ATP DIARY

WITCHES / brand new | Intervista con Virginia Sommadossi

Cos’e’ Witches / brand new? Virginia Sommadossi: WBN è un nuovo format di Centrale Fies che prevede workshop, azioni di co-learning, public program. Ci teniamo a classificare questo progetto come ”raduno di pratiche”, perché in effetti richiama in uno stesso luogo una serie di pratiche narrate o esperite da antropologhe, storiche, curatrici, performer, poete, ricercatrici […]

WITCHES by Stefania Zanetti

Cos’e’ Witches / brand new?

Virginia Sommadossi: WBN è un nuovo format di Centrale Fies che prevede workshop, azioni di co-learning, public program. Ci teniamo a classificare questo progetto come ”raduno di pratiche”, perché in effetti richiama in uno stesso luogo una serie di pratiche narrate o esperite da antropologhe, storiche, curatrici, performer, poete, ricercatrici e designer, che a a loro volta hanno chiamato a sé persone dagli interessi e dai mestieri più disparati. Ognuna di queste pratiche, da quella puramente collettiva alla più ferocemente individuale, vuole mettere in campo le capacità trasformative della realtà attraverso la divulgazione di saperi e di informazioni. Abbiamo cominciato a immaginare come poter lasciare l’eredità di pensiero alimentando un processo di scambio e apprendimento che travalica le discipline e le conoscenze pregresse, e che possa arricchire il tessuto sociale con nuove prospettive e idee. Siano esse fiction o reali. 

Da quali volontà, idee e ispirazioni è nato il programma

VS: Lavorare quotidianamente in un luogo di ricerca fertile come Centrale Fies, ti mette in connessione un considerevole numero di piccoli grandi accadimenti e di incontri, alcuni voluti, altri casuali che lasciano tracce indelebili o veri e propri fili invisibili ma costantemente reattivi. Avere un lavoro che contribuisce ad alimentare la tua curiosità e allo stesso tempo aiuta a vedere con grande anticipo quelle che saranno alcune delle linee di studio e di ricerca del campo artistico (e non solo) è un grande privilegio, eppure non è il “core” del centro che nasce per ospitare, produrre, e indagare la performance e le sue cifre. Ci siamo chieste come poter condividere anche le conoscenze accidentali, non solo quelle volute e ricercate, tutto questo potenziale di pensiero, di immaginari con il territorio, o con chi fa un lavoro differente dal nostro. Forse c’è stata anche la volontà di provare a risemantizzare il termine “strega”, e di farlo non da sole, ma grazie a un nuovo mash-up di discipline, pratiche e -soprattutto- professioniste. Certamente siamo state ispirate dalle letture di questi anni, a partire dal più classico Storia Notturna di Ginzburg ai saggi della Federici, ma ci siamo accorte di come alcuni immaginari fossero diventati fondanti per molte e molti artisti, e di come il tema della trasformazione delle cose sia implicitamente legato all’atto performativo. Il programma è nato per tessere, anche se solo metaforicamente, il lavoro di ricerca sul femminismo e sul performativo diretta alle Nemesiache di Giulia Damiani, la pratica performativa e poetica di Giulia Crispiani, gli anni di studio della storica Michela Zucca, l’intuizione e l’idea di empowerment femminile attraverso un gioco da tavola della consulente culturale esperta in studi di genere Stefania Santoni, la creatività complessa e ibrida della designer Barbara Bologna, la puntualità e l’impegno quotidiano nel cambiare l’impianto colonialista e razzista del nostro linguaggio della sociologa Mackda Ghebremariam Tesfau’, o le pratiche di progetto di scritture e narrative collettive della curatrice Maria Chemello

WBN nasce dalle ceneri di Trentino Brand New. Quali sono le linee di continuità con quell’esperienza che invece andava a ridisegnare l’immaginario del Trentino? 

VS: Da anni in questo luogo abbiamo fatto della transdisciplinarietà un metodo, e della condivisione dei saperi un qualcosa di imprenscindibile. La costante è stata quella di progettare percorsi-dispositivo capaci di diventare  sistematicamente differenti per ogni persona. In programmi complessi e articolati come questo, che chiedono sforzi cognitivi totalmente differenti da una proposta all’altra, all’interno dei concentrati giorni di programmazione, proponiamo sempre la regola del decidere cosa tenere, cosa scartare e cosa miscelare, per segnare ulteriori differenze di pensiero e immaginario tra le persone iscritte, per scardinare le visioni monolitiche. Coltivare le biodiversità e non chiudersi in un unico pensiero o punto di vista sarà la forza anche di questo nuovo gruppo. Come in Trentino / brand new, quello che proponiamo di vivere in un tempo ridotto e intenso a volte può sembrare dissonante, potrebbe colpire l’immaginazione in modo poetico o perturbante, spesso accompagnando nuove prese di coscienza o accarezzando le già radicate impressioni. Starà a chi partecipa scegliere quali fili intrecciare per i propri  percorsi  professionali e personali, cosa potrebbe diventare strumento di lavoro, progetto futuro o approccio al quotidiano. 
Alla fine l’idea è sempre quella: mettere a disposizione pratiche e immaginari spesso in contraddizione e somministrati in tracce sovrapposte, durante le intense giornate di lavoro. Saranno campionature, voci e strumenti così eterogenei da creare cortocircuiti -speriamo- infiniti. 

Come si posiziona questo programma nelle linee di Centrale Fies?

VS: Sia i workshop che il public program hanno il potere di veicolare attraverso pratiche come il fashion design, la scrittura e la lettura collettiva, azioni di co-learning o la lecture performance, temi di ricerca importanti per Centrale Fies, che riecheggiano in tutte le programmazioni ma che qui possono incontrare un pubblico totalmente differente, più locale e non sempre per forza interessato alle arti performative. Le pratiche di lavoro orizzontali, i femminismi storici ma anche quelli senza genere, i linguaggi inclusivi, gli studi decoloniali, la filosofia politica. 

Virginia Sommadossi

Chi partecipa? Con quali motivazioni o esigenze?

VS: Studentesse e ricercatrici in ambiti quali Arte visiva, Filosofia, Architettura, Cinema, interessate ad approfondire temi portati dai femminismi poiché centrali nei loro percorsi accademici. Ma anche tante persone che conducono professioni al di fuori dall’ambito culturale, spinte dall’urgenza di riconoscersi in un collettivo temporaneo nuovo, esteso e vario all’interno del quale affilare la propria visione sulla parità di genere per crescere come persone e contribuire in modo consapevole a un cambiamento. La sorpresa è stata quella di vedere un gruppo composto da età molto diverse, tra i 22 e i 55 anni, a testimonianza del fatto che molte persone in questo momento storico sentono l’esigenza di confrontarsi, costruire alleanze, scambiare conoscenza, scoprire ed esercitare forme di cura collettiva inedite che a tutte le partecipanti capiterà di sentire più o meno aderenti a quelle praticate singolarmente, cogliendo però l’opportunità di ampliare strategicamente il proprio linguaggio e le possibilità di azione.

Centrale Fies è un luogo cangiante, uno spazio mutevole. Come avete pensato di accogliere i vostri pubblici per questa sessione di co-learning?

VS: Abbiamo immaginato stendardi di stoffa nera con frasi e parole che potessero in qualche modo riattivare un pensiero, evocare un ricordo o una situazione, coscienti che assumeranno valore differente incontro dopo incontro e workshop dopo workshop. Quando parlerà la designer Barbara Bologna quel “magnetica e ricercata” avrà un altro senso rispetto a quando assisteremo alla lezione della storica Michela Zucca sulle eretiche e le delinquenti del ‘500: nel primo caso richiamerà aggettivi positivi legati a una descrizione del femminile cui spesso la moda punta, nella seconda lo scarto sarà forte, perché si sentirà sulla propria pelle la scomodità di due termini che verranno invece accostati a donne che hanno subito una vera e propria caccia a causa della loro modalità differente di stare -o non stare- all’interno di una società, o di un villaggio. Qualsiasi cosa si comunichi cambia portato a seconda del contesto, e questi stendardi sono stati pensati per essere mutevoli. Allo stesso modo l’uso delle font scelte creano straniamento, quasi volessimo -anche qui-  risemantizzare font precise, solitamente legate ad altri ambienti, e regalare altre forze e coordinate, traghettandole da tutt’altra parte. 

Su uno degli stendardi c’è scritto “Affilare i linguaggi” a cosa si riferisce, di preciso, all’interno del progetto? 

VS: “Affilare i linguaggi” è una delle frasi a cui tengo di più. Lavorando in comunicazione, e per di più per l’arte, penso ogni giorno a come farlo, a come affilare i linguaggi, intendo. Ho piacere nel far roteare in bocca parole condivise che da private -o per poche- sono entrate a far parte del discorso pubblico, che da qualcosa di vago sono diventate specifiche per contesti precisi. Viste le tematiche importanti che -ad oggi -attraversano una grande porzione di cielo del performativo, per noi “Affilare i linguaggi” vuol dire avere sempre un confronto diretto con ricercatrici, studiose e attiviste che in prima persona smuovono i codici espressivi e gli ecosistemi di altri ambiti e discipline, favorendo da una parte una sempre maggiore consapevolezza sulle forme di violenza epistemica, dall’altra riconoscendo al linguaggio la possibilità di segnare importanti scarti e avanzamenti nel pensiero e nella sensibilità collettiva.
Soffro quando le comunità di riferimento che hanno spinto per utilizzare quel termine lo vogliono soffocare per metterne in luce un altro, ma già so che quello nuovo aprirà altri orizzonti, e con essi altre problematicità che ci faranno diventare ancora più fallibili, ma pronte. “Fallibile ma pronta” potrebbe essere una frase che rappresenta molte e molti di noi. Questo succede relativamente spesso, collaborando con Mackda Ghebremariam Tesfaù, per esempio. Non a caso tra le docenti di Witches / brand new. 
Sociologa italiana, di padre Eritreo, attivista di Refugees Welcome, docente IUAV e tra le curatrici e sostenitrici della affermative action di Centrale Fies nominata ad Agitu Ideo Gudeta, è la nostra referente per quanto riguarda il linguaggio decoloniale, o come si dovrebbe dire ora “Anti-razzista”, questo per poter mettere un accento sulla “bianchezza” e sull’atto di “colonizzare” piuttosto che sulla nerezza e il concetto di decolonizzazione. 

Un’ultima domanda: chi sono le “Witches”? 

VS: Viste le tematiche importanti che -ad oggi -attraversano una grande porzione di cielo del performativo, per noi “Affilare i linguaggi” vuol dire avere sempre un confronto diretto con ricercatrici, studiose e attiviste che in prima persona smuovono i codici espressivi e gli ecosistemi di altri ambiti e discipline, favorendo da una parte una sempre maggiore consapevolezza sulle forme di violenza epistemica, dall’altra riconoscendo al linguaggio la possibilità di segnare importanti scarti e avanzamenti nel pensiero e nella sensibilità collettiva. Sia i workshop che il public program hanno il potere di veicolare attraverso pratiche come il fashion design, la scrittura e la lettura collettiva, azioni di co-learning o la lecture performance, temi di ricerca importanti per Centrale Fies, che riecheggiano in tutte le programmazioni ma che qui possono incontrare un pubblico totalmente differente, più locale e non sempre per forza interessato alle arti performative. Le pratiche di lavoro orizzontali, i femminismi storici ma anche quelli senza genere, i linguaggi inclusivi, gli studi decoloniali, la filosofia politica. 

WITCVHES by Barbara Bologna