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Oakwood, Astrid Nippoldt — The Gallery Apart

[nemus_slider id=”43251″] English text below Mentre osservo le opere di Astrid Nippoldt (in mostra fino a 13 giugno a The Gallery Apart) ho una piacevole sensazione di déjà vu. La fotografia che apre il percorso espositivo si chiama Blue Velvet ed è talmente vivida e artificiosa da sembrare un video. In effetti appena entrata mi […]

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English text below

Mentre osservo le opere di Astrid Nippoldt (in mostra fino a 13 giugno a The Gallery Apart) ho una piacevole sensazione di déjà vu. La fotografia che apre il percorso espositivo si chiama Blue Velvet ed è talmente vivida e artificiosa da sembrare un video. In effetti appena entrata mi sono seduta davanti all’immagine, aspettando. Mi è addirittura sembrato di vedere impercettibili movimenti, scorgere l’ondeggiare dei petali dei fiori e una certa vibrazione nella luce, almeno finché non ho letto “pigment print on paper”. Anche se è difficile crederlo, nessuna delle fotografie in mostra è post-prodotta. Il titolo dell’immagine, che rimanda al celebre film, mi sembra interpretabile come il “grazie” che Nippoldt rende a David Lynch dopo aver preso in prestito il suo amore per l’oscurità e per le superfici sontuose e il caratteristico sapore di insondabile mistero che si sviluppa attraverso immagini impeccabili, simmetriche, teatrali.

Anche l’icona pop Lana del Rey si ispira al film di Lynch nel suo spot del 2012 per H&M, nel quale una scena del film viene reinterpretata e personaggi e motivi inediti vengono inseriti, cercando di mantenere aderenza allo stile del regista. L’effetto è un guscio vuoto ed estetizzante che non contiene più l’energia sinistra di Lynch ma che cerca di mantenerne il fascino compositivo e atmosferico (una specie di fumo profumato che ti avvolge). La stessa cosa accade a Nippoldt: per quanto l’artista si serva dell’oscurità e, nel video Oakwood Garden, utilizzi piani sequenza instabili (filma da sola con la telecamera in mano), ravvicinati (le presenze umane sono sfuggenti e parziali – due gambe che pattinano, una voce di donna – e tutto ciò che vediamo è spesso ripreso da molto vicino – la siepe, la rete che delimita il giardino, ecc.- ) e manipoli pesantemente il sonoro per cercare di generare apprensione nello spettatore, non riesco a trovare l’opera inquietante.  Più che vicine al film di Lynch, o alle composizioni sospese ed enigmatiche di alcuni scatti notturni di Gregory Crewdson e ad altre opere che compaiono nella mia mente – Riyo e Parc Central di Dominique Gonzalez-Foerster, lo stile narrativo di Tacita Dean – le opere di Nippoldt ricordano quel senso di attesa di qualcosa che non arriva mai che attraversa Lost in Translation, film del 2003 di Sofia Coppola.  Come sottolinea Valentina Vlasic nel catalogo realizzato per la mostra (presentata al Museum Kurhaus Kleve in Germania e poi approdata a The Gallery Apart – iter opposto a quello della precedente mostra di Nippoldt in galleria, Pattern of Paradise (Cape Coral), che era stata il preludio alla presentazione in ambito museale), il riferimento al film di Coppola (ambientato a Tokyo, mentre Nippoldt sceglie l’Hotel Oakwood di Bejiing) non sta soltanto nello spaesamento dei personaggi “intrappolati” in un hotel di lusso e in un sistema di segni a loro incomprensibile, ma anche e soprattutto nel senso di noia e apatia che li condanna ad annegare nelle comodità come pesci volontariamente intrappolati in un acquario lussureggiante ma artificiale: un limbo.

Il secondo video di Nippoldt, a mio parere più interessante, fa da contrappunto al primo, con l’effetto di arricchirlo e dargli nuovo senso. In My Day la telecamera riprende ciò che si vede dalla finestra di una camera d’albergo. La composizione geometrica dei grattacieli bianchi, ocra, grigi e rossastri è incorniciata dalle tende, che a un certo punto vengono tirate. Al centro dell’inquadratura degli statement riportano il racconto, in prima persona, di una giornata tipo di un ospite dell’albergo. La ricerca di Nippoldt si è infatti concentrata sulla routine delle mogli degli uomini che per lavoro si stabiliscono a Oakwood per periodi di tempo anche abbastanza lunghi. Inevitabile il senso di spaesamento, inutilità e il rischio di depressione.

Il narratore del video è doppiamente isolato, essendo un marito (la maggior parte delle residenti sono donne e le attività organizzate durante la giornata sono quindi quasi esclusivamente femminili): ex-artista, ha rinunciato alla pittura per un lavoro meglio retribuito e poi ha deciso di seguire la moglie in carriera. Nel video racconta che nelle sue giornate in hotel cerca di dipingere ma che l’ispirazione non arriva e allora, puntualmente, si ritrova a aspettare l’arrivo della compagna distraendosi con i videogiochi. L’hotel contiene tutto ciò di cui si può avere bisogno, tanto che, come riferisce Nippoldt, “the privileged residents of Oakwood Tower develop an inibition against leaving the tower. (…) Contact with the country’s people is increasingly avoided due to a hypersensitive social phobia.”

Ed è questa ipersensibilità a ricordarmi diversi momenti del film di Coppola: quelli in cui i protagonisti meditano in solitudine nel loro acquario, e in particolare Scarlett Johansson rannicchiata davanti alla spettacolare vista di Tokyo, e l’euforia mista a paura che li coglie quando escono, di notte, mescolandosi con la città. Mi ritrovo a capire di più il primo video, con le sue sonorità eccessive e il punto di vista ravvicinato, come se volesse restituire le percezioni amplificate di chi si ritrova all’esterno dopo aver passato molte giornate chiuso in una stanza insonorizzata, con aria condizionata e filtrata (per via dell’inquinamento) e senza fare niente. In mostra anche una serie di mail “rubate” dall’artista, che ci permettono di assistere ai tentativi dei residenti di aggregarsi e fare qualcosa che consenta loro di passare il tempo. Dalle mail traspare un entusiasmo inquietante per qualsiasi attività proposta.

In conclusione, una mostra che esplora con un tipo di sensibilità estetica ben rodato un argomento non nuovo. Eppure devo ammettere che l’espressione della malinconia, della noia e del limbo con immagini struggenti e ben orchestrate, continua ad esercitare su di me un fascino consolatorio e rigenerante.

Astrid Nippoldt,   Beijing Bedroom (Tulips),   2013,   c-print,   cm 30 x 45,   ed. 6 + 1 PA,   courtesy The Gallery Apart,   Roma
Astrid Nippoldt, Beijing Bedroom (Tulips), 2013, c-print, cm 30 x 45, ed. 6 + 1 PA, courtesy The Gallery Apart, Roma
Astrid Nippoldt,   Oakwood,   veduta dell’installazione presso The Gallery Apart Roma,   foto di Giorgio Benni
Astrid Nippoldt, Oakwood, veduta dell’installazione presso The Gallery Apart Roma, foto di Giorgio Benni
Astrid Nippoldt,   Oakwood,   veduta dell’installazione presso The Gallery Apart Roma,   foto di Giorgio Benni
Astrid Nippoldt, Oakwood, veduta dell’installazione presso The Gallery Apart Roma, foto di Giorgio Benni

The Gallery Apart  presents the third solo show by Astrid Nippoldt to be hosted in our art gallery, an artist based in Berlin but cosmopolitan by vocation, as shown by the series “OAKWOOD” presented for the first time in Italy. If, for the previous project titled “Pattern of Paradise (Cape Coral)” the Rome exhibition represented a prelude to the following presentation in the museum spaces, now the order is reversed, Oakwood in fact has been presented for the first time at the Museum Kurhaus Kleve in Germany, also accompanied by a catalogue now available at the art gallery.
Nippoldt points her videographic lens towards China, but it is just a pretext to frame particular and transitory human behaviours from which drawing universal ideas and suggestions. As she knew about it almost by chance, thanks to a friend of the artist who was living in one of the Oakwood residencies (over 25, 000 residencies worldwide offered to temporary communities of male and female corporate travelers), Nippoldt is particularly intrigued by the side effects on the existences of the expatriates’ spouses who decide to follow his or her life partner.
As she went to Beijing to live in one of the Oakwood residencies, Nippoldt delved herself into a socio-psychological research that shies away from a purely documentary presentation or reportage to instead look for metaphors and visual transformations. The results of this vision are the two videos “Oakwood Garden” and “My Day”. The first video was shot at night in order to recreate the mixture of grotesque and seduction evoked by the place, whereas the second video was shot by filming the outside from an inner perspective as a representation of the border between a cosy, luxury and safe interior and an uncertain and threatening outside.
The two videos do not aim to give two different versions of the same phenomenon. “My Day”, sober and laconic, and “Oakwood Garden”, highly imaginative and colourful, even in the darkness, give rise to a visual ambivalence where melancholy and beauty are mixed into a disturbing synthesis that lets the viewer falling prey to an indeterminate feeling. If, on the one hand, “My Day” produces a tragicomic short circuit, also by virtue of the male gender of the protagonist that makes him even lonelier in the splendid isolation of the residence; on the other hand, “Oakwood Garden” feeds on contrasts, between beauty and evanescence, attempts and failures, traps and illusions. Like all the works of art by Nippoldt, the video series is accompanied by a collection of photographs inspired by the same concepts, thoughts and objectives, also enriched with images that, still inspired by real situations, are made unique by the artist’s filter. Likewise, also the videos’ soundtrack sinks its roots in reality, as it consists of original sounds and noises recorded and catalogued by the artist in her own sound-archive.
Astrid Nippoldt moreover has started a blog that will accompany the forthcoming exhibition to document its progress, it is a sort of diary that affords insights into the artist’s imaginary and her artmaking and investigation practices.