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Tre anni fa l’artista inglese Tris Vonna-Michell ha presentato alla T293 ‘Pebble Dash’ (intonaco di ghiaia), una mostra complessa e labirintica dove – con quello che nel tempo si è rivelato il suo stile – con un taglio scientifico, erano narrate idee architettoniche (in particolare quelle di Le Corbusier), ipotetiche vendite di un giardino all’inglese (azione pretestuosa per la trasmissione di un capitale culturale da un’epoca all’altra), proposte romantiche per il miglioramento del paesaggio, ecc.. Allora, negli ex-spazi della galleria in via G. M. Crescimbeni, la mostra si sviluppava come un sequenza di interpretazioni fattuali di luoghi, eventi, azioni, sviscerate e raccontate per allusioni, contraddizioni e progressivi e insistenti oscuramenti. La non linearità della pratica artistica di Vonna-Michell raggiungeva una tale complicanza che forma e contenuti si attorcigliavano su loro stessi dando esiti non sempre comprensibili, anzi, facendo della impenetrabilità proprio il loro fulcro esegetico. Da qui la profonda attrattiva per la sua ricerca: voli pindarici intellettuali che, a mio avviso, più sono vorticosi, più risultano una sfida alla comprensione e alla logica.
Nella mostra Register (registro, elenco, deposito, archivio…) inaugurata pochi giorni fa nella nuova sede della galleria in via Ripense 6, l’artista sembra aver “smussato gli angoli”, “addolcito i toni”, levigato le asperità che tanto caratterizzano i suoi percorsi formali (e mentali). Su tutto, l’eleganza dell’allestimento: domina un denso buio che ritma le proiezioni; il sonoro, quando c’è, è contento e discrezionale (chi vuole ascolta mediante cuffie); immagini statiche, immagini in movimento e installazioni con fredde luci al neon riverberano tra pareti rette e curve e tra i pilastri di ferro, sono assorbite nella lunga tenda che copre interamente la parete di fondo, la moquette… Tutto è perfettamente curato e calibrato per dare, al percorso e alla fruizione delle opere, la massima scorrevolezza. Allo studiatissimo display corrisponde un’altrettanto ponderata tessitura concettuale, prova ne sia l’incipit della mostra: la doppia proiezione Punctuations and Perforations (2016), formata da una foto proiettata su un angolo aggettante e un breve video installato nelle parete di fondo. La fotografia mostra quello che potremmo definire un ritratto dello studio dell’artista, dove si vedono, per frammenti, parti di opere, strumenti utilizzati per realizzarle, citazioni mediante oggetti di mostre passate. Il tutto è ordinatamente composto, oserei dire che questa immagine ha la stessa densità di un fondale teatrale, dove spazio ed elementi fittizi sono architettati per far sì che la scena – in questo caso il quotidiano dell’artista – sia credibile e reale. Il video (su pellicola 16mm e poi digitalizzato) che scorre poco lontano, invece, racconta i gesti che permettono la duplicazione e lavorazione di alcuni negativi in un laboratorio: una metafora della trasformazione, un sorta di simbolico meccanismo che allude alla trasformazione del reale in rappresentazione, del vissuto in racconto. In altre parole: dalla realtà alla sua riproduzione in pellicola.
La mostra continua con l’opera che, a mio avviso, è il fulcro dell’intera mostra, Postscript III-V (Berlin) (2016): è un video in alta definizione che mira a ricostruire alcune passate esperienze dell’artista e della sua famiglia all’interno del più ampio contesto della storia della città di Berlino. La narrazione parte nel presente, con l’artista che afferma: “Ci sono molti oggetti che appartengono a questa storia. Sono andato nel mio studio oggi per cercarli…”. (da CS) La proiezione, poetica e coinvolgente, è strutturata non tanto per essere vista su una parete o superficie piana, bensì è interrotta in parte da un ampio schermo in metallo sospeso. Le immagini, dunque, acquistano, grazie a questo elemento, un doppio sapore: alla loro freddezza, si alternano toni più caldi (nel linguaggio fotografico potremmo parlare di ‘patina del tempo’) che rendono le immagini quasi romantiche, sicuramente pittoriche.
Chiudono il percorso l’installazione Register (opera che dà il titolo all’intera mostra) e Recording (2016): tre acquari cubici posti davanti ad un stampa fotografica. Gli ambienti acquatici ospitano piccole piante che, lievi, si muovo con il flusso dell’acqua. Questi tre elementi, nella loro semplicità, suggeriscono il taglio prospettico dell’intero progetto espositivo, connotato da toni delicati, lineari passaggi, acquatici scivolamenti da una proiezione dell’altra, da un contesto all’altro, da forme espressive diverse ma in fitto dialogo.
In fine l’opera Register, una sorta di diario diacronico di un viaggio compiuto dall’artista in Giappone. L’opera consiste nella proiezione di veloci brani visivi che mostrano parti della città, strade anonime, corridoi, parti di edifici, ponti, stazioni… accompagnati da una composizione sonora dell’artista-musicista di Anversa Jan Matthé, intervallate da registrazioni sul campo di frammenti di vita giapponese compiute da Vonna-Michell. L’atmosfera fortemente lirica dello scorrere delle immagini e della suggestiva colonna sonora è accentuata da quelli che definirei interventi “pittorici” che l’artista ha compiuto sulle immagini. L’artista ha variato le immagini collocandole su superfici luminose o le proietta attraverso l’acqua, tanto che esse “emergono in seguito all’agitazione manuale di alcuni fogli di carta traslucida che catturano e rifrangono le proiezioni. Il proiettare, l’allargare e l’orchestrare diversi immaginari in modo analogico e manuale viene poi ulteriormente alterato dagli effetti digitali della continua animazione.”