporti amichevoli controversi, in parte per lei, che ha sentito la pressione, la fatica di doversi confortare – in quanto giovane donna – con degli artisti che negli anni ’30 erano già affermati e sicuramente più anziani di lei. Questo condizionamento, oltre che sulla sua ricerca, ha pesato anche su tutte le letture che della sua opera sono state fatte; per molti è stato difficile districare i suoi diversi temi e ruoli: artista, musa e modella. Con questa mostra abbiamo voluto prenderci questo rischio, quello di fare chiarezza sulla complessità della sua lunga carriera. Abbiamo voluto gettarla ‘nella mischia’, presentandone l’opera in parallelo, con i suoi compagni di strada; compagni che si rivelano estremamente ingombranti, penso a Marcel Duchamp, Giacometti, Man Ray, Max Ernst, Jan Arp… per citarne alcuni”.

Appena diciottenne Meret Oppenheim lascia la Svizzera per recarsi a Parigi dove frequenta l’Accademia senza grandi entusiasmi. Vivace e scaltra, preferisce toccare dal vivo il pulsare artistico della Parigi anni ’30, entrando in contatto con la cerchia surrealista. Nel ’33, grazie all’amicizia con Alberto Giacometti e Hans Arp espone con loro al Salon des Surindépendants. Anni intensi e veloci, tanto che la giovane sembra bruciare le tappe, legandosi sentimentalmente con un artista che ha il doppio dei suoi anni, Max Ernst. La relazione sarà breve e tempestosa, tanto che finisce l’anno seguente perché la Oppenheim vuole librarsi e riottenere la sua indipendenza creativa e sentimentale. Sono gli anni della serie fotografica “Erotique voilée”, la celeberrima sequenza scattata da Man Ray in cui Meret Oppenheim appare in tutta la sua bellezza conturbante appoggiata al torchio di stampa di Louis Marcoussis. Racconta il curatore “In quelle fotografie Meret Oppenheim incarna l’ideale di bellezza surrealista ed è rimasta, forse, estremamente legata a queste immagini. Dal risultato è sempre difficile distinguere i ruoli si modella o artista compartecipe. Eppure, già da quelle foto è importante capire qual’è stato il suo ruolo di creatrice. Non potremmo immaginarci quelle fotografie con un’altra donna. E’ la modella stessa a dettare il tono delle opere e quindi penso che riproponendole si sottolinea il ruolo attivo che la Oppenheim ha avuto. In mostra questa serie di fotografie è accompagnata da un video, “Poison” girato da Man Ray in compagnia della Oppenheim, in cui i due artisti appaiono alla pari; per sottolineare questa parità dei ruoli.”
Nuda, con le braccia imbrattate di inchiostro, l’artista posa nello studio di Marcoussis non come ‘donna oggetto’ ma come vera protagonista, quasi attrice che interpreta se stessa, con dignità.

Meret Oppenheim Das Paar 1956 Scarpe in pelle 20 x 40 x 15 cm Collezione privata
Meret Oppenheim Das Paar 1956 Scarpe in pelle 20 x 40 x 15 cm Collezione privata

Tanto era consapevole del proprio talento, quanto lo era del suo essere oppressa da “un millennio di discriminazione” (dirà), l’artista attraversa momenti di nero sconforto, dovuti a vicissitudini sia famigliari che economiche. Nel 1936, a Basilea, ha la sua prima importante mostra personale dove, grazie all’opera “Ma gouvernante, my nurse, mein Kindermädchen” – un paio di scarpe da donna legate insieme e presentate su un vassoio – ottiene un inaspettato successo. Ma è con la mostra di oggetti surrealisti a Parigi, alla Galerie Charles Ratton, che si farà notare in modo decisivo con una tra le opere che diventeranno più famose, “Le déjeuner en fourrure” la celebre tazza coperta di pelliccia che sarà acquistata dal direttore Alfred H. Barr Jr. per la collezione del MoMA a New York, dove verrà in seguito esposta. Negli anni successiva al secondo conflitto mondiale, si sposa con il commerciante Wolfgang La Roche e si trasferisce a Berna, dove vieni in contato con giovani artisti come Daniel Spoerri e Dieter Roth. Continuerà a fare mostre, allargando le sue esperienze anche al teatro – farà delle maschere e dei costumi per pièce teatrale di Pablo Picasso … sempre nel decennio degli anni ’50 continua la sue ricerca, sia pittoriche che con la scultora.
Solo nel 1967, al Moderna Museet di Stoccolma, avrà una retrospettiva che segna l’inizio della riscoperta della sua opera nella sua varietà e complessità. Riconoscimento a cui seguiranno altre importanti mostre e premi, come quello che riceve nel 1982: il Gran Premio della Città di Berlino.
La sua lunga carriera è raccontata nella mostra al MASI, suddivisa per aree tematiche che, ne illustrano temi (e ossessioni). Accattivante quello dedicato al cibo – tra i temi cari ai surrealisti, contaminato anche con chiare illusioni alla sfera erotica – Invito a colazione, dove si fa stretto il rapporto tra la ricerca della Oppenheim con artisti della generazione successiva come Daniel Spoerri, presente in mostra con una scultura del 1972. Tra i lavori più significativi della Oppenheim in questa sezione, dove emerge lo stretto legame tra cibo e sessualità, un’immagine che documenta un “banchetto di primavera” servito sul corpo nudo di una donna.

Nella sezione Corpo e materia, sono esposte tra le opere più belle, a mio parere dell’intera mostra. Si evince la capacità dell’artista di trasformare e combinare gli oggetti, a maggior ragione se sono elementi in stretta relazione con il corpo, dunque portatori di valenze simboliche molto forti. Su tutti le scarpe. Nell’opera “La coppia” la Oppenheim salda due polacchini per le punte: metaforica unione che ricorda un bacio appassionato. Questa scultura è messa in relazione una serie di opere non solo importanti ma indicative dei profondi nessi dell’opera della Oppenheim con una lunga serie di artisti fondamentali del ‘900: la “Scarpa Rossa” di Robet Gobert in cera colata del 1990;“Le modèl rouge” di Magritte del 1947; lo stiletto con lingua bovina di Birgit Jürgenssen (1974); le tendiscarpe unite sempre per la punta di Daniel Spoerri del 1958… Sempre giocando con il concetto di doppio, la serie di guanti esposti: in bronzo quello singolo e spiegazzato di Breton, tramati di vene ricamate quelli della Oppenheim di pelle di capretto o disegnati come fossero guanti per uno scheletro. Altra opera fortemente suggestiva legata al tema del corpo, “L’orecchio di Giacometti”: un piccolo orecchio in bronzo che l’artista ha trasformato in una minuscola mano da cui partono dei rami-serpenti. Quest’opera, scopriamo dal racconto della stessa artista, è nato osservano l’orecchio dell’amico e, rimastole impresso nella mente, una volta in studio lo ha disegnato.. per poi trasformarlo, anni dopo, in un piccoli cimelio surreale. In questa area tematica, la serie di fotografie “Erotique voilée”, dove i tre vettori oggetto-musa-modella si intersecano con armonia nel corpo (e nell’animo) della Oppenheim, che si confronta con l’inorgatico della macchina per stampa.

Mona Hatoum T42 (gold) 1999 Tazze in ceramica con bordo in oro 5.5 x 24.5 x 14 cm Courtesy of the Artist and White Cube ©Mona Hatoum Photo ©Bill Orcutt. Courtesy Alexander and Bonin, New York
Mona Hatoum T42 (gold) 1999 Tazze in ceramica con bordo in oro 5.5 x 24.5 x 14 cm Courtesy of the Artist and White Cube ©Mona Hatoum Photo ©Bill Orcutt. Courtesy Alexander and Bonin, New York

Nella sezione dedicata alla natura, Tra terra e cielo, si racconta dei costanti richiami, soprattutto nella produzione degli anni ’40 e ’60, a elementi terreni, così come al cielo e agli astri. .” In questa sezione il bellissimo quadro “Guerra e Pace” (1943): in un paesaggio brullo e dal cielo plumbeo dove si vede una scenetta in miniatura con una dama e un cavaliere, mentre in primo piano, li guarda una pecora e una misteriosa figura di spalle. Sembra che si racconti di presente e passato, di avversità e ricerca di un momento di pace, magari all’orizzonte, contornato da una luce bianca chiarissima: unico punto di luce dell’intero quadro dove dominano tinte cupe e terrose.
La Oppenheim ha sempre avuto un rapporto contrastante con i temi legati alla natura, evidenti nella sezione Creature della Natura. Spiega Comis: “Nell’approfondire il rapporto dell’arte con la natura, quest’ultima è percepita come luogo del mistero, delle fiabe, il luogo in cui la donna diviene di volta in volta o una fata o una strega, che poi sono i due aspetti della stessa personalità di Meret Oppenheim. Era scissa, agli occhi degli altri, e dei propri: si sentiva percepita come maliarda, ammaliatrice o, per l’inverso, come donna pura, non compromessa o condizionata dallo sguardo maschile”. In questa sezione, tra gli altri, un tavolino che l’artista espose per la prima volta alla Galerie Charles Ratton nella mostra dedicata agli oggetti surrealisti, a cui parteciparono insieme anche Max Ernst e Leonor Fini; in quell’occasione presentò il celebre tavolo con le zampe di uccello. Tuttora, Cassina produce questo tavolo con gambe in fusione di bronzo lucidato e con piano ellittico in multistrati rivestito di foglia d’oro zecchino sulla superficie superiore.

“In merito al tema del travestimento. I surrealisti sono stati ossessionati dal tema dell’identità, del doppio, della possibilità di cambiare identità. Pensiamo al famosissimo lavoro di Marcel Duchamp, Rrose Sélavy. Questa è un altro tema affrontati nella sezione Artisti, amici, ritratti che si accompagna nella magnifica e suggestiva serie di maschere creata in buona parte da Meret Oppenheim; questa ricerca testimonia un’altra passione del’artista, quella delle feste, questo per dare testimonianza alla parte più disinibita e ludica della sua personalità. (Comis)

Nella sezione Maschere, alcune creazioni dell’artista realizzate per essere indossate in occasione della Fasnacht, il carnevale di Basilea. Occasione per manifestare la prorpia recondita natura, grazia al nascondimento del volto, le maschere sono un oggetto di natura fondamentalmente surrealista, in quanto finestra aperta sul recondito, atta a svelare la vera natura di chi la indossa… nascondendolo.
La maschera, come metafora, può ben rappresentare la natura e l’essenza di questa grande artista tutta da scoprire, partendo proprio dalla mostra a Lugano, cittadina non troppo lontana da Corona, luogo di villeggiatura nel Ticino, dove l’artista trascorreva le vacanze durante l’infanzia e dove, cresciuta, vivrà per lunghi periodi.

Meret Oppenheim Röntgenaufnahme des Schädels M.O. (Radiografia del cranio di M.O.) 1964 Fotografia in bianco e nero 25.5 x 20.5 cm Dominique e Christoph Bürgi, Berna
Meret Oppenheim Röntgenaufnahme des Schädels M.O. (Radiografia del cranio di M.O.) 1964 Fotografia in bianco e nero 25.5 x 20.5 cm Dominique e Christoph Bürgi, Berna
Meret Oppenheim Handschuhe (Paar) (Guanti - paio) 1985 Pelle di capretto, pistagna, serigrafia. 150 es., edizione lusso Parkett n. 4. 22 x 8.5 cm Collezione privata
Meret Oppenheim Handschuhe (Paar) (Guanti – paio) 1985 Pelle di capretto, pistagna, serigrafia. 150 es., edizione lusso Parkett n. 4. 22 x 8.5 cm Collezione privata
Meret Oppenheim Tisch mit Vogelfüssen (Tavolo con zampe d‘uccello) 1939 / 1982 Piano: legno intagliato e dorato; Piedi: bronzo 62.5 x 67.3 x 52.5 cm Collezione privata
Meret Oppenheim Tisch mit Vogelfüssen (Tavolo con zampe d‘uccello) 1939 / 1982 Piano: legno intagliato e dorato; Piedi: bronzo 62.5 x 67.3 x 52.5 cm Collezione privata