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Missoni, l’arte, il colore

[nemus_slider id=”43619″] Nel territorio da sempre sede dei Missoni e della loro eccezionale vicenda artistica e culturale, presso il Museo MA*GA di Gallarate, una grande Maison italiana è posta direttamente a confronto con l’arte europea del Novecento, per ripercorrere a ritroso il dialogo sempre presente, appunto, tra l’Arte, il Colore e la straordinaria cultura e genialità […]

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Nel territorio da sempre sede dei Missoni e della loro eccezionale vicenda artistica e culturale, presso il Museo MA*GA di Gallarate, una grande Maison italiana è posta direttamente a confronto con l’arte europea del Novecento, per ripercorrere a ritroso il dialogo sempre presente, appunto, tra l’Arte, il Colore e la straordinaria cultura e genialità della famiglia Missoni. Tra i nomi e le dimensioni artistiche coinvolte: Ali Kazma, Kandinsky, il Futurismo di Balla e Severini, Munari, Veronesi, Soldati, Rho, Fontana, Vedova ed Enrica Borghi.

Vedere è innanzitutto vedere i colori.
Quello dei colori è stato forse il primo alfabeto. Il primo strumento di comunicazione. Non è un caso. Animale essenzialmente visivo, l’uomo usa un terzo della corteccia del cervello – che di quest’organo è la parte più nobile – per formarsi un’immagine del mondo. Nella retina, sei milioni di cellule a cono, con tre diversi pigmenti, colorano la nostra vita, dando un linguaggio ai sentimenti e alle emozioni, dall’amore alla paura, dall’allegria alla depressione. E’ un linguaggio muto, ma con infinite sfumature, se è vero che l’occhio umano sa distinguere sette milioni di colori, mentre le parole nel vocabolario sono appena centomila. Si può diventare consapevoli di questo linguaggio visivo come lo siamo della scrittura? Si può! Anzi, si dovrebbe. L’antropologia dei colori potrebbe occupare non pagine, ma libri e biblioteche. Un cenno soltanto all’azzurro, che nella vastità del cielo e del mare trova la sua istintiva metafora dell’infinito.

Ottavio Missoni, nato a Ragusa (oggi Dubrovnik) ricorda nella scheda biografica della terza pagina di copertina del volume riferito alla mostra Ottavio Missoni. Il Genio del colore, allestita a Maribor, Slovenja, nel 2012: “Il colore è parte integrante del mio DNA. Dalla Dalmazia e da Ragusa ho portato con me i blu, che profumano d’oltremare e i rossi aranciati dei tramonti sull’Adriatico; i gialli caldi screziati d’ocra e marrone parlano di rocce e sabbie, lambite, rimescolate ed erose dalle onde. Non mancano i neri, che amalgamano. E poi il viola, mio colore prediletto, in tutte le sue sfumature. Se si guarda bene c’è sempre, anche se non compare a prima vista”. I Missoni con il colore si identificano da sempre; anche la presenza della parola Arte nel titolo non ci stupisce affatto. Parole di Klee. “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”, essendo suo fine appunto il “rendere visibile”, piuttosto che il “riprodurre il visibile”. Parole di Luciano Caramel, tratte dal testo in catalogo: “Fin dagli anni Settanta, quando nel settembre del 1975 Renato Cardazzo espose con ottimo esito, di pubblico e di critica, i suoi tessuti come quadri, appesi alle pareti, in una mostra personale nell’importante Galleria Navigliovenezia, con la prestigiosa presentazione di Guido Ballo, titolare della cattedra di Storia dell’arte nell’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, pubblicata negli apparati di questo volume. Successo particolarmente significativo, dato che la mostra, intitolata Missoni e la macchina mago, accanto a una ricca serie di appunti e di studi di lavoro, di schizzi, disegni e campionature di materiali, colori, testimonianza diretta dell’impegno di ricerca e progettazione su di un piano artigianale, proponeva opere eseguite a macchina, seppur con accortezza estrosa, scriveva a sua volta Ballo, che fa sentire il valore del tessuto a maglia, quasi fosse eseguito a mano, non distruggendo quelle premesse artigianali, nella trama spesso larga, senza pedanterie anonime di macchina, essendo per Missoni la macchina stessa ancora una prosecuzione della man, macchina-mago. Per cui, concludeva Ballo, anticipando la risposta a prevedibili interrogativi e cogliendo l’intelligente apertura di Missoni alla realtà contemporanea, anche nella produzione artistica in un periodo in cui le manifestazioni estetiche si sono allargate fino a straripare, questo valore della mano-mente e della macchina-mago non è un ritorno, un passo indietro: è semplicemente una presa di coscienza delle possibilità che le premesse artistiche, in piena civiltà tecnologica, possano ancora offrire con naturalezza. Attenzione all’attualità peraltro sensibile alle proprie radici culturali e tecnico operative e alla loro proiezione nel presente, pure, opportunamente considerate da Ballo in quel breve testo, dell’agosto 1975, in cui si legge che il fascino dei tessuti di Missoni, in un particolare momento di revival del Liberty, è nel valore materico che accentua l’origine artigianale e anche nel colore mitteleuropeo. Missoni nativo di Zara, precisava ancora Ballo, ha operato bell’area dalmata e triestina, attratto fin dalla prima formazione dalle assonanze secessioniste di Vienna. Così come la tavolozza, e anche i disegni in nero, di quel tempo, richiamano i tessuti di Mackintosh, Klimt e la Scuola Vienense, ma anche certo Klee e certo Kandinsky del Cavaliere Azzurro di Monaco.” Luciano Caramel prosegue nella sua analisi scrivendo: “Seppur, non diversamente che in Klee, fuori dall’autoreferenzialità, come s’è appena detto, il linguaggio di Missoni è infatti sin dall’avvio della sua attività, ancora negli anni Cinquanta del Novecento, innanzitutto il colore in quanto tale. Esso stesso, col segno, espressione e comunicazione. Ossia tout court Missoni: il colore come valore, secondo la sintetica identificazione di Di Martino ell’autore col suo fare, e di questo col suo strumento, secondo suoi codici interni segnici e materici significanti, ancora come in Klee, in relazione dialettica con l’altro da sé, in primis con lo spazio/luce, attraverso le fondanti componenti percettive e psicologiche, oggettive e soggettive, anche debitrici, va ribadito, del contesto naturale in cui s’era svolta la sua formazione. In cui spicca, non ultima, Venezia, dalla cui pittura, pur senza rifarsi, imitativamente a Tiziano, viene Missoni, e proprio da quella gloria di colori che da Venezia scendendo verso l’Istria e la Dalmazia si stemperano, si attenuano, si screziano, come è detto in Dora Markus da Montale, in una dolce intensità d’Oriente, afferma Giancarlo Vigorelli in occasione della mostra di Missoni, nel 1978, a Trieste , nella galleria Torbandena, seguita l’anno successivo, per ricordare i 25 anni di lavoro dei Missoni, da una grande esposizione alla Rotonda di via Besana a Milano, subito trasferita, evento eccezionale, al Whitney Museum di New York, in riconoscimento del ruolo culturale significativo della textil art missoniana nella storia dell’arte tout court, europea e internazionale, in accordo con gli itinerari e gli sviluppi degli altri linguaggi, dalle avanguardie protonovecentesche alle espressioni contemporanee, dal recupero dell’arte primitiva al rigore progettuale e all’astrazione del Bauhaus, allo stesos informale europeo, autonomamente e innovativamente ripresi da Missoni. Ruolo in seguito ribadito in alcuni dei maggiori musei d’arte contemporanea, in Europa, negli Stati Uniti e in altre molte nazioni, a cui si aggiunge ora questa mostra, nel MA*GA di Gallarate”.

Per questa mostra che indaga il colore attraverso numerose declinazioni si affronta il discorso della spazialità del colore: parole di Johannes Itten a proposito di “Arte del colore”, “L’effetto spaziale di un colore dipende da più fattori. Entro il colore possono esistere forze che danno luogo, già da sole, a effetti di profondità e che si manifestano in forme di contrasti chiaroscurali, di caldo-freddo, di qualità o di quantità. L’effetto spaziale può inoltre essere creato da diagonali e da intersecazioni.”

La domanda relativa ai colori, alla loro natura e alle loro cause è stata sempre al centro della riflessione filosofica e scientifica. Questo è particolarmente vero nei periodi storici in cui, a differenza di quello attuale, i pensatori che cercavano di articolare un discorso sul mondo erano, molto spesso, gli stessi impegnati a sviluppare ipotesi conoscitive su di esso. Alludo soprattutto a pensatori dell’antichità. Nelle loro riflessioni i fenomeni cromatici erano presenti, più o meno esplicitamente, ogni qualvolta essi cercavano di capire come gli esseri umani siano in grado di stabilire un rapporto visivo con la realtà circostante. E il motivo è ovvio: ieri, come oggi, ciò che più colpisce nell’esperienza visiva quotidiana è che essa si configura, a livello intuitivo, come un’esperienza prevalentemente cromatica. Nel nostro rapporto diciamo ingenuo con la realtà, l’atto di vedere riguarda di sicuro la forma, il movimento e la distanza ma specialmente i colori. Vedere è innanzitutto vedere i colori.

Testo di Marco Tagliafierro

Ottavio Missoni,   Studi per arazzi (dettagli dell’installazione),   s.d,   matita colorata su carta quadrettata. Fondazione Ottavio e Rosita Missoni. Photo Marco Cappelletti
Ottavio Missoni, Studi per arazzi (dettagli dell’installazione), s.d, matita colorata su carta quadrettata. Fondazione Ottavio e Rosita Missoni. Photo Marco Cappelletti
Veduta della Sala degli Arazzi allestita per la mostra al MA*GA. Appesi,   gli arazzi di Ottavio Missoni. Photo Marco Cappelletti
Veduta della Sala degli Arazzi allestita per la mostra al MA*GA. Appesi, gli arazzi di Ottavio Missoni. Photo Marco Cappelletti
Fausto Melotti,   Tema,   1968,   ottone,   cm 85x58x24,   collezione privata,   Novara
Fausto Melotti, Tema, 1968, ottone, cm 85x58x24, collezione privata, Novara
Veduta dell’installazione Le forme della moda,   allestita per la mostra al MA*GA con abiti Missoni dal 1953 al 2014. Photo Marco Cappelletti
Veduta dell’installazione Le forme della moda, allestita per la mostra al MA*GA con abiti Missoni dal 1953 al 2014. Photo Marco Cappelletti