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Incertezza, probabilità e possibilità nell’arte – “The Quantum Effect” allo SMAC – San Marco Art Centre, Venezia

"Abbiamo creato una mostra che sfida la natura e il significato delle cose: opere d’arte, film, esperimenti scientifici, teorie quantistiche e le loro rappresentazioni simboliche" Daniel Birnbaum e Jacqui Davies

“Andare dietro, oltre, al di là”: utilizzano spesso queste parola Daniel Birnbaum e Jacqui Davies, i due curatori dell’affascinante mostra “The Quantum Effect” ospitata allo SMAC – San Marco Art Centre a Venezia (fino al 23 novembre, prodotta da SMAC e OGR Torino) che ospita le opere di Dara Birnbaum, Isa Genzken, Ilya Khrzhanovskiy, Jacqui Davies, Jeff Koons, Tomás Saraceno, Mark Leckey, e Marcel Duchamp/Man Ray.
“Formule scientifiche e concetti complessi da una parte, immagini e opere dall’altra. Ci siamo chiesti: ma è possibile fare una mostra di questo tipo? Abbiamo accettato una sfida forse impossibile. Sotto l’insegna della stranezza, siamo fin da subito stati consapevoli che fare una mostra sulla ‘meccanica quantistica’ sarebbe stata una impresa molto ardua. La nostra ambizione è stata quella di capire o tentare di ipotizzare come la fisica quantistica può aver avuto un impatto sulle opere d’arte.” Birnbaum sembra quasi voler prendere delle precauzioni sull’esito di una mostra che, in più momenti, risulta decisamente “impossibile”. E l’impossibilità sembra essere decisamente coerente con, appunto, la meccanica quantistica. Dalla sua nascita, infatti, l’influenza rivoluzionaria è stata di importanza incommensurabile. Conquista scientifica monumentale, le sue scoperte hanno minato l’intero assetto attraverso cui la realtà era stata compresa per secoli. La natura non è più statica, misurabile, osservabile ma diventa fluida, discontinua e governata dalle probabilità: l’energia è organizzata in quanti distinti, le particelle si comportano come onde e l’osservazione stessa influenza la realtà così come la conosciamo. Con la fisica quantistica, il sogno di un cosmo perfettamente prevedibile e causale ha lasciato il posto a un paesaggio di ‘incertezza’ e a una scienza basata sulla previsione e sulla probabilità. 

A introdurre la mostra, oltre a Birnbaum e Davies, è intervenuto anche professor Ulf Danielsson, docente di fisica teorica e Segretario del Comitato Nobel per la Fisica. “ Le equazioni matematiche, ma la stessa matematica è un linguaggio vero e proprio che descrive la natura in modo diverso rispetto a come siamo soliti raccontarla. La matematica cerca degli schemi misurabili per rappresentare come sono le cose ‘dietro’ alla loro apparenza. In altre parole, è un linguaggio perfetto per quantificare la natura. Possiamo dire che le equazioni cercano di semplificare concetti molti profondi, con eleganza.” Sottolinea il concetto di ‘eleganza’ Danielsson, “La vera bellezza sta nella semplicità inaspettata. E posso dire che le formule matematiche tendono a fare proprio questo: rappresentare cose complicate con bellezza e semplicità. Dietro alla complessità del reale ci sono simmetrie, relazioni che, viste con il linguaggio scientifico, posso anche essere molto semplici. ‘Eureka’! Potremmo esclamare quando una formula riesce a trovare la soluzione di un difficile problema . Senza contare che più un concetto è oscuro e misterioso, più la matematica e la scienza può portare luce su concetti affascinanti. La scienza da sempre si approssima alle soluzioni, si avvicina con ‘umiltà’ alla conoscenza…” Illuminante nelle sue spiegazioni, Danielsson introduce simbolicamente la mostra, mediante il concetto stesso di ‘immagini metaforiche’. Di fatto tutte le opere in mostra tendono, per tentativi e analogie, ad avvicinarsi al concetti ribaditi da Birnbaum: incertezza, probabilità e possibilità.

Vista della mostra “The Quantum Effect”, SMAC San Marco Art Centre, Venezia, 2025. Foto: Enrico Fiorese.

Dove hanno trovato ispirazione di due curatori? Premettendo che il “quantum effect” è rintracciabile nel cinema, nella musica, della letteratura e in altre forme artistiche, Birnbaum e Davies hanno trovato come ideale fonte di ispirazione il romanzo di Raymond Roussel Locus Solus (1914), nel quale uno scienziato presenta invenzioni di crescente stranezza, tra cui otto enigmatici “tableaux vivantsallestiti all’interno di una struttura di vetro. Eccentrico e dandy di professione, padre spirituale della Patafisica, della letteratura potenziale e di quella combinatoria, Roussel nel suo libro ha per molti aspetti intuito che la realtà ‘oggettiva’ era tramata da imprevedibili potenzialità e da altrettanto inaspettate forze vettoriali. Sotto l’insegna della ‘stranezza’, il romanzo racconta dunque non “ciò che è”, bensì “ciò che potrebbe essere”. 

Sviluppata lungo un ‘asse’ di 80 metri – il lungo corridoio che caratterizza lo spazio espositivo di SMAC – la mostra è allestita in 16 sale fruibili partendo dalla stanza di specchi Oil VII (2007), opera di Isa Genzken: punto di partenza o ‘soglia’ decisionale, dove spetta a noi scegliere se andare a destra o a sinistra del percorso. Da questa ‘soglia’, la mostra si sviluppa simmetricamente, come se l’esposizione si svolgesse contemporaneamente in realtà multiple. I due curatori spiegano che questa suddivisione a ‘specchio’, altro non è che una lettura ipotetica di concetti scientifici a cui loro hanno dato una ‘rappresentazione’ artistica; delle ipotesi visive e visionarie, intervallate sia da opere d’arte ma anche da elementi da loro stessi creati: collage cinematografici “entangled” (da “entaglement”: correlazione quantistica) con scorci misteriosi dal mondo della teoria e del calcolo quantistico, oltre a “Science Fiction”, “una linea temporale alternativa che, in linea con il tema della mostra, mette in discussione la nozione di tempo lineare e la natura della realtà.”

Opera immersiva e coinvolgente, Oil VII da Genzkenda il tono e imprinting all’intera mostra: l’ambiente è una stanza interamente coperta di specchi che riflettendo l’un l’altro dando l’illusione di uno spazio infinito e smisurato. In un angolo, un solitario leggio con un collage di immagini di esplorazioni spaziali. A destra di questa stanza si susseguono le opere di Man Ray, Jeff Koons, Tomás Saraceno, Dara Birnbaum, Sturtevant, John McCracken. Ad ogni artista è stato associato, per analogia o allusione, un pensiero scientifico, un esperimento, un’equazione o una teoria. 

Vista della mostra “The Quantum Effect”, SMAC San Marco Art Centre, Venezia, 2025. Foto: Enrico Fiorese.
Vista della mostra “The Quantum Effect”, SMAC San Marco Art Centre, Venezia, 2025. Foto: Enrico Fiorese.

Nella stanza dove è esposta la fotografia del 1923 di Man Ray “Glissière contenant un moulin à eau (en métaux voisins) (“Glider Containing a Water Mill [in Neighboring Metals]”) (1913–15) – che ritrae Marcel Duchamp sdraiato dietro la sua prima opera in vetro – è associata l’equazione di Schrödinger. Per molti versi, a mio parere, questa associazione rivela la logica dell’intera mostra. 

Il gatto di Schrödinger è un celebre esperimento mentale ideato da Erwin Schrödinger per illustrare le stranezze della meccanica quantistica, in particolare il principio di sovrapposizione quantistica. L’esperimento ipotizza un gatto chiuso in una scatola sigillata con un congegno contenente un atomo radioattivo, un contatore Geiger e una fiala di veleno. Finché la scatola rimane chiusa e non si osserva il sistema, l’atomo si trova in uno stato di sovrapposizione (decaduto e non decaduto), e di conseguenza, anche il gatto si troverebbe contemporaneamente in uno stato di essere sia vivo che morto. Questo esperimento rivela dunque l’idea che i sistemi quantistici posso esistere in più stati simultaneamente fino al momento in cui l’osservatore ne determina lo stato.
Così anche l’attitudine – immortalata non a caso da Man Ray – di Duchamp nel vedere nel vetro sia un mezzo sia una metafora, una fragile soglia tra ciò che è visibile e ciò che può essere immaginato oltre.

In altre stanze, concetti complessissimi come l’equazione di campo di Einstein è associata all’opera di Jeff Koons One ball total equilibrium tank, del 1985; Il principio di indeterminazione di Heisenberg – descrive come le proprietà quantistiche evolvano nel tempo all’interno di uno spazio astratto che racchiude tutte le configurazioni possibili di un sistema – è associata al video In To the Old World di Mark Leckey, dove un ragazzo attraversa una membrana invisibile (una lastra di vetro) che lo trasporta da un mondo all’altro; la teoria della stringe è associata alle bellissime ragnatele contenute all’interno di teche di Tomás Saraceno. Nelle Hybrid Webs (2014), l’artista vede la struttura del mondo come una rete intrecciata di esperienze sensoriali che si combinano e si scontrano per favorire la comunicazione tra le creature che abitano la nostra galassia.  Al teletrasporto quantistico – processo attraverso il quale lo stato quantico di una particella viene trasmesso da un luogo a un altro – per analogia è associato il video Wonder Woman (1978–79) di Dara Birnbaum: mostra la supereroina nel momento del teletrasporto, il suo corpo che ruota trasformandosi dal personaggio quotidiano al suo alter ego sovrumano. 

Spiegano Daniel Birnbaum e Jacqui Davies: “così come la natura paradossale della fisica quantistica sconvolge la nostra comprensione della realtà, abbiamo creato una mostra che sfida la natura e il significato delle cose: opere d’arte, film, esperimenti scientifici, teorie quantistiche e le loro rappresentazioni simboliche. Anche i ruoli distinti di curatore, produttore e artista vengono sovvertiti: esperimenti-installazioni e interventi concepiti dai curatori vengono esposti accanto a opere di artisti acclamati. Talvolta, fatto e finzione si fondono, protagonisti chiave della fisica quantica vengono rianimati e le linee temporali tradizionali trasformate in: ‘Science Fiction’. In questo mondo straordinario, Davies assume il ruolo di artista, realizzando opere che strumentalizzano il cinema di fantascienza, la cultura popolare, i social media e molto altro, costruendo portali audiovisivi tra i mondi dell’arte, del cinema, della scienza, della filosofia e della magia”.

Cover: Oil VII (2007), opera di Isa Genzken – Vista della mostra “The Quantum Effect”, SMAC San Marco Art Centre, Venezia, 2025. Foto: Enrico Fiorese.

Vista della mostra “The Quantum Effect”, SMAC San Marco Art Centre, Venezia, 2025. Foto: Enrico Fiorese.