Con “Glassa” Diego Marcon esplora il confine tra cinema e arti visive indagando il rapporto tra realtà, finzione, vita e morte. Ospitata nelle sale del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci la mostra, a cura di Stefano Collicelli Cagol ed Elena Magini, celebra i 35 anni dell’istituzione pratese e rimarrà visibile fino al 25 febbraio 2024.
“Glassa” è una mostra pensata in stretta connessione con il museo e con la sua architettura e realizzata dall’artista in collaborazione con l’architetto Andrea Faraguna: “Le sale Gamberini del Centro Pecci sono sempre state una delle mie architetture museali preferite” ha raccontato Marcon “forse anche per questo la progettazione della mostra ha preso forma con estrema naturalezza”. Il percorso si snoda infatti in maniera armonica nello spazio, proponendo una panoramica sugli ultimi anni del lavoro dell’artista con opere che spaziano dal video alla ceramica.
La mostra prende forma intorno al tema della morte, che Marcon rievoca in maniera sottile già dall’ambivalenza semantica del titolo: “Glassa”. La glassa, infatti, strato zuccherato che rende i dolci estremamente seducenti alla vista, deriva dal termine francese glacè (ghiaccio) portandosi dietro un riferimento al freddo e al congelamento. La perfezione della glassa da un lato, l’immobilità ghiacciata della morte dell’altro; una dicotomia che introduce subito il fulcro della mostra: gli opposti.
“Glassa” è un vero e proprio percorso immersivo, entrando si è subito accolti da una sensazione di freddo, dovuto alle basse temperature delle sale, le pareti sono bianchissime e la luce è quella naturale filtrata dai lucernari del soffitto, soggetta al passare delle ore e agli agenti atmosferici. Tutta la mostra gioca su una forte contrapposizione degli opposti sia nell’allestimento sia all’interno delle opere stesse. La serie di cani in ceramica punteggia il percorso espositivo intervallando tre opere video, l’ultima delle quali, “Dolle” del 2023, è il progetto vincitore del “PAC 2021 – Piano per l’Arte Contemporanea” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
I cani sono raffigurati da Marcon da morti ed esposti affissi alle pareti, hanno però dei colori brillanti accentuati dalla superficie lucida che va a sdrammatizzare la condizione in cui si trovano. Allo stesso tempo però l’esposizione dei loro corpi amplifica e rende quasi plateale il momento intimo della morte.
La morte, raccontata però attraverso il gioco dei bambini, è protagonista anche in “Tinpo” opera video del 2006 nonché primo film realizzato da Marcon. In un tipico interno italiano due bambini durante un pranzo in famiglia giocano alla guerra con delle pistole giocattolo. Le immagini, così come i suoni sono scattose, il volume è alto, lo schermo è grande, tutto trascende l’innocenza del gioco e crea una sensazione di pericolo. Marcon pone al centro della sua ricerca l’immagine in movimento unendo un approccio analitico che si rifà alla forte sperimentazione del cinema strutturale a un’attenzione al cinema d’intrattenimento, dalla commedia al musical. In movimento è anche la protagonista di Untitled del 2017, una ragazza disegnata che senza volto saltella e gira su sé stessa in un infinito ripetersi.
Il lavoro di Marcon è enigmatico, il loop delle sue opere crea una sensazione di ambiguità e di inquietudine che chiude il cerchio con l’opera “Dolle” nella quale due sculture animatronic – mamma e papà talpa – fanno dei conti a voce alta che non arrivano mai a un risultato. Il cortometraggio è stato girato nell’ambiente intimo e famigliare della casa-tana in cui vive la famiglia di talpe, ma i suoni che periodicamente interrompono i conti, dai colpi di tosse dei bambini che dormono, alla terra che cade dal soffitto, fanno presagire che stia per succedere qualcosa e invece nulla, il loop delle cifre si ripete in maniera ipnotica.
La mostra è dunque un susseguirsi di pieno-vuoto sia fisico sia sonoro. Il suono infatti è sicuramente uno degli aspetti più interessante del lavoro di Marcon, dai rumori interrotti di “Tinpo”, alla melodia dei conti delle due talpe protagoniste di “Dolle” fino al ticchettio del proiettore 16 mm di “Untitled” che, come l’artista stesso ha raccontato, “mi ricorda che il tempo passa, e forse più che vivere, si muore”.
Marcon attraverso le sue opere riesce a rielaborare l’immaginario dell’infanzia, con un continuo e sottile alternarsi tra vita e morte, lasciando allo spettatore una sensazione d’angoscia di cui si fatica a capirne il motivo.
Diego Marcon: Glassa
A cura di Stefano Collicelli Cagol ed Elena Magini
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato
30 settembre 2023 – 25 febbraio 2024