ATP DIARY

Lontano da chi? Siamo stranieri in Biennale 

La Biennale di Pedrosa è portatrice di un fenomeno che esula dal mondo strettamente artistico, per abbracciare, non senza ‘buonismo’, tutto ciò che è extra-, tutto ciò che è fuori dalla norma. Mi chiedo se non fosse stato forse più dirompente un titolo come Normali Ovunque.
Aloïse 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Foto Matteo de Mayda
Aloïse 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Foto Matteo de Mayda

Strano, straniero ed estraneo. Altro da noi, diverso. Questi i primi significati che affiorano dal titolo scelto da Adriano Pedrosa per la 60ma edizione della Biennale di Venezia. Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere suona decisamente inquietante: essere senza patria in ogni dove, essere estranei all’ambiente e alle persone. Il titolo non è né positivo né promettente. Ma è lo stesso curatore a suggerire che Stranieri Ovunque potrebbe immediatamente cambiare di segno se proclamato come motto, uno slogan, un invito all’azione, un grido di gioia: STRANIERI OVUNQUE!
Nel suo testo introduttivo, Pedrosa scrive, sotto quella che leggiamo come un motto gioioso, una cifra allarmante: 108,4 milioni sono le persone – “migranti forzati” – costrette ad abbandonare il proprio paese. Ecco allora che questa Biennale è portatrice di un fenomeno che esula dal mondo strettamente artistico, per abbracciare, non senza ‘buonismo’, tutto ciò che è extra-, tutto ciò che è fuori dalla norma. Mi chiedo se non fosse stato forse più dirompente un titolo come Normali Ovunque. 
La questione, a mio parere, è: cosa ci aspettiamo dalla Biennale di Venezia? Che aspettative abbiamo per una mostra eccessivamente grande che ogni anno ingrossa le sue file di nuove presenze provenienti da luoghi sempre più esotici e lontani?
Ci aspettiamo, credo, che diventi la cartina di tornasole dello stato delle ricerche più all’avanguardia del momento. Attendiamo che ci mostri – a volte in modo spettacolare e d’impatto – le migliori opere degli artisti più meritevoli, più ambiziosi, più capaci di raccontare, appunto, chi siamo, cosa facciamo e dove stiamo andando. Con poesia, con acuto spirito di osservazione, con imprevedibile estro visionario, speriamo di vedere delle opere che sappiano narrare alcune forme del contemporaneo che abbiamo intuito ma non abbiamo ancora compreso, messo a fuoco. Ci aspettiamo, detta così, l’impossibile, la preveggenza. A maggior ragione se il ‘contemporaneo’, l’oggi, è così complesso, condiviso, simultaneo e vicinissimo. Tutto ciò che accade è a portata di tutti e dunque tutti sono testimoni, in via teorica, di tutto, in qualsiasi parte del mondo. 
Da qui uno degli aspetti che più mi hanno colpito di questa Biennale, che si vuole inclusiva, democratica e sintesi di un’artistica ubiquità. 

Abel Rodríguez 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Foto Matteo de Mayda – Courtesy: La Biennale di Venezia
Marlene Gilson 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Foto Marco Zorzanello – Courtesy: La Biennale di Venezia

Dando un’occhiata alla biografia degli artisti in mostra, molti sono i casi in cui ho trovato delle caratteristiche che mi hanno sollecitato più di una riflessione. Esempi: Karimah Ashadu, nata in Nigeria nel 1985 e attualmente di casa tra Londra e Amburgo. Leilah Babirye, nata in Uganda nel 1985, ma ora stabile a New York; Sol Calero, attualmente a Berlino, ma nata nel 1982 a Caracas, Venezuela; Chaouli Choukini, nato in Libano nel 1946, ma trasferitosi a Parigi negli anni ’90; Beatriz Cortez, nata a San Salvador nel 1970, ma di casa a Los Angeles; Victor Fotso Nyie, nato in Camerun nel 1990 e attualmente a Faenza, Italia. Naur Jaouda, libica nata al Cairo nel 1997, ma ora a Londra ecc. ecc.
Insomma, in Biennale ci sono tantissimi artisti nativi di luoghi lontani, ma, alla fine, la gran parte di loro si è formata in capitali Europee o nord americane. Da qui, la domanda lecita, sono così rappresentativi del loro territorio d’origine? 
Pedrosa ha messo al centro di Stranieri Ovunque, outsider (meravigliosa la scoperta di Aloise Corbaz, vissuta in un ospedale psichiatrico), queer (i “manifesti” di Dean Sameshima tra i tanti altri) per legittimarne l’opera, per imporla ad un vasto pubblico, per creare un precedente come invito ad approfondire e spaziare oltre i nostri confini, non solo culturali ma anche estetici. 
Ma torniamo alla mia perplessità: basta la lontananza geografica per legittimare una validità espressiva che – scusate se sono brutale – viene colmata da uno schermo e una buona connessione? 
E poi la seconda questione è: quali domande dobbiamo porci di fronte ai paesaggi aborigeni di Marlene Gilson (Wadawurrung, Australia 1944)? Alle dettagliate vegetazioni (è un botanico!) di Abel Rodrìguez (Cahunarì, Colombia 1944) o ai quadri della afro-messicana autodidatta Aydeé Rodriguez Lòpez (Cuajinculapa, Messico 1955) che dà voce alle comunità nere in Messico?
Originalità, autenticità, simbologie, approfondimenti filologici, attinenze con l’antropologia… insomma quali strumenti dobbiamo affinare per giudicare i tantissimi lavori in mostra? Se abbiamo difficoltà non solo nel capire ed empiricamente calarci nelle tante realtà, a volte estreme, di questi artisti, non si sommano a queste problematicità anche le questioni di ordine prettamente estetico?

Antonio Jose Guzman & Iva Jankovic Orbital Mechanics, from the Electric Dub Station series, 2024 Ajrakh Hand Block Printed Indigo Dyed Fabrics printed Site Specific Installation 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Variable Dimensions Foto Marco Zorzanello – Courtesy: La Biennale di Venezia

Istintivamente, ‘alla buona’, vorrei sbottare: questa Biennale non mi piace! Non si avvicina al mio gusto, al linguaggio espressivo che ho sempre seguito, ma non solo, anche le tematiche, le sento lontane, altre, “straniere”.  Da qui, dunque, la necessità di andare oltre alla mia prima (devo ammetterlo) autentica reazione, per cercare di capire; o forse per cercare di essere sensibile a tutto ciò che mi è estraneo, che non capisco. Perché se è solo un problema di gusto, cassare questa 60ma edizione è anche deplorevole. In altre parole, dobbiamo sentirci cattivi e insensibili perchè semplicemente troviamo ‘brutti’ molti dipinti, sgraziate alcune figure, ingenue alcune soluzioni formali, eccessivamente decorativi alcuni esiti stilistici?
All’abisso incolmabile tra la forma e il contenuto – tecniche e linguaggi da una parte, concetto dall’altra – si aggiunge anche la provenienza geografica dell’artista, la sua propensione sessuale, non ultima, la sua piena o parziale sanità mentale (mi rifaccio alla presenza degli outsider). La faccenda diventa molto complicata, assurdamente complicata verrebbe da pensare. 
Per sentirci solidali, accoglienti, tolleranti e, in definitiva, buoni, prendiamo la via breve della sospensione del giudizio. Cerchiamo – chi con il lumicino, chi per indole aperta ed entusiasta – le opere che ci sono piaciute, le scoperte (innegabili) che abbiamo fatto tra il Padiglione Centrale e le Corderie; ammiriamo le tante prime volte della maggior parte degli artisti presenti (ho apprezzato molto che spesso nelle didascalie venisse ‘certificato’: “esposto per la prima volta alla Biennale Arte”). Tante prime volte, tanti strani(eri) – come ha intitolato Pierluigi Panza il suo articolo sulla Lettura del Corriere, “Siamo tutti strani(eri)” – tante solidarietà e, alla fine, tante storie di grande, grandissima umanità. 
Forse è questo l’aspetto che più mi ha coinvolto in questa ‘strana’ Biennale: più che le opere, le storie di vita, le persecuzioni, la perseveranza di molti artisti, le lotte e le ingiustizie affrontate, le umiliazioni e le fughe, le salvezze e le emancipazioni. Tante storie da raccontare, ma non so se, raccontate in un quadro naif, in una stoffa altamente decorata o in una scultura tribale siano la cosa più giusta in una Biennale di Venezia. Non credo resterà una Biennale memorabile, non la peggiore sicuramente. La ricorderemo tra le più meticolose nel tentare di portare equilibrio in un mondo decisamente squilibrato, propenso a starsene serrato nei ranghi del privilegi e troppo annoiato per guardare oltre.

Clorindo Testa, Pintura o Circulo negro, 1963 Oil on canvas 150.3 × 150.1 cm Coleccion Malba, Museo de Arte Latinoamericano de Buenos Aires 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere Foto Marco Zorzanello – Courtesy: La Biennale di Venezia
Chaouki Choukini Foto Marco Zorzanello 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque – Foreigners Everywher Courtesy: La Biennale di Venezia