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Claudia Losi, How do I imagine being there? | Collezione Maramotti

[nemus_slider id=”55671″] “Ogni organismo vivente percepisce del mondo solo cio che gli serve per agire” (C. Losi) Si apre idealmente con questa citazione la mostra di Claudia Losi, ospitata dal 8 maggio al 16 ottobre alla Collezione Maramotti. Per sviluppare il suo affascinante progetto, l’artista si è posta una semplice domanda: Che linguaggio usare per […]

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“Ogni organismo vivente percepisce del mondo solo cio che gli serve per agire” (C. Losi)

Si apre idealmente con questa citazione la mostra di Claudia Losi, ospitata dal 8 maggio al 16 ottobre alla Collezione Maramotti. Per sviluppare il suo affascinante progetto, l’artista si è posta una semplice domanda: Che linguaggio usare per raccontare un luogo? La percezione dello spazio attraversato, esperirlo e raccontarlo è un’ardua sfida anche per i più abili narratori. La Losi sceglie la via poetica (e personalissima) di raccontare la sua esperienza,  partendo dalle isole di S.ta Kilda (che chiama “il mio innesco immaginativo”), mediante “tracce mnemoniche, generatrici di nuove visioni, di artefatti che l’artista produce dopo un periodo di sedimentazione.” Scelte perché luoghi dal forte potere suggestivo, le isole ‘attraversate’ (anche metaforicamente) dall’artista, diventano l’occasione sviluppare una personale cartografia “dove memorie e immaginario si sviluppano con le medesime linee, s’intrecciano.”

In parallelo alla mostra, è stato pensato un volume dal titolo omonimo, pubblicato da Humboldt Books in collaborazione con Collezione Maramotti, che raccoglie visioni e contributi di pensiero, della stessa artista, con Matteo Meschiari, Christopher Collins, Fabio Pupin, Giorgio Vallortigara, Carlo Maiolini, Michele Guerra, Paolo Ossola, Isabella Pezzini, Marco Ciriello, Hamish Fulton.

Seguono alcune domande all’artista per immergersi nel suo “arcipelago di pensieri”.

ATP: Quali sono state le motivazioni principali che ti hanno portato a fare un viaggio nelle isole di S.ta Kilda?

Claudia Losi: Ho frequentato la Scozia per diversi anni, attratta in particolare dagli arcipelaghi delle Orcadi e delle Ebridi. Non saprei dire esattamente perché, forse per le letture universitarie fatte qualche anno prima e le conversazioni con amici scrittori con cui collaboravo allora. Dell’arcipelago di S.ta Kilda avevo saputo un po’ per caso. La sua storia è talmente interessante, paradigmatica, che l’ho scelto (e come me molti artisti, musicisti, scrittori o semplici curiosi) come luogo sufficientemente lontano e stratificato, da volere raggiungerlo non solo fisicamente. Per il mondo anglosassone ha rappresentato per secoli un luogo fantasmatico: dall’abbandono delle isole, nello stesso giorno, di tutti i pochi abitanti, nel 1930, alle centinaia di migliaia di uccelli marini che vi nidificano. Un innesco immaginativo.

ATP: La mostra ospitata alla Collezione Maramotti “How do I image being there?” è incentrata sulla consapevolezza del viaggiare; sulla rilevanza delle scoperte compiute, ma soprattutto sulla memoria in relazione all’esperienza sia del viaggio che del paesaggio attraversato. Mi racconti come hai approfondito, per questa mostra, il concetto di memoria?

CL: La mostra in Collezione prende avvio dal libro, edito da Humboldt, che porta il titolo della mostra. Cosa vuole dire immaginare di essere in un luogo quando ci ci si proietta idealmente là, ci si trova fisicamente e poi si torna, ricordandosene? Non è un libro su un viaggio come non è una mostra sul viaggiare, ma rappresenta, in qualche modo una mia personale cartografia dove memorie e immaginario si sviluppano con le medesime linee, s’intrecciano. Sono la stessa cosa.

Non so se ho effettiva consapevolezza del viaggio, di cosa significa, di come dovrei guardare ciò che incontro. Forse proprio per questo ho messo in moto tutti questi sistemi osservativi, chiedendo aiuto ad altri, per mettere alla prova il mio teatro del mondo e rendere, prima di tutto per me, esplicita la sua complessità (che è quella di ciascuno di noi). ‘Portare memoria’: è un terreno scivoloso e poroso da percorrere perché può prendere accezioni diverse per ciascuno. Come lo è voler contare le foglie di un albero, mi vien da dire. Più che una riflessione sulla memoria, rappresenta un possibile punto di vista su come può funzionare il nostro immaginario rispetto ai luoghi.

ATP: Mi spieghi cosa intendi con “possibili sistemi osservativi del mondo che ci circonda”?

CL: Ti posizioni e guardi. Il tuo corpo si posiziona e guarda. Il punto da cui osservare, il sistema dal quale lanciare lo sguardo mutano di continuo. Noi cambiamo. Il nostro corpo cambia e si muove. In quanti modi puoi scegliere di descrivere un’esperienza vissuta? L’infinito possibile, una vertigine di possibili. Ognuno poi sceglie una pista. Percorre quella, devia da quella. Posso dire che quello che propongo in questa occasione è il luogo del mio personale sistema osservativo. Ogni essere vivente porta alla vita un sistema osservativo unico.

ATP: Poetico e visionario, mi ha colpito molto quello che hai definito come “arcipelago di pensieri”. Come hai espresso questo concetto?

CL: Pensiamo per analogie, creiamo in continuazione ponti tra esperienze e ricordi più o meno lontani. Saltiamo da un’isola all’altra creando collegamenti talvolta arditi, funambolici. Mi piacerebbe che i lavori presentati parlassero, a chi li guarda, di questi collegamenti possibili, di questi impulsi elettrici che ci attraversano. La struttura profonda del nostro pensare è paesaggistica: un habitat collinare, una savana che ci ha ospitato per migliaia e migliaia di anni. Un arcipelago di denti smussati di granito circondato da acque profonde, in questo caso.

Claudia Losi - Collezione Maramotti,   Reggio Emilia  2016
Claudia Losi – Collezione Maramotti, Reggio Emilia 2016

ATP: Per la mostra hai messo in dialogo tue opere con veri e propri prelevamenti dalla realtà. “Le pietre-pegno riportate da luoghi visitati si affiancano a isolari e portolani disegnati dall’artista a matita e acquerello sulle pareti delle sale espositive. Le foto, che documentano il viaggio alle isole di S.ta Kilda, si accompagnano a oggetti, vetri, collage e fusioni in bronzo di micro paesaggi fossili.” Che relazioni hai innescato in questi accostamenti? Come dialogano tra loro?

CL: Mi interessava ricreare un ambiente caotico, ricco, articolato, ridondante, in alcuni casi, che potesse diventare teatro di inneschi analogici. Questa pietra porta pegno del sentiero in cui è stata raccolta e di tutti i sentieri in cui avrebbe potuto trovarsi e di tutte le mani che avrebbero potuto mettersela in tasca o nello zaino. Assomiglia alla selce del Paleolitico ospitata in una teca, all’interno della mostra, raccolta a metà Ottocento non lontano da lì. Al profilo di una certa isola.

ATP: In mostra, anche dei reperti fossili della raccolta archeologica ed etnografica del Museo Spallanzani di Reggio Emilia. Che scoperte hai fatto in questo museo cittadino?

CL: Nella mostra non si parla solo di St Kilda. S.ta Kilda è stato il mio innesco immaginativo. Volevo radicare, sempre seguendo un processo di tipo analogico, più o meno esplicito, questi lavori che presento al luogo che li ospita. Ma “sbilanciando” la scala cronologica: ecco il perché di selci e chopping-tool del Paleolitico, che riportano appunti del Chierici, con inchiostro rosso, risalenti al loro ritrovamento ottocentesco, e ai vasi di terracotta ‘sbagliati’ di epoca romana (scarichi di fornace del II sec. a.C.) che rimandano una funzione abortita, come gli oggetti in alluminio schiacciati e ‘invasi’ da forme fungifomi in cartapesta realizzati per la mostra. Questi prestiti diventano, a loro volta, degli inneschi, amplificano (almeno nelle mie intenzioni) questa idea di stratificazione temporale che mi ossessiona da tanto.

ATP: Per l’occasione, hai anche pensato alla pubblicazione di un volume dal titolo omonimo, pubblicato da Humboldt. Mi racconti brevemente come hai deciso di strutturare questo libro e perché è da considerare un progetto parallelo?

CL: Il libro è stato il punto di partenza. Ho invitato una decina di persone (filosofi, scienziati e artisti), alcune delle quali conoscevo personalmente, altre hanno deciso di offrire le loro parole alla cieca, interessate al tema che proponevo loro: riflettere, attraverso un testo sul tema dell’immaginario, individuale e collettivo, rispetto al modo in cui percepiamo lo spazio esterno a noi e quello interno. Lo sfondo teatrale in cui inseriamo le nostre esperienze e ne facciamo nuova esperienza rimemorandole.

Accanto a questi contributi, dai toni e contenuti disomogenei tra loro, ho composto una serie di tavole: immagini delle isole e scogli di S.ta Kilda in bianco e nero, alcune delle opere che ho realizzato in questi ultimi anni proprio in riferimento a questa esperienza di viaggio e altrettanti miei brevi testi creano una propria cartografia. Degli isolari che mi hanno aiutato a trovare possibili approdi.

Claudia Losi,   St. Kilda,   Untitled 2012 – 2016 Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
Claudia Losi, St. Kilda, Untitled 2012 – 2016 Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
Claudia Losi Arcipelago fossile 2015 bronzo due elementi di circa 6 cm di diametro ognuno / two elements,   ca. 6 cm diameter each Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
Claudia Losi Arcipelago fossile 2015 bronzo due elementi di circa 6 cm di diametro ognuno / two elements, ca. 6 cm diameter each Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
Claudia Losi,   Immagine tratta da Athanasius Kircher Mundi subterranei,   tomus 2. In 5. libros digestus,   quibus,   Amsterdam,   1678 Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
Claudia Losi, Immagine tratta da Athanasius Kircher Mundi subterranei, tomus 2. In 5. libros digestus, quibus, Amsterdam, 1678 Courtesy Collezione Maramotti © Claudia Losi
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