ATP DIARY

Le Opere Cartesiane di Mauro Vignando

    *** Una fredda e silenziosa geometria mi accompagna nella visita alla mostra di Mauro Vignando allo spazio torinese Cripta747.  Fuori dallo spazio, un cortile minaccioso rivestito di tubi innocenti mi crea la giusta atmosfera. In realtà li vedo uscendo, ma non importa.  Le sue Opere Cartesiane creano nello spazio un rarefatto silenzio, quasi […]

 
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Una fredda e silenziosa geometria mi accompagna nella visita alla mostra di Mauro Vignando allo spazio torinese Cripta747.  Fuori dallo spazio, un cortile minaccioso rivestito di tubi innocenti mi crea la giusta atmosfera. In realtà li vedo uscendo, ma non importa. 
Le sue Opere Cartesiane creano nello spazio un rarefatto silenzio, quasi metafisico. Semplicemente l’artista parte dall’osservazione dei piani che attraversano un solido o una superfice. 
Non so quanti di voi sanno cos’è un Piano di Monge.
“In geometria descrittiva il metodo di Monge (o metodo delle doppie proiezioni ortogonali) è un metodo di rappresentazione piana di un oggetto nello spazio euclideo. Il suo nome deriva dal matematico francese Gaspard Monge che lo ha introdotto descrivendolo nella sua opera “Géométrie descriptive” (1799).”
Non so se Vignando ha studiato geometria descrittiva ma, caso vuole, che fosse una delle mie materie preferite all’Istituto d’Arte. Silenziosa e quasi filosofica quella disciplina difficilissima creava nelle quattro ore settimanali una sorta di religiosa referenza per linee, piani, solidi e ombre. In quelle ore impugnalo righe e squadre e, come mi insegnavano, tracciavo atmofere e ragionamenti, più che ipotetiche forme solide.
L’installazione di Mauro nello spazio Cripta747 mi ha ricordato quella rarefatta situazione. La sua opera fatta di ‘intersezioni di piani cartesiani a partire dal centro di una boccia dal tradizionale gioco della raffa’ mi ha inglobato in un enorme e opprimente piano di Monge. Quasi dolorosa, l’incisione sulla parete mezza ammuffita non lascia indifferenti. Decisamemte.
Lontano vedo la boccia – Renato Leotta mi racconta che l’artista ha chiesto di spostarla   nello spazio tutti i giorni. 

Un altro lavoro accompagna la mia silenziosa visita, ‘Untitled I, II, III, IV, V’: 5 panelli in tamburatio impiallacciato teak. “Sono una serie di lavori che ricordano mia nonna materna, che vedevo sempre a letto.” L’impiallaciatura, come un’artigianale aureola, incorniciava la ricordata nonna dell’artista: una decorazione che, nelle reminescenze di Vignando, diventa un motivo seriale non privo di una certa insistente bellezza. 

Arrivo alla fine di questo tragitto geometrico avvolta nel buio. Sononel sotterranoe dello spazio, attorniata da calcinatti e muri scrostati. Arriviamo in uno spazio buio dove, con difficoltà si nota una piccola stampa di ceramica spezzata in più parti. La stampa mostra delle foto sovrapposte di due omonimi di nome Mauro Vignando. 

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