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Il significato metaforico del mare | Dominique White alla Collezione Maramotti

"Il mare è un luogo di fantasiosi e insondabili afrofuturi che rifiutano le idee di colonizzazione dello spazio, e che sfumano la definizione di Umano o umanoide.” Dominique White

Prima di scegliere i materiali per le sue sculture, siano essi legno, metallo, corde o stoffe, Dominique White, sceglie delle parole, naviga tra concetti e sillogismi, per dare un contesto al suo lavoro, per creare un ‘ambiente’ che sia prima di tutto “di pensiero”. In seguito arrivano le sculture, la loro lavorazione, il processo che ne determina la forma, la loro collocazione.
Dominique White, nata a Londra nel 1993 da una famiglia origini caraibiche, vive come le sue opere, in molti luoghi e situazioni, tanto da fare del nomadismo (da comprendere con un’eccezione decisamente poetica), una delle caratteristiche della sua ricerca. In altre parole potremmo definirla una ‘cittadina del mondo’, che ha  fatto del suo lavoro una forma espressiva per raccontare storie secolari, avvenimenti, spesso oscuri, di persone costrette a migrare come gli schiavi, gli oppressi, la cui esistenza valeva poco o nulla. 

Grazie alla vincita del premio biennale Max Mara Art Prize for Women, Dominique White propone la mostra Deadweight, ospitata a luglio alla Whitechapell di Londra, per poi essere rivista con un nuovo allestimento alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia (visitabile fino al 16 febbraio 2025). 
La mostra inizia da titolo, Deadweight tradotto in italiano tonnellaggio di portata lorda – e rappresenta il peso massimo in tonnellate metriche di tutto il carico mobile che una nave può trasportare in condizioni di sicurezza. Letteralmente deadweight, significa anche ‘peso morto’, concetto che, per molti versi, rientra nei suoi ragionamenti. L’artista, infatti, per questa mostra ha scelto di “immergersi” nel mar Mediterraneo, per darne una visione e un racconto tragico e, al tempo stesso, visionario. Nella lunga residenza compiuta in Italia – organizzata della Collezione Maramotti – White ha potuto scavare e confrontarsi con molti ricercatori, accademici e specialisti di storia navale e marittima, nonché studiosi di tratta mediterranea degli schiavi. Intrecciando alla sua esperienza come migrante privilegiata, le sue scoperte, la White ha dato vita a una mostra che vuole suggerire le tante storie tragiche, probabilmente poco raccontate, di soprusi e dolore inflitto, di sottomissioni e crudeltà legate alla tratta degli esseri viventi da una prospettiva sia storica – le prime tratte risalgono al XIV secolo e riguardavano principalmente musulmani – che contemporanea, visti i fatti di cronaca quotidiana che, come bollettini di guerra, ci informano dei dispersi in mare nel tragitto che dal nord Africa al Mediterraneo orientale, cercano di raggiungere l’Europa. 

Dominique White Deadweight 2024 veduta di mostra Collezione Maramotti, Reggio Emilia Ph. Dario Lasagni

C’è una parola che più di altre affascina nella ricerca della White, mi riferisco a “idrarchia”. Il concetto risale a Edward Braithwate che nel 1631 aveva scritto che i marinai vivevano in una “idrarchia”, indicando con questo termine l’ordine sociale della vita in mare – la parola significava letteralmente “il governo sull’acqua”. Leggi, comportamenti e speranze legittime per vivere in mare. Da questo contesto, che è prima di tutto concettuale, l’artista ha dato vita a quattro grandi sculture che suggeriscono una nuova e diversa dimensione del mare: forte e fragile, visionario ma estremamente reale. Sembra un sofisma il connubio tra visionario e reale, in realtà la bellezza delle sculture si genera proprio dalla capacità dei materiali, nella loro cruda e forte pesantezza, di generare delle pregnati visioni che richiamano la potenza dei mare, la sua mobilità, la sua veemenza distruttiva, ma anche la sua capacità di essere tramite, via di comunicazione, passaggio – si spera – unificante e costruttivo. 

Da qui la forza generatrice del mare, sia visionaria che tangibile. Le sculture, infatti, nascono come trasformazione di forme che richiamo un’ancora, lo scafo di una nave, ma anche alludono agli scheletri di animali marini, carcasse arenate nelle spiagge. Da vigore e concretezza a queste allusioni, sapere che l’artista, tra i processi di lavorazione della opere, c’è stato anche quello che consisteva nell’immergere le sculture nel mare: “gesto sia fisico che poetico per esplorare l’effetto trasformativo dell’acqua sugli oggetti materiali.” Il risultato ha dato vita ad una sorta di “pelle” fatta di ruggine e ossidazione dei metalli, ma ha anche comportato la trasformazione stessa dei materiali: gli elementi organici come sisal, rafia e pezzi di legno trovati alla deriva, oltre a portare con sé l’aroma dell’acqua di mare, raccontano di moti ondosi, di movimenti circolari e turbinii di acque, di moti gravitazionali e tempeste… 

Il risultato ha dato vita a opere molto coinvolgenti dalle forme dinamiche. La scultura the swelling enemy è caratterizzata da  peduncoli che sembrano fluttuare nell’aria, in realtà sono rigide forme tubolari in metallo che terminano con delle forme appuntite. Questi steli sono generati da un corpo più grande, solido, che trattiene le forme allungate su cui sono impigliate quelle che sembrano reti o abiti smessi.

Dominique White split obliteration 2024 Legname, carbone polverizzato, ferro forgiato, fil di ferro, sisal, rafia, vele danneggiate, cordoni consumati Ph. Dario Lasagni

L’opera split obliteration, sembra un marchingegno di salvataggio, una turbina abbandonata che ha salvato vite, racconta di tensioni ed energie recuperare. Intrecci, nodi, reti strappate e sacchi pieni di sabbia a tenere saldo quello che sembra un monumento alle esistente perdute tra affanni e ambizioni. Anche qui ritornano le forme tubolari, aggressive nelle loro terminazioni minacciose.   

Nella sua lunga e approfondita conversazione con Bina Von Staffenberg (nel catalogo prodotto in occasione del Premio Max Mara Art Prize for Women), in merito alla sua attuale ricerca, l’artista parla del mare “come un luogo di impossibilità, di appiattimento del tempo e di rifiuto dell’ordine. Queste sono le idee su cui si basa la mia ricerca tutt’ora in corso, “Shipwreck(ed)” (Naufrag(i)o), 2018-in corso, una pratica in un continuo cordoglio che si è trasformato in una rivolta, o ribellione, contro la terra. Il mare è un luogo di fantasiosi e insondabili afrofuturi che rifiutano le idee di colonizzazione dello spazio, e che sfumano la definizione di Umano o umanoide.” 
Continua l’artista spiegando un concetto a lei caro, l’afrofuturismo, come un “futuro impossibile. Quando uso la parola impossibile, non intendo dire che sia impossibile da realizzare. E’ solo impossibile da immaginare considerando i vincoli odierni della società. E’ qualcosa che va completamente contro la rappresentazione attuale del futuro o dei principi del capitalismo, dello Stato nazionale e così via. E’ un annullamento di tutto questo”. 
Da questa liquidità di pensiero, da questa augurale impossibilità di immaginazione – dove non si immagina lo spettro delle possibilità di moltiplicano in modo esponenziale – nascono le opere della White: tentativi o suggestione per rivedere la storia e le tante narrazioni che la sostanziano, con nuove prospettive scevre da stereotipi oppressivi, colonialismi intellettuali e non ultimo, supremazie “maschili, bianche e occidentali”. 

Cover: Dominique White the swelling enemy 2024 Legname, ferro forgiato, sisal, rafia, argilla caolino, vele danneggiate Ph. Dario Lasagni

Dominique White ineligible for death 2024 Legname, ferro forgiato Ph. Dario Lasagni