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Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio

Testo di  Jacopo Miliani La parola Re-citare è composta dal prefisso intensivo re –che significa ‘di nuovo’; e -citare, ovvero chiamare, cantare, spinger fuori la voce. L’origine etimologica della parola rimanda alla fisicità della voce, da cui possiamo partire per risalire al motivo che lega strettamente l’uso di tale verbo con il Teatro, luogo fisico e […]

Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio,   photo  Luca del Pia
Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio, photo Luca del Pia

Testo di  Jacopo Miliani

La parola Re-citare è composta dal prefisso intensivo re –che significa ‘di nuovo’; e -citare, ovvero chiamare, cantare, spinger fuori la voce. L’origine etimologica della parola rimanda alla fisicità della voce, da cui possiamo partire per risalire al motivo che lega strettamente l’uso di tale verbo con il Teatro, luogo fisico e mentale in cui le parole sono declamate a voce alta, secondo una logica di ripetizione.

In un certo senso, Il Giulio Cesare. Pezzi staccati della Societas Raffaello Sanzio è un elogio alla ripetizione teatrale; sia perché il testo di partenza è il Giulio Cesare di Shakespeare – a sua volta ispirato a Vita di Cesare di Plutarco – sia perché c’è una stretta connessione tra il Giulio Cesare messo in scena nel 1997 e questa nuova versione.

Il Giulio Cesare. Pezzi staccati ci trasporta alle origini della Storia e del Teatro (la Roma antica e Shakespeare), mettendo in scena l’essenza primaria della logica rappresentativa: la voce. La voce è lo strumento attraverso cui ognuno di noi è portatore, più o meno consapevole, del linguaggio verbale. Non a caso lo spettacolo si dibatte tra un linguaggio fisico e visivo e l’uso della parola, al fine di svuotarne il suo valore comunicativo. Nel Giulio Cesare del regista Romeo Castellucci la parola si pone sul palcoscenico come segno semantico primario e attraverso l’oggetto voce si innesca un’indagine dai continui rimandi sensoriali, supportati da plurime citazioni. La citazione, parola che deriva dal verbo citare, gioca un ruolo fondamentale sia nello spettacolo in questione, sia nella dimensione teatrale in generale, in cui un testo viene declamato da attori e presentato (di nuovo) al pubblico.

Nell’opera di Castellucci, la citazione non è solamente testuale/verbale, ma la ritroviamo anche nei movimenti dei corpi in scena, che sembrano provenire dall’iconografia pittorica e scultorea che per secoli ha narrato le famose gesta di Giulio Cesare. Giulio Cesare. Pezzi staccati è un viaggio verso le origini della parola nel Teatro. Da qui si innesca una ricerca che oscilla nel tempo (andando avanti e indietro), in direzione degli archetipi insiti nel Teatro, come forme primitive e originarie di pensiero. L’opera di Castellucci è un lavoro che vive costantemente la ricerca di una forma di pensiero primaria, irraggiungibile perché verbalizzata.

La parola, e di conseguenza la retorica, appaiono direttamente sulla scena diventando l’attore principale; l’ordine o il disordine del linguaggio regna sovrano tra spettatori e interpreti. La struttura drammaturgica dell’opera si divide in tre parti, marcate da una precisione formale in cui la parola emerge come suono, come visione e come scrittura.

Nella prima parte un attore si avvicina al limite della scena lasciando un gruppo di attori alle sue spalle. Con un endoscopio ‘introduce’ il suo corpo e il suo nome “…vskij” scritto su una spilla. Si infila la microcamera nella narice e declama il discorso del ciabattino che descrive ciò che avverrà nel Senato Romano, ovvero l’uccisione di Cesare. Sul fondo vengono proiettati i movimenti della sue corde vocali ripresi dall’endoscopio e le parole perdono sempre più di significato davanti alla visceralità dell’immagine. Nel secondo momento, Giulio Cesare vestito con una tunica rossa, si rivolge alla folla, non con le parole, ma è muto ed enfatizza i gesti della declamazione. Un microfono amplifica il suono dei movimenti del corpo e del tessuto da lui indossato. Sul fondo della scena un attore scrive su un cavallo ‘Mene Teke Peres’. Scopro successivamente tramite una ricerca su internet che le tre parole scritte provengono dall’enigma profetico che Daniele svela al re Baldassar, come narrato nell’Antico Testamento. La scrittura si ripropone, come per “…vskij” (che forse sta per Stanislavskij), in quanto elemento indiziario che deve essere interpretato da colui che legge. Nel terzo momento, Marco Antonio declama l’orazione funebre. Il personaggio è interpretato da Dalmazio Masini, attore laringectomizzato. Il suono della sua voce si traduce nel soffio che fuoriesce della sua ferita. La fisicità sovverte le parole e ancora una volta ritorna la scrittura: tre lettere ARS (ars retorica) sono incise sul piedistallo da cui l’attore pronuncerà il suo inudibile monologo.

Una fila di lampadine vengono spente come fiamme di candele da un meccanismo di compressione ad elica, e quello che rimane sono le visioni di un linguaggio che non c’è più.

Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio

CRT Teatro dell’arte La Triennale di Milano

Spettacolo del 16.3.2016

Intervento drammatico su W.Shakespeare

Ideazione e regia Romeo Castellucci

con

Marco Antonio: Dalmazio Masini
…vskji: Sergio Scarlatella
Giulio Cesare: Gianni Plazzi

Assistenza alla messa in scena: Silvano Voltolina
Tecnica: Andrea Melega
Produzione: Socìetas Raffaello Sanzio

Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio,   photo Guido Mencari
Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio, photo Guido Mencari
Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio,   photo Luca del Pia
Giulio Cesare. Pezzi Staccati — Societas Raffaello Sanzio, photo Luca del Pia