
Testo di Laura Lambertenghi —
“La mostra progettata a Lubiana è stata possibile solo perché lui è morto e tu sei viva.” – sono le parole di Lena Pislak, vedova di Ulay, al secolo Frank Uwe Laysiepen, rivolte a Marina Abramović durante una conversazione vis-à-vis trascritta nel volume fotografico LOVE. HATE. FORGIVENESS., pubblicato in occasione della retrospettiva inaugurata lo scorso 30 novembre alla Cukrarna Gallery, nella capitale slovena. Un’istantanea lunga 12 anni di vita intensa, di lavoro frenetico, di arte iconica, di amore, odio, e perdono.
Curata da Alenka Gregorič e Felicitas Thun-Hohenstein, e sotto la supervisione dell’artista serba, e della stessa Lena, che gestisce la ULAY Foundation, ART VITAL presenta l’opera omnia performativacreata dal duo artistico tra il 1976 e il 1988.
Nulla è lasciato al caso, a partire dalla scelta del luogo, la città slovena dove Ulay ha vissuto gli ultimi dieci anni della sua vita insieme a Lena, spegnendosi nel 2020. Anche la data di inaugurazione è simbolica: il 30 novembre è infatti il compleanno di entrambi, ed il giorno in cui si sono conosciuti ad Amsterdam nel 1975, allora un vero colpo di fulmine che ha visto la genesi di uno dei sodalizi più importanti della storia della performance art e dell’arte contemporanea.




La mostra si articola sui quattro piani della galleria, un ex-zuccherificio, senza seguire un preciso ordine cronologico o tematico, e già all’ingresso si è messi di fronte, da una parte, alle origini: l’idillio del nuovo amore, la tensione sessuale, i primi cinque anni di nomadismo vissuti in un van comprato dalla polizia francese, concentrati sul viaggio intimo e artistico durante la quale vengono concepiti il manifesto Art Vital, struttura concettuale e guida pratica di arte e vita, e opere pioneristiche come Relation Works, Birthday Performances, e That Self (1976-1980); dall’altra parte si assiste all’aspra fine del sentimento, l’ultimo saluto teatralmente inscenato con la celebre camminata sulla Grande Muraglia cinese, The Lovers: The Great Wall Walk (1988).
Da umili visitatori si diventa voyeurs di un rito ancestrale, dove due fuochi si attraggono e al contempo si combattono; si rimane indecisi se parteggiare per lei, che è disciplina, lavoro, presenza, o per lui, che è caos, complessità, tensione. Solo il tempo sembra domarli, nello scandire i loro movimenti ripetuti quasi all’infinito per mantenere costante l’energia che si sprigiona da ogni atto performativo.
Sfiniti, claustrofobici, avendo forse oltrepassato il limite della vulnerabilità del singolo – Ulay sopraffatto dal successo perde ogni spinta creativa, Marina guidata dal rancore, si salva solo con il “…lavoro, lavoro, lavoro.” – nel 1988 la relazione artistica muore, quella personale passa da una lunga fase di odio al liberatorio perdono reciproco.
Tutto sommato come una qualunque, anonima, storia d’amore.
Cover: Ulay / Marina Abramović Breathing In/ Breathing Out Performance 16 minutes Stedelijk Museum, Amsterdam March 1978 © Ulay / Marina Abramović Courtesy of the Marina Abramović Archives









