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FM Centro per l’Arte Contemporanea | Intervista con Marco Scotini

[nemus_slider id=”54444″] Grande area espositiva, temporary space per galleria d’arte contemporanea,  archivio visitabile da collezionisti e addetti ai lavori: queste e molte altre sono le caratteristiche che connotano Milano FM Centro per l’Arte. Aprirà i battenti proprio nella densissima settimana del Miart con un progetto espositivo a cura di  Marco Scotini in collaborazione con Lorenzo […]

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Grande area espositiva, temporary space per galleria d’arte contemporanea,  archivio visitabile da collezionisti e addetti ai lavori: queste e molte altre sono le caratteristiche che connotano Milano FM Centro per l’Arte. Aprirà i battenti proprio nella densissima settimana del Miart con un progetto espositivo a cura di  Marco Scotini in collaborazione con Lorenzo Paini. La mostra, che darà avvio al calendario degli appuntamenti, ha per titolo L’Inarchiviabile/The Unarchivable (8 aprile-15 giugno 2016): un’ampia ricognizione della scena artistica italiana degli anni ‘70.

Situato all’interno dello storico complesso industriale dei Frigoriferi Milanesi, FM Centro per l’Arte Contemporanea ha come direttore artistico Marco Scotini e sara? presieduto da un board internazionale di esperti che include Vasif Kortun (direttore, SALT, Istanbul), Grazia Quaroni (Senior Curator / Head of Collections, Fondation Cartier pour l’art contemporain, Paris), Charles Esche (direttore, Van Abbemuseum, Eindhoven), Hou Hanru (direttore artistico, MAXXI, Roma), Enea Righi (collezionista, Bologna).

 Segue un’intervista con Marco Scotini.

ATP: E’ oramai prossima l’apertura del Milano FM Centro per l’Arte Contemporanea. Mi racconti brevemente la particolarità di questo centro dedicato all’arte e al collezionismo?

Marco Scotini: FM Centro per l’Arte Contemporanea nasce dall’idea di lavorare sul concetto di “collezione” in senso allargato e sul collezionismo come risposta soggettiva alla teoria e alla storia, che nel nostro caso è quella dell’arte. Diciamo pure che la “collezione”, in questo senso, ha una stretta connessione anche con l’idea di archivio e con quella della curatela. Che cosa fa un curatore ogni volta se non istituire una temporanea “raccolta” che prende il nome di esposizione? Affermo sempre che la curatela ha meno rapporti con la storia dell’arte che con il processo del collezionare. Perché se lo storico dell’arte si attiene a criteri oggettivi (la stile, le scuole o i movimenti) il curatore deve sempre inventarsi criteri soggettivi di valutazione, narrazione e relazione tra le cose. Il nostro progetto prevede un programma articolato in una grande esposizione annuale e due mostre che si sviluppano in parallelo e che intendono presentare monografiche di collezioni private attraverso una particolare rilettura. L’esclusività e la peculiarità del Centro FM sarà quella di assemblare assieme, per la prima volta, una molteplicità di funzioni del sistema dell’arte contemporanea che, normalmente, si trovano separate tra loro. Penso al processo di esposizione, di conservazione e di valorizzazione come momenti interconnessi e non scorporabili tra loro. Tutto questo ha a che fare con la produzione culturale di oggi.

ATP: Con quale criterio sono stati scelti i membri del board del museo?

MS: L’advisory board del Centro nasce da una serie di rapporti che ho consolidato negli anni con alcune figure della scena curatoriale internazionale, con cui nel passato abbiamo condiviso progetti, esperienze espositive e posizioni teoriche. Mi riferisco soprattutto a Vasif Kortun che è il direttore dello spazio SALT di Istanbul e che rappresenta un ponte possibile per la scena dell’arte e del collezionismo medio-orientale; Charles Esche direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven e nel board dello Schaulager di Basilea che, come tale, è per noi un modello di riferimento nel suo fondere assieme spazio espositivo, deposito aperto e istituto di ricerca. Inoltre, Hou Hanru, ben noto a tutti per essere il direttore artistico del MAXXI di Roma ma con cui ho iniziato a collaborare dall’inizio del 2000 e Grazia Quaroni che è la responsabile della collezione Cartier e senior curator della Fondazione omonima di Parigi. Last but not least, uno dei più importanti e raffinati collezionisti italiani qual’è Enea Righi con cui abbiamo condiviso molte esperienze in passato. Dunque, con tutti, ci lega un rapporto di stima professionale ma anche di amicizia sul piano personale.

ATP: Una delle particolarità del Centro è l’innovativa formula di deposito visitabile per i collezionisti che desiderano rendere accessibili al pubblico le loro collezioni. Concretamente come funziona e come è stata organizzata questa importante sezione?

MS: I caveau rappresentano un aspetto importante e consolidato dei Frigoriferi Milanesi ma il deposito visitabile è un’alternativa a questi ultimi perché è pensato per quei collezionisti che non vogliono tenere le proprie opere in un magazzino chiuso ma vogliono valorizzarle rendendole accessibili al pubblico dell’arte. È un modello che s’ispira a esempi internazionali come quello in allestimento presso il Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam e in Italia ancora non esiste. Stiamo lavorando alla realizzazione di un modello adeguato alle esigenze dei collezionisti italiani e internazionali ma lo attiveremo a partire dal 2017.  

ATP: Un’altra peculiarità del Centro è il temporary space per le gallerie d’arte contemporanea. La scelta delle gallerie segue un particolare criterio di selezione o è aperto a programmi eterogenei?

MS: Nell’immaginare la totalità e l’unicità del Centro, con Elisabetta Galasso, abbiamo pensato che oltre ai servizi per l’arte, agli archivi e al programma di residenze già attivi, fosse importante inserire degli spazi – tanto temporanei che continuativi – per le gallerie che vedono al momento la presenza fissa di Laura Bulian assieme alla P420 di Bologna, Monitor di Roma, Spazio A di Pistoia, che saranno coinvolte in questo primo step con altre realtà in via di definizione. Vedremo poi cosa succederà perché il programma è aperto.

ATP: Il Centro inaugura i suoi spazi – in occasione del Miart – con la mostra “L’Inarchiviabile/The Unarchivable”. Il progetta si concentra sulla scena artistica italiana degli anni ’70. Perché avete ritenuto significativo inaugurare con questa importante rassegna?

MS: Ci sono due punti che vanno subito sottolineati. Il primo è l’attualità e la riscoperta di quel decennio non solo in Italia ma a livello internazionale. Il secondo punto è il fatto che tutte le opere selezionate per la mostra nascono dall’idea dell’archivio, della tassonomia e del catalogo. Dunque, c’è qualcosa di più contemporaneo oggi in arte? Un’altra ragione sta nel fatto che FM raccoglie alcuni archivi d’artista come Mulas, Dadamaino o Colombo che rimandano direttamente agli anni ’60 e ’70. L’ultima coincidenza è una sorta d’ironia della storia che non abbiamo cercato ma ci è venuta incontro da sola. La mostra aprirà il 7 aprile che come sappiamo bene corrisponde al momento dei processi penali e della repressione di tutto quel periodo: il 7 aprile 1979. La nostra mostra sarà il segno, al contrario, della grande potenza creativa e dell’eccedenza sociale di quel decennio. Che dire di più?

ATP: Gli anni ’70 sono stati un decennio di grande produttività culturale, tanto da rendere difficile un’organica archiviazione per discipline o per tematiche. Il titolo della mostra sembra partire proprio da questa indisciplinata effervescenza. Mi racconti cosa rivela il titolo che avete scelto?

MS: Con Lorenzo Paini, che collabora con me in questa mostra, abbiamo cercato di esporre una grande eterogeneità di formati e materiali artistici. Sono gli anni in cui una parte della Biennale di Venezia è dedicata al “Libro come luogo di ricerca” del 1972 oppure nel tempo in cui esce il libro “ Off media” di Germano Celant del 1977. Per questo abbiamo voluto inserire oltre le opere d’arte in senso classico, fotoreportage, musica, architettura radicale, forme del cinema, ecc. Ma l’eccedenza a cui facciamo riferimento è quella dell’emersione della creatività sociale, del general intellect, in sostanza. Quest’aspirazione ad uscire dai ranghi e dai generi in rapporto ad un desiderio (questo sì) inarchiviabile. Diciamo che ciò si potrebbe sintetizzare in quello spazio compreso tra il “Vogliamo Tutto” materialista di Balestrini e il “tutto” metafisico di Anselmo.

Artisti in mostra: Collezione Alloggia, Collezione Bianca Attolico, AGI Verona Collection, Collezione Barillari, Collezione Consolandi, Collezione Carlo Danieli, Collezione Erminia Di Biase, Collezione Koelliker, Collezione La Gaia, Collezione Maramotti, Collezione Marinoni, Collezione Carlo Palli, Collezione Giuseppe Pero, Collezione E. Righi, Collezione Setari, Collezione Gemma Testa, Collezione Viliani

Esterno FM Centro per l'arte contemporanea,   (Ph. Di Consoli)
Esterno FM Centro per l’arte contemporanea, (Ph. Di Consoli)
La Rocca Ketty,   Appendice per una supplica,   1971,   tela emulsionata,   cm 87,  5x125,   Collezione Carlo Palli
La Rocca Ketty, Appendice per una supplica, 1971, tela emulsionata, cm 87, 5×125, Collezione Carlo Palli
Luciano Fabro,   Iconografia (Berenice),   1975,   Collezione Viliani
Luciano Fabro, Iconografia (Berenice), 1975, Collezione Viliani