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Intervista con Simone Menegoi — LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia

[nemus_slider id=”52271″] English text below Inaugura a Palazzo De’ Toschi (Piazza Minghetti 4/D Bologna), LA CAMERA. Sulla materialita? della fotografia: il terzo episodio di un progetto espositivo più ampio, a cura di Simone Menegoi, che indaga il rapporto fra scultura e fotografia, il cui titolo complessivo è The Camera’s Blind Spot. Dopo le tappe al  MAN – Museo d’Arte […]

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English text below

Inaugura a Palazzo De’ Toschi (Piazza Minghetti 4/D Bologna), LA CAMERA. Sulla materialita? della fotografia: il terzo episodio di un progetto espositivo più ampio, a cura di Simone Menegoi, che indaga il rapporto fra scultura e fotografia, il cui titolo complessivo è The Camera’s Blind Spot. Dopo le tappe al  MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro (2013) e ad Extra City Kunsthal di Anversa (2015), la mostra bolognese – realizzata in collaborazione con Banca di Bologna – si concentra “esplicitamente sulla fotografia, ma recupera la scultura attraverso la materialità degli ‘oggetti fotografici'”, come spiega nell’intervista che segue il curatore. Visibile fino al 28 febbraio 2016,  LA CAMERA. Sulla materialita? della fotografia, ospita le opere di Dove Allouche, Paul Caffell, Elia Cantori, Attila Csörg?, Linda Fregni Nagler, Paolo Gioli, Franco Guerzoni, Raphael Hefti, Marie Lund, Ives Maes, Justin Matherly, Lisa Oppenheim, Johan Österholm, Anna Lena Radlmeier, Evariste Richer, Fabio Sandri, Simon Starling, Luca Trevisani e Carlos Vela-Prado.

ATP: Quella che inaugura il 29 gennaio 2016 a Bologna, è la terza tappa di un progetto di lungo corso che indaga il rapporto tra scultura e fotografia. Come si è evoluto nel tempo l’impianto concettuale della mostra?

Simone Menegoi: La prima puntata del ciclo era compatta da un punto di vista generazionale (tutti gli artisti erano nati dopo il 1970) e cercava di riassumere tutte le modalità principali del rapporto fra fotografia e scultura oggi. Il punto di vista prevalente era quello della scultura (o, se preferisci, degli scultori). Il secondo episodio accostava artisti di generazioni diverse, e di diverse provenienze; alcuni avevano un background scultoreo, altri sono noti essenzialmente come fotografi (o artisti che usano tecniche fotografiche, come Liz Deschenes). Il terzo episodio si concentra esplicitamente sulla fotografia, ma recupera la scultura attraverso la materialità degli “oggetti fotografici” (in alcuni casi è davvero arduo chiamarle “fotografie”!) in mostra.

ATP: Uno degli aspetti affascinanti della mostra – come suggerisce anche il titolo “LA CAMERA. Sulla materialita? della fotografia” – è l’indagine sulla ‘materialità’ della fotografia, il suo sviluppo o tensione nello spazio. Spenderesti alcune riflessioni su questo aspetto?

SM: La materialità ha sempre costituito aspetto fondamentale della fotografia. Lo capiamo soprattutto ora, in tempi in cui questa materialità sembra scomparsa, soppiantata dalla tecnica digitale. (È ovviamente un’apparenza: ogni immagine digitale ha la sua sede, il suo sottile strato di metallo e silicio in cui è codificata la sua matrice numerica. Ma è un’apparenza molto convincente). Guardando indietro, alla fotografia quale è stata fino alla svolta digitale, non si può non essere colpiti dalla consistenza di negativi e stampe, i cui supporti hanno incluso, nel corso di 180 anni circa, celluloide, carta, rame, ferro, vetro… Quando penso alla materialità della fotografia, penso in primo luogo a quei supporti. Certo, ora il digitale e le nuove tecniche di stampa permettono un’espansione spettacolare dell’immagine nello spazio: pensa ai cartelloni alti come palazzi che pubblicizzano le virtù delle nuove fotocamere degli I-phones! Ma il nocciolo del problema sta a monte, è legato all’origine stessa della tecnica fotografica (analogica).

ATP: Per molti versi, una mostra di questo tipo mette in relazione immaginari contemporanei con tecniche fotografiche d’altri tempi. Esempio ne sia la presentazione di opere realizzate con le tecniche fotosensibili piu? insolite e rare. Mi fai degli esempi di opere dove è più evidente l’incontro tra presente e passato?

SM: Ti faccio i nomi di due fra gli artisti che lavorano all’intersezione fra tecnica analogica e digitale: Fabio Sandri, i cui Autoritratti di tempi lunghi sono stampe a contatto da negativi ottenuti con una videoproiezione su carta fotografica; e Carlos Vela-Prado, le cui immagini sono state scattate con una macchina costruita da lui, che combina un banco ottico con uno scanner digitale. Sono immagini stranissime, senza tempo. Hanno qualcosa di arcaico e al tempo stesso di futuribile.

ATP: E’ erroneo pensare che con questa mostra si voglia difendere o conservare un modus operandi passatista del linguaggio fotografico a discapito dell’imperante digitale?

SM: Ti rispondo come Tacita Dean, quando difende il suo attaccamento al film in pellicola: “Io non sono una passatista, apprezzo la tecnologia digitale. Ma non accetto il fatto che pretenda di soppiantare in tutto e per tutto la pellicola. Il film può fare cose che il video non può fare.” Secondo me, vale lo stesso per la fotografia analogica (specie nelle sue versioni più arcaiche e insolite) rispetto alla fotografia digitale.

Attila Cso?rgo?,   Semi-Space,   2001. Plexiglas,   b/w dome-photograph (Ø 34 cm) presented on light table,   (Courtesy Gregor Podnar Gallery,   Berlin)
Attila Cso?rgo?, Semi-Space, 2001. Plexiglas, b/w dome-photograph (Ø 34 cm) presented on light table, (Courtesy Gregor Podnar Gallery, Berlin)

ATP: Concentrandosi sulla scultura come puro linguaggio materico nello spazio, mi citi delle opere in relazione al loro nesso con il linguaggio fotografico?

SM: In realtà, esplorare questo aspetto non rientra fra gli obiettivi del terzo episodio di TCBS. Non ci saranno “sculture” propriamente dette (anche se alcune opere realizzate con tecniche fotografiche hanno una tale dimensione e presenza plastica che possono benissimo essere definite tali). Se qualcuno è interessato all’argomento, segnalo l’imponente catalogo di una mostra che si proponeva di indagare il nesso fotografia-scultura proprio dall’angolazione che intendi: si intitolava Lens-based Sculpture, è stata presentata al Kunstmuseum Lichtenstein e all’Akademie der Künste di Berlino nel 2014.

ATP: La mostra è ospitata a Palazzo De’ Toschi. Per l’occasione è stato pensato e realizzato un particolare allestimento. Che criterio avete seguito per sviluppare l’allestimento delle opere?

SM: Il contenitore espositivo è innanzitutto frutto di necessità: la mostra comprende un sacco di opere a muro, e nella sala di Palazzo de’ Toschi non è possibile appendere nulla. Così ho proposto di costruire una grande scatola, di sette metri per ventiquattro, che conterrà le opere. Internamente è suddivisa in tre parti, e ognuna di esse ha una propria compiutezza – le opere sono state raggruppate secondo affinità tecniche, concettuali e visuali.  Il contenitore cita la prima formulazione della mostra, molto più piccola per dimensioni e numero degli artisti, presentata ad Extra City (Anversa) come una sotto-sezione del secondo episodio di TCBS. Era allestita dentro una specie di scatola di MDF e plastica trasparente, costruita dentro uno spazio più vasto. L’avevo chiamata LA CAMERA, giocando fra il senso della parola in inglese e in italiano. Il titolo, come vedi, è rimasto.

Dove Allouche,   Les pe?trifiantes,   2012. 18 ambrotypes on glass; 20.5 x 20.5 x 0.5 cm each; glass and steel case,   85.5 x 67 x 253 cm (Collection of FRAC Bretagne,   Rennes)
Dove Allouche, Les pe?trifiantes, 2012. 18 ambrotypes on glass; 20.5 x 20.5 x 0.5 cm each; glass and steel case, 85.5 x 67 x 253 cm (Collection of FRAC Bretagne, Rennes)

The Camera s Blind Spot III

LA CAMERA –  Sulla materialit à della fotografia

Palazzo De’ Toschi ( Piazza Minghetti 4/D Bologna) –  January 29 – February 28, 2016  

press release

LA CAMERA: Sulla materialit à della fotografia (La Camera: On the Material Nature of Photography) is the third installment in a broader exhibition program, curated by Simone Menegoi and titled The Cameras Blind Spot, which explores the relationship between sculpture and photography. The first two parts of the project (The Cameras Blind Spot I and II) were respectively held at MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro in Sardinia (2013) and at Extra City Kunsthal in Antwerp (2015).

The exhibition LA CAMERA: Sulla materialit à della fotografia, produced in partnership with Banca di Bologna, will open on Friday, January 29 at 6:30 PM at Palazzo de’ Toschi (Piazza Minghetti 4D) in Bologna, and remain open to the public through February 28, 2016. It will present works by a sizeable group of international artists: Dove Allouche, Paul Caffell, Elia Cantori, Attila Cs ö rg ? , Linda Fregni Nagler, Paolo Gioli, Franco Guerzoni, Raphael Hefti, Marie Lund, Ives Maes, Justin Matherly, Lisa Oppenheim, Johan Ö sterholm, Anna Lena Radlmeier, Evariste Richer, Fabio Sandri, Simon Starling, Luca Trevisani, and Carlos Vela-Prado.

The show is among the exhibitions planned for the 4th ART CITY Bologna, an initiative sponsored by the City of Bologna and by Bologna Fiere to round out the annual Arte Fiera with a program of high-profile exhibitions and cultural events, strengthening the ties between this major art fair and the city’s own cultural fabric.

Exhibitions about the overlap between sculpture and photography often limit themselves to a more classic view of this relationship, with photography used to revisit and document pre-existing three-dimensional works. This is a formula that originated with photography itself, and took an extraordinarily creative turn when sculptors like Medardo Rosso and Costantin Brancusi, at the turn of the century, shouldered cameras and began photographing their own works in varying conditions of light and space. The Cameras Blind Spot not only tries to trace the most recent developments in this trend, but to take other equally important possibilities into account; first and foremost, that the material aspect of the photographic image can be accentuated to the point that the latter becomes an object. This is a challenge to what has been the technology’s “blind spot” from the outset: the impossibility of rendering a three-dimensional object on a flat surface.

The third installment in the series, titled LA CAMERA: Sulla materialità della fotografia shifts the center of this investigation towards the photographic medium. An exhibition setting created within the main hall of Palazzo De’ Toschi (the title of the show being a play on words between the English meaning of “camera” and its Italian one, “room”) will house works made with the rarest and most unusual photosensitive techniques currently used by visual artists and photographers: from Evariste Richer’s daguerreotypes to Paul Caffell’s platinum prints, and from Attila Cs ö rg ?’s spherical photographic scans to Justin Matherly’s “inkjet monoprints”. A collection of photographic eccentricities, archaisms, and hapax legomena, its aim is to subvert viewers’ usual assumptions about the medium and make them experience anew, for at least a moment, their nineteenth-century ancestors’ awe at an invention that revolutionized visual culture and our relationship to reality itself. This is not a challenge to the digital realm per se (digital techniques like scanning or 3D printing are even at the core of some works in the show) but to its absolute hegemony; to the notion that since its advent, all other photographic techniques have become obsolete and can only be abandoned.

Lastly, sculpture. The other key theme of The Cameras Blind Spot turns up in the third part of the project as well. At times, in the subjects: the Roman statues photographed by Paolo Gioli through a process of his own invention, involving phosphorescent film; or the stalagmites and stalactites, nature’s own sculptures, which Dove Allouche captures on glass with the nineteenth-century technique of ambrotype. More often, sculpture re-emerges through the physical presence of works that are based on photographic techniques, yet which one hesitates to call “photographs”: for instance, Johan Ö sterholm’s Structure for Moon Plates and Moon Shards (2015), an assemblage built from old greenhouse glass, coated in photosensitive emulsion and then exposed to moonlight. In an era when the photographic image tends to be dematerialized, the individual “photographic objects” in the exhibition present themselves as true sculptures.

Exhibition partner Banca di Bologna is a bank with close local ties both to the city of Bologna and to the area around it. Its many initiatives have included refurbishing Piazza Galvani, restoring the Oratorio dei Fiorentini and Bologna’s city gates, recovering and upgrading Piazza Minghetti, and renovating Palazzo de’ Toschi. It has also been involved in the restoration of the Basilica of San Petronio and its Chapel of the Archangel Michael, with the famous fresco by Calvaert. This year, the bank organized a series of lectures on “art and food” for the occasion of Expo 2015, with eminent scholars and critics helping to explore how artists have approached this theme over the centuries. In addition, it recently presented a photography exhibition in partnership with Collezioni Alinari: L’industria bolognese, un DNA riconosciuto, with many images on view for the first time. These activities will continue in 2016, starting with the exhibition LA CAMERA: Sulla materialità della fotografia, organized at Palazzo de’ Toschi in conjunction with Arte Fiera 2016.

Franco Guerzoni,   Archeologia [Archeology],   1973. Retouched photograph and silkscreen on plaster,   70 x 50 cm (Private collection,   Bologna)
Franco Guerzoni, Archeologia [Archeology], 1973. Retouched photograph and silkscreen on plaster, 70 x 50 cm (Private collection, Bologna)
Evariste Richer,   Nuages au iodure d’argent,   2005. 3 daguerreotypes,   each 6 x 9 cm (Courtesy the artist)
Evariste Richer, Nuages au iodure d’argent, 2005. 3 daguerreotypes, each 6 x 9 cm (Courtesy the artist)