“Siamo in Toscana, circondati da bellezze indescrivibili. Decenni fa abbiamo deciso di mettere la nostra ‘goccia’. Abbiamo scelto mi chiamarci ‘continua’ proprio per dire: abbiamo tanto, dal passato, penso al Rinascimento. Vogliamo tentare di lasciare qualcosa oggi, che rimanga nel futuro. Questa è stata la nostra ‘continuità’ con l’arte: cercare di essere presenti, in modo orizzontale, in altre parole, lasciare qualcosa per tutti. Già negli anni ’90, quando abbiamo aperto, pensavamo che la cultura aiuta a crescere, a oltrepassare le frontiere, a capire che le differenze sono importanti per stare insieme, per crescere insieme e migliori. Assieme a Mario e Maurizio, abbiamo iniziato questa avventura perché credevamo profondamente che la cultura sia un modo per unire. In onestà non pensavamo di arrivare fino a qui. Ricordo, perché per me è importante, che siamo partiti per passione, tant’è vero che le prime vendite significative sono iniziate dieci anni dopo l’apertura, nel 2000. Ed è proprio nel 2000, grazie alla mostra ‘pazzesca’ di Chen Zhen, che abbiamo imparato non solo ad amare le differenze globali, ma ci ha dato la possibilità di crescere. Da lì siamo andati avanti, aprendo gallerie straniere in Cina, all’Avana, a San Paolo, a Parigi. Tante volte mi chiedono: ma come avete fatto? Sinceramente non lo so! Non abbiamo mai fatto un business plan… Siamo andati avanti con il ‘cuore’. Amiamo gli artisti con cui lavoriamo, e ci amiamo!”
Lorenzo Fiaschi, racconta appassionato gli esordi dell’apertura della Galleria Continua, a fianco degli altrettanto emozionati, Mario Cristiani e Maurizio Rigillo, suoi “compagni di viaggio” che, trentacinque anni fa, hanno fondato quella che sarebbe diventata una tra le gallerie internazionali d’arte contemporanea più conosciute, non solo in Italia. Ed è proprio in occasione dell’anniversario del 35esimo anno dalla sua apertura che i tre galleristi hanno presentato una ‘due giorni’ ricchissima di presentazioni, inaugurazioni, performance e, non ultima, occasioni per scoprire, grazie ai loro racconti, molti aneddoti e vicende che hanno contrassegnato la loro esperienza nell’arte contemporanea.



San Gimignano ha fatto da cornice alle giornate del 20 e 21 settembre, regalando ai tanti collezionisti, artisti e professionisti invitati a commemorare la galleria; luoghi decisamente speciali, che esulavano dalle sedi storiche espositive – gli spazi della galleria in Piazza della Cisterna – per scoprire il Complesso di Santa Chiara, la Chiesa di San Jacopo, il Torrione Sant’Agostino e Rocca di Montestaffoli. In questi luoghi densi di storia e cultura artistica, hanno ospitato una serie di performance programmate per riattivare alcune installazioni e interventi che alcuni tra i più importanti artisti della galleria hanno appositamente pensato per questi luoghi.
In una nicchia della Rocca di Montestaffoli, è diventata un’opera permanente l’installazione di Kiki Smith, Jellow Girl (2003-2010). Concepita anni prima, quest’opera è parte di una serie di tre sculture – Blue Girl e Red Girl – che l’artista aveva portato in Toscana in occasione di Arte all’Arte: un progetto ideato e organizzato da Associazione Arte Continua con l’obiettivo di promuovere i comuni della provincia di Siena e Firenze come distretto artistico. L’artista statunitense ha in seguito donato a tre comuni della Valdelsa le opere. Simile nella forma, le opere mostrano l’effige di una bambina seduta silente, statica e meditabonda, la cui presenza doveva ‘sorvegliare’ il luogo, altrettanto intatto e per molti versi metafisico.
Jellow Girl e stata collocata a San Gimignano, mentre le altre due sculture hanno trovato sede in altrettanti luoghi suggestivi. A Colle Val d’Elsa, in uno spazio di passaggio che collega la parte vecchia dalla parte nuova della cittadina è stata installata Red Girl, mentre Blue Girl osserva i passanti da una nicchia della Fortezza Medicea di Poggio Imperiale a Poggibonsi. Tutte e tre le sculture sono attorniate da lampadine di cristallo che scendono dal soffitto, quasi fossero una pioggia di pensieri, illuminazioni inafferrabili e misteriose.
Per ‘riattivare’, le sculture della Smith, una serie di ballerine della Scuola di Danza di San Gimignano A.S.D hanno dato vita ad una serie di balletti, riprendendo le sembianze, i colori, e ‘vivificando’ la grazia intrinseca delle tre sculture.




Un’altra opera ‘riattivata’ per questa particolare occasione è la grande installazione concepita da Jannis Kounellis nel 1994, Senza Titolo, davanti alla piccola Chiesa di San Jacopo. L’artista, dialogando con l’edificio sacro di origini medioevali, ha concepito un’installazione che fa eco al campanile a vela della chiesa.
Raccontava l’artista in merito a quest’opera: “…Il lavoro è alto quanto la chiesa di San Jacopo, assomiglia a un campanile, con la differenza che ha la campana stregata che non si muove e che si vede che non si muove…. Mi piacerebbe che il ferro con il quale è disegnato fosse visto di pomeriggio, perché la silhouette a quell’ora è scritta tra il muretto di fondo e il cielo, e con il suo tettino di ferro somiglia alle crocefissioni di campagna, di ferro, o alle croci all’estremità delle torri, oppure alle inferriate delle case abbandonate. Quello che a me importa è che non sia considerato una scultura, ma una grafia sul muro segnato dal tempo.” (Jannis Kounellis, Affinità. Cinque artisti per San Gimignano, mostra a cura di G. Briganti e L. Laureati, Firenze, Studio per Edizioni Scelte, 1995).
Il pubblico ammirato per la grande installazione dell’artista greco, ha potuto assistere alla performance canora di un gruppo di cantori il Gruppo Polifonico Madrigalisti Senesi diretto dal Maestro Elisabetta Miraldi che ha eseguito all’interno della chiesa una serie di brani di musica sacra – cantati a cappella, senza nessun accompagnamento strumentale – che hanno spaziato da componimenti cinquecenteschi a brani più recenti.
Idealmente il giro di rivisitazioni termina con l’impressionante e suggestiva installazione di Anish Kapoor, Underground del 2005 nel Torrione Sant’Agostino. Spazio angusto e buio, altissimo ma dal diametro contenuto, il torrione è interamente occupato da una sorta di grande crisalide dalla superficie rugosa e granulare. L’accesso al fondo del Torrione è possibile grazie ad una piccola scala di metallo che consente di ammirare dal fondo questa presenza misteriosa, chiusa nella sua perfetta essenzialità. Nel piccolo giardino antistante al Torrione, abbiamo assistito alla performance di al monologo di Fabio Facchini, tratto da Absence di Byung-Chul Han.




Un evento decisamente speciale di questa ‘due giorni’ commemorativa è stata la performance di Arcangelo Sassolino e del violoncellista veneto Mario Brunello nel cortile del Palazzo Comunale.
L’artista vicentino ha presentato la scultura performante ‘Forma Invisibile’ (2025) in dialogo con le sinfonie suonate dal musicista. Quest’ultimo ha raccontato, prima di eseguire i brani di musica classica, guardando il suo strumento e l’installazione di Sassolino formata da un grande pezzo di legno di ciliegio, bloccato da una pressa e due tiranti in accioio: “I due pezzi di legno parlano attraverso i suoni, che sono dentro la materia. C’è una bellissima definizione di Sofija Gubajdulina, una compositrice russa, che dice che il violoncello ha un corpo che ha un sistema nervoso che è fatto dalle corde; corde che hanno un’altissima tensione, vibrano per la loro tensione. Questa vibrazione viene data dall’aria prodotta dall’arco che strofina le corde. Questo è un corpo che ‘trema’ dalle vibrazioni del legno. La musica che suona questo strumento è sempre alla ricerca di arrivare a uno scopo, che è quello di iniziare dal silenzio e finire dal silenzio.” Ed è proprio di silenzio che si nutre la performance di Brunello e Sassolino. Ai controllatissimi suoni del violoncello – il violinista suona componimenti di Bach – rispondono i rumori sordi, casuali, gli scricchiolii o i suoni a volte molto acuti, prodotti dal blocco di legno di ciliegio che, sotto lo sforzo costante di un perno, viene piegato in due, in modo inarrestabile. Dal silenzio iniziale e perfetto e dalle altrettanto perfette, geometrie del blocco di legno, si giunge dopo pochi minuti, a fine performance, a un nuovo silenzio carico di tensione che contempla la dissoluzione della perfezione del legno, ridotto a fibre slabbrate e minacciose: il legno sembra rivelare la sua essenza di elemento deperibile, muto nella sua ormai passata perfezione.


Dopo l’immersione tra luoghi antichi e bellissimi a San Gimignano,le giornate di festa per i 35 anni della gallerie sono culminate in una inaugurazione collettiva di quattro mostre: Yoan Capote, Ruido Blanco, Chen Zhen, Villages sans frontiéres, Alice Kwade, Vestigia e Michelangelo Pistoletto, La Soglia.
Artista fondamentale per l’avvenire dei tre fondatori della Galleria Continua – Cristiani, Fiaschi e Rigillo, lo incontrarono nel lontano 1999, in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia – Chen Zhen (1955-2000) non poteva mancare con la sua opera in questo particolare momento commemorativo della Galleria. Dell’artista sono presentate due installazioni significative: Zen Garden (2000)- una delle opere che Chen Zhen realizza nel 2000 per la sua prima mostra personale negli spazi di Galleria Continua – e fa parte di un ciclo di opere incentrate sulla rappresentazione del corpo umano e dei suoi organi interni. Un recinto poligonale di legno ospita al suo interno piante, sabbia, ghiaia, e dei grossi bozzoli bianchi traslucidi intervallati da pesanti strumenti chirurgici, come bisturi, forbici e divaricatori. Zhen racconta con questa installazione la sua idea di corpo in relazione con il mondo, con l’ambiente. Chiaro scuro, pesante leggero, fragile e robusto: attraverso la dicotomia dei materiali mette in relazione la reperibilità del corpo, il suo essere cagionevole ma comunque in relazione con l’ambiente naturale che per certi verso lo accoglie e assorbe. Chen Zhen sognava di costruire sulle colline toscane il suo Zen Garden.
L’altra installazione Fu Dao / Fu Dao (1995), nasce per un incontro inaspettato dell’artista con una scritta in cinese che significava ‘buona fortuna’. Attraverso un gioco di parole, Chen riflette sull’assonanza tra la parola ‘al contrario’ che suona in cinese come ‘arrivo’, e tra le parole ‘buona fortuna’ e ‘Buddha’ entrambe pronunciate con ‘Fu’. L’ambiguità linguista dei suoni della lingua cinese lo portano alla realizzazione della grande installazione presente a San Giminiano, Fu Dao / Fu Dao. Riflettendo e mettendo in relazione molti concetti – tradizione e modernità, tra spiritualità e materialismo, tra Oriente e Occidente – l’artista trascende per molti versi l’alto e il basso dando vita ad un’installazione forma da un’alta struttura in metallo da cui scendono, appese capovolete, decide di piccole statue di Buddha rovesciati. Sopra di essi, accatastati e capovolti un’accozzaglia di oggetti trovati – lavatrice, bicicletta, lampada, pneumatici, piccoli elettrodomestici ecc. – avvolti da rami e arbusti vari.
Il titolo della mostra alla Galleria Continua, Un Village sans frontières, è mutuato da un lavoro del 2000. L’artista utilizza delle candele per costruire un “villaggio universale” composto dal numero simbolico di 99 sedie per bambini raccolte in tutte le parti del mondo. “Il fatto di utilizzare delle candele (in Cina la candela è simbolo della vita di un uomo) ha un senso particolare: costruire un villaggio senza frontiere, che spetta a noi iniziare – dichiarava Chen Zhen – ma la nostra speranza è sempre rivolta alle generazioni future”.
Cover: Chen Zhen, Zen Garden (2), 2000, alabastro, metallo, legno, sabbia, piccoli sassi, lampadine, piante di plastica, 175 × 340 × 300 cm, Courtesy: GALLERIA CONTINUA, Foto: Ela Bialkowska



