ATP DIARY

Andrea Kvas

ATPdiary ospita un DIARY di   Andrea Kvas, in occasione del suo progetto Staring Contest, presentato fino al 16 dicembre da Ermes-Ermes a Vienna Per ulteriori informazioni – Testo di Cecilia Canziani  Andrea Kvas, Staring Contest, Ermes-Ermes, Vienna Era la prima volta che puntavo a realizzare una tela così come l’ho immaginata. Mi piace disegnare potenziali lavori; […]

ATPdiary ospita un DIARY di   Andrea Kvas, in occasione del suo progetto Staring Contest, presentato fino al 16 dicembre da Ermes-Ermes a Vienna

Per ulteriori informazioni – Testo di Cecilia Canziani  Andrea Kvas, Staring Contest, Ermes-Ermes, Vienna

Era la prima volta che puntavo a realizzare una tela così come l’ho immaginata. Mi piace disegnare potenziali lavori; non li chiamo progetti perché non credo di averne mai seguito uno davvero, prima di questo. La mia progettualità riguarda in genere la scelta dei procedimenti che determinano l’esito formale del lavoro. Voglio che il risultato mi sorprenda. La differenza, in questo caso, è stata che la stessa scelta dei procedimenti è dipesa dal desiderio di ottenere un risultato formale preciso.

Complessivamente la tela misura circa 4 metri per 3 e non ci stava completamente aperta nella stanza. Per questo ho iniziato a lavorarla quando ancora era piegata a metà, sgocciolando gommalacca tinta di grigio sulla parte esterna. La gommalacca ha lasciato un’impronta sbiadita sul lato coperto della tela. Ecco la prima differenza rispetto al disegno. A questo punto ho deciso quindi di accentuare la piegatura facendo, su ciascuna metà della tela, una versione differente del mio progetto: acceso e luminoso da una parte e spento e sbiadito dall’altra.

Uno dei motivi per cui continuo ad usare tessuti estremamente sottili per dipingere è che adoro scoprire quello che traspare sul lato della tela che non sto lavorando.

Quando dipingo dei monocromi (o presunti tali) mi sembra di stare in una bolla spazio-temporale. Spesso quando mi soffermo a pensarci mi rendo conto di aver messo in loop il disco che stavo già ascoltando…

 Dopo circa una decina di mani di rossi diversi su entrambe le metà, la tela era pronta per essere occhiellata e stelaiata  Il telaio che ho usato per tendere la tela non è stato fatto appositamente per questo progetto, direi piuttosto che è il progetto che ha basato molte delle sue mosse su di esso. E’ terribilmente sgangherato. Uno dei listelli più lunghi si avvita su se stesso (tenerlo assieme agli altri tre pezzi era stata un’impresa!) ci sono centinaia di giunti di metallo, fascette, nastri telati (di vari colori), viti, chiodi, preghiere e improperi. Sembrava già vecchio e inservibile anche pochi minuti dopo averlo assemblato. Tuttavia è qui nel mio studio da almeno tre anni, e mi piace un sacco. Ha carattere e lo imprime su tutto quello che ci tendo sopra. Come in questa foto: cinque sporgenze causate da cinque vitacce troppo grosse per entrare negli inviti dei giunti.

Ah, e poi c’è lui, che sbuca da sotto. Lui è figlio di colla e pigmenti mischiati ad una sera (o meglio, ad una notte) spesa a lanciare considerevoli quantitativi di colore su qualsiasi supporto mi capitasse a tiro. L’ho ritrovato l’indomani per terra, e da allora mi fissa spesso e volentieri. Non mi inquieta, sia ben chiaro, però vive di quella magica proprietà che spesso due puntini hanno, di farti sentire osservato in qualsiasi angolo della stanza. L’ho portato con me a Vienna.

involtino

Quando ho appeso la tela alla parete, è stata una sorpresa. Era effettivamente totalmente diverso da come lo immaginavo nel mio progetto. Stessi colori… però no. Stesse proporzioni… però no. Stessa energia… io me l’aspettavo irruente, spaccone, a petto in fuori. Può un bel rosso essere pacifico e riflessivo tanto da farti venir voglia di metterci una sedia davanti per osservarlo placidamente? Evidentemente sì. Speri sempre che i tuoi figli vengano fuori come li vuoi, poi invece hanno il loro carattere e lo devi accettare.

Il bue di Soutine, però adolescente, un po’ annoiato, seduto su un divano. Un polmone che respira.

Un’insegna senza scritte, sbiadita per metà. C’era qualcosa che non mi tornava. Credevo fosse colpa sua. O meglio, colpa mia ad averlo costretto ad un’idea (la mia) che ha bloccato le potenzialità delle mille deviazioni che ad ogni passaggio il lavoro avrebbe potuto prendere. Lo vedevo un po’ rigido, poco disinvolto, timido. Non sicuramente spaccone come me lo immaginavo all’inizio. Lo stavo criticando troppo. Perché esigere cose da chi non può dartele? La sua natura è effettivamente diversa: è nato dalle forme in cui l’ho costretto e si è ritagliato la sua autonomia all’interno di esse.

Che meraviglia!

 

Pochi secondi dopo aver appeso alla parete il timido rosso ho preso la decisione di farne un altro, uguale ma diverso, prendendo le regole che mi ero imposto e facendo tutto il contrario, per dispetto. Ho agguantato il mio telaio miracolato e l’ho piazzato su un’altro ritaglio di tela senza allinearlo alla tramatura. L’ho dipinto con i rimasugli dei rossi precedenti, aggiungendo man mano che il colore veniva a mancare altri rossi e bruni ritrovati in secchi e vasetti sparsi per tutto lo studio. Nel giro di una nottata e qualche ora della mattina successiva avevo finito la seconda tela. Il fratello.

Tutti e due sono arrivati con me in macchina a Vienna, arrotolati uno sopra l’altro. Il rosso ritroso non l’ho nemmeno srotolato dal tubo, ho appeso subito lui. Non me la sono sentita di piazzare una tela riservata e introversa di fronte ad una vetrina che si affaccia sulla strada, tanto più se illuminata da quattro abbaglianti luci al neon e messa al cospetto dello spiritello dagli occhi gialli. Ha bisogno di altri spazi, di altri sguardi. E così il timido rosso è tornato con me in studio, mentre a Vienna è rimasto il secondo: il fratello più giovane e impulsivo.